Scuola, un alunno su 10 lascia gli studi prima del tempo

È mattina e la campanella della scuola che dà inizio alle lezioni suona, ma non per tutti.

Più di un ragazzo su 10 nel 2022 ha lasciato la scuola prima del tempo. Più precisamente l’11,5% dei giovani che hanno tra 18 e 24 anni, calcola Eurostat. È il cosiddetto fenomeno della dispersione scolastica, ovvero l’abbandono precoce del percorso di istruzione senza conseguire un titolo di studio. Un fenomeno che porta con sé un forte rischio di marginalità sociale negli anni a venire.

Il dato è in calo rispetto alla stima del 2021, ma resta comunque più elevato rispetto all’obiettivo che l’Europa si è data per il 2030, che è del 9%.

Secondo la fotografia scattata dall’Istat con il Rapporto Noi Italia 2023, l’abbandono precoce degli studi caratterizza in Italia più i ragazzi (13,6%) delle ragazze (9,1%) ed è in media più elevato nel Mezzogiorno (15,1%).

Come attesta il report Il mondo in una classe, pubblicato da Save the Children in occasione della riapertura delle scuole, tra gli studenti con background migratorio si registrano maggiori ritardi scolastici, casi di dispersione e abbandono scolastico. Mentre gli studenti di origine italiana in ritardo nell’anno scolastico 2021/22 rappresentavano l’8,1%, quelli con cittadinanza non italiana erano il 25,4%.

Non c’è però solo l’abbandono scolastico in senso stretto. Un’altra insidia è la dispersione implicita, che riguarda cioè i ragazzi che concludono il ciclo di studi senza possedere le competenze di base necessarie. Un fenomeno acuito con la pandemia e che solo nel 2023 ha iniziato a mostrare segni di arresto.

Le difficoltà nel costruirsi un futuro

Chi lascia prematuramente gli studi rischia di non avere le competenze richieste dall’ambiente professionale.

Proprio perché le disuguaglianze sono destinate ad allargarsi nel tempo, la dispersione scolastica è collegata a fenomeni come disoccupazione, povertà, esclusione sociale e devianza.

L’Italia è maglia nera di Neet, acronimo dell’espressione inglese not in education, employment, or training, in Europa, seconda solo alla Romania (19,8%). Secondo gli ultimi rilevamenti Istat, nel 2022, i giovani che non lavorano e non studiano sono stimati al 19,0% della popolazione d’età tra i 15 e i 29 anni. Nel Mezzogiorno, l’incidenza è doppia rispetto al Centro-Nord.

Inoltre, gli indicatori del benessere dei giovani, in Italia, sono ai livelli più bassi d’Europa. Nel 2022, quasi un ragazzo su due tra 18 e 34 anni ha almeno un segnale di deprivazione. La dimensione con maggiori difficoltà è stata quella di istruzione e lavoro.

Noi e L’Europa

I numeri della dispersione scolastica in Italia sono tra i più elevati d’Europa. Nel 2022 il Paese si è piazzato al quinto posto tra le nazioni UE per abbandoni scolastici precoci con quasi 2 punti in più della media (9,6%). L’anno precedente l’Italia era terza per abbandoni con il suo 12,7%, dopo Spagna (13,3%) e la Romania (15,3%).

Per contrastare questa tendenza, l’Unione Europea ha ridefinito i suoi obiettivi puntando a un abbassamento del tasso di dispersione da raggiunge entro il 2030 che è stato fissato al 9%.

L’obiettivo precedente, al 10%, era stato quasi raggiunto nel 2019, con un tasso di abbandono europeo del 10,2%. Tuttavia, la pandemia di Covid-19 ha invertito il trend positivo, rendendo necessario un nuovo impegno da parte dell’UE.

Tanto in Italia quanto in Europa, il fenomeno della dispersione scolastica è in regressione sul lungo periodo. Nel 2005, prima della grande recessione economica, un giovane su cinque in Italia (22,1%) non completava gli studi superiori. In tutta Europa, stima Eurostat, in media il tasso di abbandono scolastico è sceso dal 16,9% nel 2002 al 9,6 % nel 2022.

[grafico abbandono scolastico]

Poi però è arrivata la pandemia da Covid-19 che ha acuito un altro tipo di abbandono scolastico, quello implicito.

Covid-19, brusca svolta

Secondo il Rapporto Invalsi che, con le sue rilevazioni, misura il raggiungimento di alcune competenze di base, imprescindibili per l’apprendimento, nel 2023 c’è stata una riduzione di un punto percentuale della dispersione scolastica implicita. La notizia positiva è che dovrebbe essersi arrestato l’effetto negativo della pandemia.

Dopo un aumento tra 2019 e 2021 (da 7,5% a 9,8%), anche a causa di lunghi periodi di sospensione delle lezioni in presenza, la quota di studenti in condizione di dispersione implicita al termine del secondo ciclo d’istruzione ha visto una debole diminuzione nel 2022 (9,7%) con un trend ancora più incoraggiante nel 2023 (8,7%).

Restano le differenze tra le regioni. La Campania è la regione in cui la fragilità scolastica si presenta in modo più marcato (19%), arrivando a interessare quasi uno studente su cinque. Le altre regioni in cui si conta una quota di studenti in condizione di dispersione implicita maggiore al 10% sono: Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna. 

Per quanto riguarda il percorso educativo dei minori con background migratorio, tornando alle rilevazioni di Save the Children, la pandemia in molti casi ha comportato l’interruzione dell’insegnamento della lingua italiana e delle attività extrascolastiche, la mancanza di dispositivi tecnologici per seguire le lezioni, la mancanza di occasioni di socialità e di rapporto scuola-famiglia.

Gli Stati Uniti e l’assenteismo

Anche negli Stati Uniti la pandemia ha cambiato la relazione tra giovani e scuola. Come racconta il New York Times, nei 4 anni trascorsi da quando la pandemia ha portato alla chiusura temporanea delle scuole, l’istruzione statunitense ha faticato a riprendersi su diversi fronti, dalle lacune nell’apprendimento alle iscrizioni.

Il problema ancora oggi più pervasivo e ostinato però è il forte aumento dell’assenteismo studentesco, continuato per molto tempo dopo la riapertura delle scuole.

A livello nazionale, secondo i dati più recenti dell’American Enterprise Institute, lo scorso anno scolastico circa il 26% degli studenti delle scuole pubbliche è stato cronicamente assente, rispetto a un livello del 15% pre-pandemico, dove per assenza cronica si intende la mancanza per almeno il 10% dell’anno scolastico, pari a 18 giorni circa.

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