“Houston, abbiamo un problema”. Otto ceo del settore moda su 10 pensano che uomini e donne abbiano le stesse opportunità per fare carriera. Il tetto di cristallo, quindi, non esisterebbe se non per il 20% degli amministratori delegati. L’evidenza emerge dalla ricerca “Unpacking Pay Equity in Fashion: Italy” condotta da Global Fashion Agenda (GFA) e PwC Italia che approfondisce i temi legati all’equità retributiva di genere all’interno dell’industria della moda italiana, tra le più importanti ed influenti d’Europa.
Chi si occupa quotidianamente di parità di genere e di risorse umane non è della stessa opinione: solo la metà delle funzioni DE&I e HR intervistate sono d’accordo con quanto dichiarato dai ceo. Una discrepanza non da poco, che pone di fronte a un problema stringente: se chi guida un’azienda non è consapevole della disparità nella progressione di carriera fra uomini e donne, come si può risolvere il problema?
Disparità salariale
Alla domanda sulla percezione del divario retributivo di genere, solo il 20% dei produttori di moda italiani ha segnalato disparità salariale nelle proprie aziende, la maggior parte delle quali sono grandi aziende. Tuttavia, solo 1 impresa su 5 monitora e segnala le disuguaglianze salariali tra uomini e donne: il monitoraggio e la segnalazione delle disuguaglianze sono i primi passi verso una comprensione più completa e una maggiore consapevolezza del fenomeno.
L’indagine evidenzia come la percezione della disuguaglianza salariale vari a seconda del ruolo all’interno dell’azienda: le funzioni risorse umane (HR) e DE&I, che si occupano di queste questioni più frequentemente di altre, tendono a essere più consapevoli delle discriminazioni salariali. Due intervistati su tre nell’ambito HR e metà degli intervistati della funzione DE&I affermano chiaramente che ci sono disuguaglianze salariali a svantaggio delle donne, mentre soltanto il 20% dei CEO concorda con questa visione.
La percezione di una disparità di genere nell’avanzamento di carriera varia quindi in base alla funzione: mentre l’82% dei ceo ritiene che nelle possibilità di avanzamento di carriera non ci siano distinzioni totalmente uguale tra uomini e donne, la metà delle funzioni DE&I e HR sono solo parzialmente d’accordo.
Condizioni penalizzanti
Per quanto riguarda le condizioni penalizzanti che influiscono sulla disparità salariale, il 43% degli intervistati individua nella maternità il fattore che più influisce negativamente sulla progressione di carriera delle donne. Un’indagine condotta da PwC Italia tra aprile e maggio del 2024, su un campione di 500 donne lavoratrici o ex-lavoratrici tra i 25 e i 49 anni e con almeno un figlio, ha evidenziato come l’impatto principale che la maternità ha avuto sul lavoro è stato la riduzione delle ore di lavoro e la perdita del lavoro, fattori che alimentano il fenomeno della disparità salariale.
Nonostante il 60% delle aziende intervistate offra supporto alla genitorialità (la forma di sostegno più comune è la flessibilità, 38% delle aziende), solo il 5% delle aziende fornisce un congedo di paternità aggiuntivo o asili nido. Questi risultati indicano una mancata percezione delle esigenze della genitorialità, che fonda le sue radici in un pregiudizio di genere circa la divisione delle responsabilità di cura familiare e domestica.
Programmi interni alle aziende
La totalità delle grandi aziende coinvolte dichiara di avere almeno uno strumento per garantire la parità di retribuzione tra donne e uomini. Tuttavia, oltre l’80% dell’industria manifatturiera della moda italiana è costituita da microimprese, molte delle quali sono esenti dalle attuali normative UE e italiane in materia di equità retributiva.
È importante sottolineare che molti di questi piccoli produttori sono parte integrante delle catene di fornitura per grandi marchi italiani ed europei che dovranno conformarsi a queste normative. Nonostante le loro dimensioni e l’attuale normativa, il 43% delle microimprese dichiara di avere già almeno una politica in atto per garantire la parità retributiva di genere, seguite dalle piccole imprese (27%) e dalle medie imprese (14%). Inoltre, metà delle aziende intervistate sta valutando di richiedere una certificazione per l’uguaglianza di genere.
La ricerca
L’analisi si basa su una ricerca condotta tramite 25 interviste ai più importanti brand della moda e un’indagine che ha coinvolto 105 aziende attive nella manifattura della moda e produttori italiani, una ricerca di GFA e le risultanze del progetto multi-stakeholders “Fashion Industry Target Consultation”, guidato da GFA e dal Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP).
Erika Andreetta, partner PwC Italia EMEA Luxury Community Leader, afferma: «Solo la metà delle grandi aziende e meno della metà dei produttori di micro e PMI monitorano e segnalano le disuguaglianze salariali. C’è un’urgente necessità di maggiore trasparenza e strumenti standardizzati lungo tutta la catena del valore, insieme allo sviluppo e all’integrazione di pratiche di acquisto responsabili durante tutto il processo di due diligence».
Federica Marchionni, ceo di Global Fashion Agenda, commenta: «Per affrontare il divario retributivo di genere in Italia e nel più ampio settore della moda, è necessario un impegno unificato da parte di tutti gli stakeholder. Il settore deve dare priorità alla trasparenza, alle pari opportunità ed /un’equa retribuzione lungo l’intera catena del valore. Adottando strumenti e approcci standardizzati e influenzando i valori culturali, credo che l’industria della moda italiana possa diventare un catalizzatore per il cambiamento».
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