Resistenza, la doppia lotta delle donne per la liberazione

“Non sono venuta per rammendare, ma per combattere”. La partigiana Olga Prati, quando raggiunge la brigata d’azione del suo territorio, risponde così al comandante che le chiede di ricucirgli i pantaloni. Carla Capponi, figura centrale della resistenza romana e vicecomandante dei Gap (Gruppi di azione patriottica), ruba di nascosto una pistola su un autobus affollato per aggirare l’opposizione dei suoi stessi compagni nel “concederle” l’utilizzo di un’arma.

Come dimostrano le testimonianze delle partigiane, di cui Prati e Capponi sono esempi, quello delle donne alla Resistenza non è stato semplicemente “un contributo” ma una lotta “doppia” che riguardava sia l’opposizione all’autoritarismo nazifascista che la conquista di nuovi spazi di libertà, oltre gli schemi imposti da un regime che le aveva relegate nella sfera familiare e domestica. Operaie, studentesse, casalinghe, insegnanti: sono donne di ogni estrazione sociale che aderiscono consapevolmente alla lotta resistenziale e, come riporta la storica Anna Bravo in “Dizionario della Resistenza”, assumono un ruolo essenziale “nello scontro armato, nel lavoro di informazione, approvvigionamento e collegamento, nella stampa e propaganda, nel trasporto di armi e munizioni, nell’organizzazione sanitaria e ospedaliera, nei Gruppi di difesa della donna e per l’assistenza ai combattenti della libertà”.

Il protagonismo femminile nella Resistenza ha riguardato sia la lotta armata che tutti gli altri compiti previsti dalla lotta di Liberazione nelle sue varie modalità. Le partigiane non sono “solo” staffette ma anche combattenti armate nelle bande extra-urbane, addette ai fondamentali servizi logistici, militanti attive dei Gruppi di difesa creati dalle donne e per le donne che – specifica Bravo – sulla scorta di un “programma di affermazione di diritti e opportunità” rivendicano la “titolarità delle azioni femminili”.

La Resistenza taciuta

La Resistenza delle donne, come racconta l’omonimo saggio di Benedetta Tobagi (Premio Campiello 2023) le porta a “irrompere” nella sfera pubblica. “Tocca alle invisibili entrare in scena”, scrive Tobagi.

I dati forniti dall’ANPI lo testimoniano: furono 35.000 le partigiane inquadrate nelle formazioni combattenti; 20.000 le patriote con funzioni di supporto; 70.000 in tutto le donne organizzate nei Gruppi di difesa; 512 le commissarie di guerra; 683 le donne fucilate o cadute in combattimento; 1750 le donne ferite; 4633 le donne arrestate, torturate e condannate dai tribunali fascisti; 1890 le deportate in Germania.

Ciò nonostante, il riconoscimento delle partigiane nella Resistenza non è avvenuto in egual misura al loro protagonismo: le donne che hanno ricevuto medaglie d’oro al valore per le loro azioni sono state solo diciannove (Irma Bandiera, Ines Bedeschi, Gina Borellini, Livia Bianchi, Carla Capponi, Cecilia Deganutti, Paola Del Din, Anna Maria Enriquez, Gabriella Degli Esposti Reverberi, Norma Pratelli Parenti, Tina Lorenzoni, Ancilla Marighetto, Clorinda Menguzzato, Irma Marchiani, Rita Rosani, Modesta Rossi Polletti, Virginia Tonelli, Vera Vassalle, Iris Versari, Joyce Lussu).

Escluse prima dalle sfilate partigiane nelle città liberate e poi dalla storiografia, il ruolo delle donne nella Resistenza è rimasto a lungo nell’ombra. Lo ha riportato in diversi testi, tra cui cui “Storia e memoria. Le lotte delle donne dalla liberazione agli anni 80”, la storica Simona Lunadei: dopo la fine della guerra sulla resistenza femminile è calato un silenzio generale. Questo perché si cercò di normalizzare il ruolo delle donne che avevano sperimentato un’emancipazione di fatto dai ruoli tradizionali.

È il pregiudizio culturale che ha guidato il silenzio. Perché? Lo spiega ad Alley Oop Tamara Ferretti, responsabile del coordinamento nazionale donne ANPI: “il silenzio sulla Resistenza delle donne accade a causa dei fattori culturali di una società che per decenni le aveva relegate alla marginalità, senza diritti civili e – per dirla con le parole di Giovanni Gentile – di proprietà del marito: ‘Nella famiglia la donna è del marito ed è quel che è in quanto di lui’. Questa visione è stata messa in crisi dalla guerra e dalla partenza degli uomini per il fronte, perché incongruente con le necessità della produzione bellica e il conseguente massiccio ingresso nel sistema produttivo di forza lavoro femminile”.

È così che le donne prendono spazio, iniziando a partecipare da subito – in varie forme – alla Resistenza e alla lotta di liberazione, di cui il famoso sciopero del pane del 16 ottobre del 1941 rappresenta il primo esempio. “La rimozione del ruolo delle donne nella Resistenza ha corrisposto specularmente ai reiterati tentativi di depotenziare e manomettere il valore della lotta di liberazione nella conquista della libertà e della democrazia di questo Paese – sottolinea Ferretti – Sottovalutazioni e condizionamenti culturali ci sono stati anche nel mondo resistenziale, maggiormente impegnato nel riconoscimento dell’unicità e della pluralità della Resistenza nel suo complesso”.

