“Festeggiatemi come vi pare”: il ricordo di Michela Murgia al Teatro Carcano

Un teatro gremito, la gigantografia di un volto franco e sorridente sul palco, sei persone che si ritrovano a parlare dell’amica che non c’è più, ma ne parlano al presente, come se in questo 3 di giugno 2024 Michela Murgia stesse compiendo davvero il sue cinquantaduesimo anno di vita. D’altra parte, “Festeggiatemi come vi pare” avrebbe probabilmente detto, ed è così che è stata intitolata la serata al Teatro Carcano per ricordare, celebrare, tenere viva la fiamma di Murgia nel giorno, appunto, del suo compleanno.

Sul palco hanno dialogato tra loro i ricordi di Lella Costa, Teresa Ciabatti, Marcello Fois, Alessandro Giammei, Alessio Vannetti e Fabio Calabrò, con il controcanto della voce di Murgia stessa, nella proiezione di una serie di video inediti. La serata è ruotata attorno al libro “Ricordatemi come vi pare”, il romanzo autobiografico pubblicato lo scorso aprile da Mondadori, nato dalle conversazioni con Beppe Cottafavi, testimonianza dell’eredità che la scrittrice ha voluto lasciare.

“Un romanzo picaresco” lo definisce Alessandro Giammei, figlio d’anima di Murgia, dando bene l’idea dell’ampiezza narrativa di queste trecento pagine scaturite in larga parte dalla viva voce di Murgia, che nei giorni più spietati della malattia si narrava come un fiume in piena, debole ma con un’enorme forza, come racconta il medico Fabio Calabrò, direttore dell’Oncologia Medica 1 dell’IRCCS Regina Elena, che l’ha seguita fino agli ultimi giorni di vita.

Le dieci vite di Michela Murgia

Nel libro ci sono tutte quelle che Murgia ha chiamato le sue dieci vite, rievocate sul palco del Teatro Carcano: dai primi anni a Cabras, quelli della violenza vissuta in casa da bambina, e del rapporto con la zia che è stata a suo modo una seconda madre, ai mille percorsi lavorativi tipici di una generazione che ha conosciuto senza difese il precariato, da lei raccontato con ironia e lucidità nel primo libro “Il mondo deve sapere”, dando voce a una generazione che di voce non ne ha mai avuta molta. E poi l’impiego alla centrale termoelettrica, momento forse meno conosciuto, un lavoro cui ha rinunciato perché decise di testimoniare contro l’azienda per l’inquinamento ambientale che stava causando.

Le sue dieci vite, sì, tutte piene e vissute con l’intensità e il rigore di chi non accetta le mezze misure, ma anche con una capacità di gioia che tutta la sua famiglia e i suoi amici testimoniano con un’emozione difficile da raccontare, che è pianto e riso insieme. “La morte di Michela ha fatto male a tutti noi. Moltissimo. Per un motivo molto egoistico: abbiamo ancora bisogno di lei” ammette Lella Costa, padrona di casa al Carcano, con la voce rotta dalla commozione. “Non so cosa fate voi con il numero di cellulare delle persone che non ci sono più, io non riesco a cancellare il numero di Michela. Perché penso che magari un domani quel numero andrà a qualcun altro, e magari questa persona per caso telefonerà a me e per una frazione di secondo penserò che sarà Michela a chiamarmi”.

Relazioni, legami e collettività

Quando qualcuno viene a mancare, si dice solitamente che lascia un vuoto. Ma nel caso di Murgia, i vuoti che ha riempito sono molti. È stata un punto di riferimento che ha intersecato più generazioni, una voce pubblica coraggiosa e coerente che ha prepotentemente riportato il mordente femminista nelle questioni politiche. Ha restituito dignità alla parola “intellettuale”, afferma Marcello Fois sul palco, ha saputo giocare con grande sapienza con la propria immagine conoscendo bene il significato e la forza della parola “icona”, spiega Alessio Vannetti, Chief Brand Officer di Valentino.

