Lavoro, la precarietà dell’esistenza attraverso lo sguardo de “Le Ciclopi”

Brevi storie, biografie femminili accomunate dalla precarietà del lavoroLe Ciclopi è un racconto che dà il titolo al libro di Manuela Piemonte (Nutrimenti). Narra la storia di una giovane donna che per un imprevisto si ritrova a guardare il mondo con un occhio solo, perché una lente a contatto le ha graffiato l’altro e deve curarlo. L’intera raccolta di 14 racconti ruota intorno alla metafora dello sguardo manchevole. La scrittrice mette in scena la vita quotidiana, il mondo contemporaneo in cui l’incompletezza è esistenziale e la realtà precaria una sfida da affrontare. Le protagoniste osservano il mondo come se avessero il campo visivo ristretto, anche se non se ne rendono conto.

Ciascun racconto ha al centro una donna diversa per età, esperienza e vissuto, che sperimenta il contrasto tra i desideri e i fatti. Un dissidio che preme sulla sua vita e la mette faccia a faccia con ciò che vorrebbe essere e non è. Sono esistenze in balia di lavori precari, che condizionano tutte le scelte, da quelle abitative a quelle affettive. La ricerca di un’identità è una costante: alcune la trovano, faticosamente; altre non riescono.

Le Ciclopi sono a loro modo delle resistenti, che cercano di adattarsi alle difficoltà: hanno perso il lavoro oppure il contratto sta per scadere e sanno già che non glielo rinnoveranno. Si muovono tra stipendi tagliati, diritti non riconosciuti, apprendistati infiniti, incidenti e sfortune. L’amarezza è diffusa, ma non c’è mai disperazione. 

Storie di precarietà e ribellione

Nelle pagine del libro si sente che l’autrice ha trascorso una parte della vita tra lavori precari e umili: c’è un’esperienza che si è trasfigurata in narrazione. La  protagonista del racconto “Confetti” si sta laureando e scopre che le ridurranno l’orario di lavoro. Il suo direttore si rivolge a un’agenzia interinale, alla ricerca di una professionista che la sostituisca, ma non la trova e anche dopo la laurea deciderà di tenere la giovane donna a tempo pieno “solo per sei mesi”. 

La storia intitolata “Sete” racconta di una giovane che si divide tra lavoretti diversi (dalla traduzione di sottotitoli per film in francese alla cameriera in una pizzeria al taglio) e dà ripetizioni a signore più grandi di lei, che non sanno usare computer e smartphone.  Si specchia in loro, cercando una risposta alle sue domande, ma nessuna le dà un riscontro attraverso il proprio vissuto.

“La rabbia” è forse il racconto più simbolico, che sottende un sentimento di sottomissione e impotenza comune a tanti. Narra di una donna che si trova in una caserma dei carabinieri. Sporge denuncia contro tutti quelli che ritiene responsabili di una sequenza di situazioni impattanti sulla sua vita, anche personale, che la hanno cambiata. Finita in una casa editrice per una sostituzione di maternità, si trova con colleghe che chiamano “hobby” quello che per lei è il lavoro di redattrice, con cui si paga l’affitto, le bollette, la spesa. 

“Un giorno il governo ha deciso che i contratti a progetto diventavano illegali e la casa editrice mi ha costretta ad aprire la partita Iva. Il cinquanta per cento dei miei guadagni finiva in tasse. Ho portato a casa il computer in comodato d’uso, cinquecento euro l’anno, e mi pagavano a cottimo, a pagina, e se mi davano libri lunghi era una fortuna, ma se mi davano libri corti dovevo mangiare riso in bianco, cercare vestiti usati nei mucchi delle bancarelle, svegliarmi alle cinque del mattino per andare all’ortomercato in cerca degli scarti. La rabbia ha una sorella chiamata fame, che non dorme mai, benché sia molto più paziente”. 

Inseguire i desideri

La precarietà rende più lontani gli elementi di spensieratezza e di godimento della vita, come nel racconto “Le ciclopi”. La giovane protagonista di sera lavora in una discoteca ed esprime il contrasto tra quelli che sono i suoi desideri “umani” e la necessità imposta dalla società e dai social media, che vuole le persone felici e sorridenti. “Quando i clienti ritiravano l’ultimo cappotto c’erano i bagni da pulire, con la segatura e la candeggina. Una volta che ogni venerdì e sabato lavi via le impronte sporche di piscio di mille sconosciuti, non esistono più fatica né livello di insoddisfazione, da lì sarà soltanto una salita in alto fino alla luna”.

La precarietà lavorativa ed economica urta con le aspirazioni, la disparità di classe sembra non riuscire a colmarsi mai, come nel racconto “Tristi tropici”. La perdita del lavoro della protagonista corrisponde a quella della sua identità sociale. “A me i nonni avevano tramandato un tupperware per arancini, un armadio di mogano e la fobia per lo sfratto: gli era capitato a ottant’anni, avevano aperto il finanziamento e traslocato in una casa nuova. Tre anni dopo non c’erano più e per estinguere il debito mio padre aveva venduto l’appartamento al primo offerente. Gli altri nonni avevano vissuto sempre in una casa del Comune, da cui i ricordi di una vita erano stati spazzati via entro un termine perentorio. Il mio reddito non era così basso da poter presentare domanda per le case popolari, comunque i punti li davano alle famiglie con figli, niente mi inseriva nel piano di welfare statale, nemmeno la solitudine”. 

In questa donna che si ritrova licenziata a 35 anni è forte il desiderio di migliorare la condizione socioeconomica della famiglia di origine. Ma, come per altri personaggi femminili, né lo studio né il talento riescono a spostarla dalla classe da cui proviene. L’ascensore sociale è bloccato.

Manuela Piemonte si era misurata con la forma romanzo ne “Le Amazzoni” (Rizzoli 2021), che ha vinto il premio Kilhgren – Malvasi. Con “Le Ciclopi”, che apre la collana Greenwich Extra di Nutrimenti, dimostra abilità anche nella forma breve del racconto, che permette, per sottrazione, persino di dire di più. Invitando a tenere sempre gli occhi aperti contro tutto ciò che può offuscare lo sguardo e limitare l’orizzonte.

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Autrice: Manuela Piemonte
Titolo: Le Ciclopi
Editore: Nutrimenti (2024)
Prezzo: 17 euro

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