Diventare “soggetti politici visibili”

Emergere dall’anonimato ha consentito alle donne di diventare soggetti storici finalmente visibili. Essere contro il fascismo significava non solo schierarsi politicamente, ma anche rompere con la separatezza della propria tradizionale “sfera domestica” per proiettarsi sulla scena pubblica.

“Nelle città come nelle campagne le donne svolsero un ruolo fondamentale nell’organizzazione clandestina e, nelle memorie dei partigiani, è costante il richiamo al ruolo fondamentale delle donne per garantire i collegamenti tra le formazioni, il supporto che oggi chiameremmo logistico, l’assistenza alimentare e sanitaria, l’informazione sulla dislocazione militare nazifascista nel territorio – afferma Ferretti – Le ragioni di fondo che hanno mosso la scelta di tante donne di aderire alla Resistenza sono derivate dal desiderio di pace e di riscatto. Come scrive la Partigiana Mirella Alloisio nel libro Volontarie della Libertà, le donne decisero di fare la Resistenza perché volevano fare guerra alla guerra. Eppure di queste motivazioni si è parlato poco, nel silenzio è stata lasciata anche quella che Nilde Iotti definiva l’irrinunciabile speranza nel futuro che aveva animato le scelte di libertà e di democrazia”.

Recuperare le storie non raccontate diventa essenziale per recuperare la memoria: “È bello e importante far conoscere alle giovani e ai giovani, a partire dalle scuole, le tante storie di donne che si sono battute per la libertà ed è quello che come ANPI e come Coordinamento donne da tempo siamo impegnate a fare” specifica Ferretti, ricordando anche Liliana Segre: “deportata nell’inferno dei campi di concentramento nazisti, sopravvisse a una delle marce della morte imponendosi di compiere un passo dopo l’altro: passo dopo passo è anche la storia della liberazione delle donne di cui tutte dovremmo avere profonda consapevolezza e coscienza perché i diritti non sono dati una volta per sempre ma vanno accuditi e salvaguardati come un bene prezioso”.

Le partigiane di oggi

Con l’iniziativa “Libere di essere. Donne resistenti ieri e oggi”, lo scorso novembre l’ANPI ha lanciato una rete per i diritti delle donne. Gli stessi che legano le partigiane di ieri a quelle di oggi: “Viviamo un tempo difficile e viene immediato rivolgere il pensiero alle battaglie delle giovani iraniane come alla resilienza delle donne afghane e dei tanti Paesi martoriati dalle guerre – aggiunge la responsabile del coordinamento nazionale donne ANPI – È da brividi pensare oggi alla condizione delle donne e delle bambine che vivono in Paesi in guerra e sotto le bombe, alle donne e alle bambine di Gaza come a quelle ucraine, del Myanmar o del Congo, a quelle che attraversano il deserto e vengono rinchiuse nei campi libici. Donne che nonostante tutto si battono e continuano a sperare in un futuro migliore, per il riscatto da condizioni di miseria, di paura, di violenze, di umiliazioni, di guerra. Le stesse motivazioni che portarono la gran parte delle donne italiane a sostenere la Resistenza”.

Il cammino delle donne è “il cammino della democrazia”

La battaglia per essere “libere di essere” si muove nel tempo e nelle generazioni: “La conquista della democrazia e la conquista della cittadinanza politica, il diritto di voto, sono state il presupposto per il riconoscimento del valore di una rappresentanza di genere e per il riconoscimento della cittadinanza sociale, cioè dei diritti uguali di cui ci parla la Costituzione” spiega Ferretti. Così come la nascita della Repubblica segnò anche la “visibilità” politica delle donne, oggi è lo stesso testo costituzionale a tutelarla – “la Costituzione è un faro che continuerà a illuminare il cammino delle donne per il riconoscimento di una reale parità” sostiene Ferretti – e a indicare la via della Resistenza attuale: difendere e celebrare la Repubblica antifascista, come indica l’appello “Viva la Repubblica antifascista” lanciato da ANPI per il 25 aprile.

“Il 25 aprile è il giorno in cui si ritrova nelle piazze di tutte le città, a cominciare da Milano, l’Italia antifascista e democratica” afferma ad Alley Oop il presidente Anpi Gianfranco Pagliarulo, che continua: “sta alle forze democratiche proporre una promessa di futuro, cioè un programma di trasformazione che abbia al centro il contrasto alle diseguaglianze nel più generale quadro di investimenti che consentano di affrontare la transizione digitale ed ecologica”. Per questo, serve partecipare: “il 25 aprile mi aspetto straordinaria partecipazione popolare unitaria – dice il presidente ANPI – a tutela della democrazia costituzionale, della pace e del lavoro: fondamenti costituzionali”. E le donne non posso che esserne protagoniste: “come sosteneva la partigiana Carla Nespolo –  aggiunge Ferretti – Il cammino delle donne è stato il cammino della democrazia. Per il nostro Paese e per l’Europa”.

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