E mentre intorno a lei infuriavano le tempeste social (più volte gli amici e amiche si sono chiesti e le hanno chiesto perchè si ostinasse a occupare lo spazio dei social network), la sua generosità intellettuale ha scelto di condividere l’esperienza intima dei suoi legami familiari e relazionali. Giorno per giorno ha continuato a esporsi mostrando stralci e frammenti del presente che stava continuando a costruire, offrendosi come in un caleidoscopio nel delineare l’immagine di una persona sempre libera, coerente e pienamente consapevole di se stessa. Un’immagine preziosa, per ogni persona che in qualche modo abbia sentito su di sé il peso di un’esclusione, di una disuguaglianza, di una diversità.

Un’immagine preziosa anche perchè restituisce l’idea della collettività che deve essere l’ambiente naturale dell’intellettuale. “Scrivere è un lavoro collettivo”, ci ricorda Murgia nel libro, e non possiamo esimerci da ogni atto di scambio e condivisione che crea legami, anche perchè “il coraggio è contagioso”, continua: “Ogni volta che ho aperto bocca, ho ascoltato un’altra voce di donna che si aggiungeva alla mia, perchè trovava improvvisamente il coraggio. Il coraggio è un buon esempio, è contagioso”.

Bisogna passare anche da qui, per addentrarsi a comprendere la complessità e la libertà dell’idea di famiglia queer che ha cercato di trasmettere negli ultimi tempi. Un’idea di famiglia a cui lei forse per prima ha cercato di donare uno spazio pubblico, nominandola e facendola così esistere. Tra le pagine del libro, un momento delicato di definizione di queste relazioni è quando tenta di rispondere alla domanda “chi è Alessandro [Giammei]? Mio figlio? Uno che mi consiglia i libri? Uno che curerà i miei diritti e i miei testi? Uno che conosce nel profondo tutti i mutamenti della mia vita? Io non so più se chiamarlo figlio. Oggi è un amico, come ho già detto, ma per molti versi anche un maestro. I rapporti cambiano e si invertono. Dentro la mia famiglia di scelta tutto è cambiato, i ruoli ruotano. Nella famiglia tradizionale questo non avviene, perché è il sangue a determinarli. Un padre è un padre per sempre. E a volte questa cosa è un ergastolo. Sia per il padre che per i figli”. E prima di sollevare qualunque obiezione, bisognerebbe perlomeno lasciarsi sfiorare da questo senso di liberazione, ricordando che la libertà è una pratica che senza uguaglianza e rispetto è solo privilegio.

Chi può raccogliere l’eredità di Michela Murgia?

“Cosa direbbe Michela Murgia?” ci sarà capitato di chiederci in questi mesi senza di lei, come Lella Costa che lo racconta sul palco. Ma forse, continua, è un’altra la domanda che dovremmo farci: “Cosa direi io se avessi il coraggio di Michela Murgia?”

Se la vita di Murgia è stata un invito a parlare, a non stare zitte, l’unica cosa che lettori e lettrici possono fare per onorarne il ricordo è far sentire la propria voce. Forse non tutte possono essere pasionarie come lei e pronte all’attivismo, ma rifiutare il silenzio è il solo modo per cambiare la realtà.

Perciò, ancora, non è un vuoto e non è un debito che ha lasciato. Un debito va saldato, ma la letteratura è una forma di generosa grazia che attraversandoci riverbera e si restituisce da sola, nel nostro pensiero e nelle nostre azioni. Questa è l’eredità che lasciano le persone come Michela Murgia: costruire relazioni, spazi di riconoscimento, luoghi dello spirito in cui esercitare quelle forme di libertà che ci sono state mostrate. Esercizio e pratica. Pensiero e azione. Il lutto appartiene al dolore di una mancanza. Manca Michela Murgia, nel suo spazio privato e in quello pubblico. Ma ciò che ha costruito, riverbera sempre con grande luce.

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Autrice: Michela Murgia
Titolo: “Ricordatemi come vi pare. In memoria di me ”
Casa editrice: Mondadori
Prezzo: 19,50 €

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