Lavoriamo troppo? Oppure troppo poco?

In Grecia è stata recentemente introdotta la sperimentazione della settimana lavorativa di sei giorni. La misura è entrata in vigore la scorsa settimana e interessa le aziende private che forniscono servizi 24 ore su 24. La Grecia è la nazione dove si lavora di più in Europa, con una media settimanale di 39,8 ore, seguita da Romania (39,5) e Polonia (39,3). Al lato opposto della classifica, troviamo i Paesi Bassi (32,2 ore), l’Austria (33,6) e la Germania (34,0). L’Italia si attesta a una media di 36,1 ore a settimana, conquistando una posizione intermedia. Alla luce di questi dati, la domanda sorge spontanea: lavoriamo troppo? Oppure troppo poco?

Italie e altri Paesi a confronto

Guardando a paesi come Belgio, Portogallo, Germania e Regno Unito, lavoriamo troppo. Tanto che gli stessi sono stati i primi a introdurre la settimana lavorativa di 4 giorni. Una misura ambita anche oltre oceano: una ricerca di Gallup, ha evidenziato che il 44% dei dipendenti americani cambierebbe impiego per poter usufruire di questa modalità. Di altro avviso, come anticipato, sembra essere la Grecia, che motiva l’introduzione del sesto giorno con la necessità di sopperire alla scarsa produttività e alla carenza di lavoratori qualificati. Soprattutto alla luce dei circa 500.000 greci che sono emigrati dal 2009 ad oggi. A prescindere dalle ragioni – e dalla condivisibilità di quest’ultime – che spingono il legislatore a intervenire sull’orario lavorativo e determinano la direzione di questa scelta, il mondo sembra si stia spaccando in due. Da una parte soluzioni flessibili e orari brevi, dall’altra, modalità rigide e orari ben più lunghi.
A ciò, si accompagna una crescente volontà delle persone di trovare nuovi equilibri di vita, ripensando il lavoro per renderlo un elemento centrale, ma non l’unico centro.

Ritrovare il senso

Alla luce di questa spinta dal basso – che sembra dirci che sì, lavoriamo troppo – è necessario forse fare un passo indietro e tornare alle origini della questione. Che probabilmente ha molto meno a che fare con le ore lavorate e molto di più sia con la qualità dell’attività che si svolge – e quindi con la produttività – sia con l’ambiente nel quale la si compie. La domanda da porsi allora diventa: perché si sente la necessità di lavorare meno?
La già citata ricerca di nuovi equilibri di vita è senz’altro una motivazione diffusa, ma forse le ragioni non si esauriscono qui. Forse, il tutto ha più a che fare con ciò che il lavoro significa per noi. Ci sono persone che non concepirebbero di non lavorare, anche se gliene fosse data la possibilità. Altre, che cesserebbero all’istante. Altre ancora che preferirebbero soluzioni mediane, sfruttando la flessibilità di spazio, tempo, obiettivi e così via.

Perché lavoriamo? Cosa ci muove davvero? Che peso e che ruolo ha il lavoro nelle nostre vite? Sono questi i veri interrogativi da porsi.
Può essere che la soluzione parta dalle risposte date a queste domande. Nell’idea che si possano immaginare – e poi realizzare – nuove modalità di lavoro che non necessariamente ruotino intorno al numero di ore svolte. In parte già le abbiamo – si pensi al lavoro agile – ma nuove e possibili alternative – in linea con i bisogni e le spinte motivazionali delle persone – possono essere valutate. E forse devono esserlo, considerata la direzione che il mercato del lavoro sta prendendo e le sfide che l’Intelligenza Artificiale porrà in termini di occupazione.

Nel frattempo, chi ambisce alla settimana corta o a una riduzione delle ore settimanali, può trovare un po’ di consolazione pensando che la situazione potrebbe anche essere peggiore. Potremmo infatti lavorare in media 42,4 ore a settimana come avviene in Turchia.

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