Alla fine dello scorso anno, il Merriam-Webster Dictionary ha nominato “gaslighting” come la parola del 2022: “Si è registrato un aumento del 1740% delle ricerche di gaslighting, con un interesse elevato durante tutto l’anno”. Un riconoscimento che conferma la necessità della letteratura scientifica in termini di violenza e manipolazione psicologica, e allo stesso tempo funge da campanello d’allarme per chi non ha familiarità col termine, e forse ne è vittima.
Cos’è quindi il gaslighting? Oggi è riconosciuto come un tipo di abuso nelle relazioni finalizzato a manipolare la realtà della vittima, confondendola e privandola della fiducia in sé stessa e nelle sue capacità cognitive, fino a dubitare delle proprie facoltà mentali. Potremmo tradurre gaslighting come “asservimento” o “schiavitù percettiva”. Chi la subisce è quasi sempre una donna, e questo fa rientrare il fenomeno del gaslighting nello schema della violenza di genere.
Nel corso degli ultimi anni, in cui l’attenzione mediatica e scientifica si è concentrata su violenza di genere e abuso psico-fisico, sono stati individuati diversi stadi del rapporto tra quello che viene definito “gaslighter” (persona abusante) e il “gaslightee” (vittima), oltre che differenti profili psicologici attribuiti al gaslighter. Il ruolo del gaslightee risulta sia passivo sia attivo, dato dal legame di dipendenza e dal bisogno di costante approvazione da parte del gaslighter. Quest’ultimo necessita di vedere accettata la sua realtà distorta, qualsiasi essa sia, così da alimentare il suo status di manipolatore e il potere dato dal controllo esercitato.
Origini del gaslighting: dalla finzione alla realtà
Il termine “gaslighting” prende il nome dall’opera teatrale Gas light (luci a gas) del 1938, successivamente riadattata del film Gaslight (Dickinson, 1940). Protagonisti, una coppia sposata in crisi. Lui, esercitando diverse strategie tra cui l’alterazione della luce delle lampade a gas nel loro appartamento, porta la moglie a dubitare della sua percezione della realtà fino a farle perdere il senno. La donna nota l’abbassamento delle luci, ma sua marito lo nega, accusandola di immaginare fenomeni che non esistono. Ci sono stati altri remake dell’opera teatrale, tra cui Gaslight (1944, Cukor), il cui titolo fu tradotto in italiano con “Angoscia” ed è il film che viene solitamente citato quando si parla di gaslighting.
La parola “gaslighting” appare nell’articolo The gas-light phenomenon (Barton, Whitehead, 1969), trovando spazio in numerose pubblicazioni successive tra gli anni Settanta e Ottanta. Ma chi ha poi diffuso il verbo è la psicoterapeuta Robin Stern, che con il suo libro “The Gaslight Effect: How to Spot and Survive the Hidden Manipulation Others Use to Control Your Life” (Harmony, 2007) ufficializza il gaslighting come fenomeno relazionale tra due individui non necessariamente amanti, ma anche parenti o colleghi di lavoro. Stern prende l’asservimento del gaslighting e lo applica in contesti relazionali intimi, lavorativi e famigliari, analizzando contesti che vanno anche al di là del coinvolgimento romantico.
Il contributo dello psicoterapeuta Robin Stern
Stern, Ph.D. e co-fondatrice dello Yale Center for Emotional Intelligence, pubblica The Gaslight Effect prendendo spunto dalle sedute delle sue pazienti (ammettendo che la quasi totalità delle vittime di gaslighting è di genere femminile), proponendo un’analisi lucida delle variabili tra abusante e vittima. È la parte lesa a idealizzare il partner, il parente, il collega, volendo vedere in lui una figura integra e protettiva. L’idealizzazione è la grande trappola del gaslighting, spesso data da ulteriori fenomeni di manifestazioni paradossali come quella del love bombing: termine con il quale si intendono dimostrazioni d’affetto al limite dell’assurdo, generate in una fase iniziale e non più riproposte nel rapporto (poiché sostituite da atteggiamenti lesivi e manipolativi). Spesso questo approccio basta alla vittima per attivare meccanismi di sottomissione.
Dal libro “The Gaslight Effect”: i tre stadi della schiavitù percettiva
Stern individua tre fasi del gaslighting, di cui la terza (l’oblio) prevede un asservimento così totale da aver privato una persona della sua intima integrità, o peggio ancora, di qualsiasi stimolo che possa portarla ad essere felice. Assistiamo a un totale scollegamento tra ciò che eravamo, ciò che volevamo e ciò che ci siamo imposti di volere. L’autrice stessa ammette di essersi avvicinata al fenomeno del gaslighting dopo aver seguito diversi casi donne depresse, molto confuse e incapaci di prendere decisioni nonostante l’integrità della loro persona o delle loro carriere. Quello che è necessario capire delle relazioni disfunzionali è che navigarci dentro equivale mettere a rischio molte delle cose per cui abbiamo lottato nel corso della nostra esistenza. Per comprendere i tre stadi del gaslighting descritti da Stern, come legenda chiameremo il gaslighter X (manipolatore) e il gaslightee Y (vittima).
Incredulità: Il comportamento inaspettato del gaslighter, negativo e ambiguo, mette la persona Y in uno stato di confusione, frustrazione e ansia. In questo caso assistiamo a distorsione della realtà e all’attribuzione di comportamenti mai avvenuti ad Y.
Difesa: A questo punto, da reazioni occasionali, si comincia a individuare un meccanismo di attivazione, dove la serenità del rapporto dipende dall’asservimento di Y, e quindi dalla soddisfazione di X.
Depressione: In questa fase la follia dell’effetto gaslight è diventata normalità. Si sono aggiunti disturbi psico-fisici legati all’ansia, quali sudorazione, palpitazioni, mal di stomaco o altri disordini. Raggiungiamo stati di apatia o depressivi. Ci siamo dimenticati cosa ci piaceva mangiare, leggere, e come ci relazionavamo in maniera sana con i nostri cari. Il terzo stadio viene descritto come la fase in cui, in alcuni casi, possono subentrare episodi di violenza fisica da parte di un partner violento.
Secondo Stern, il passaggio tra il primo e il secondo stadio implica la consistenza del comportamento, non più incidenti sporadici ma pattern mentali e comportamentali. Il passaggio dal secondo al terzo riguarda maggiormente lo stato della persona Y, la sua mancanza di prospettiva e la sua totale idealizzazione del soggetto X. Entro in gioco la paura dell’umiliazione, individuata da Stern come il timore di ammettere (a noi e agli altri) che stiamo sbagliando qualcosa. La domanda che le pazienti della psicoterapeuta si fanno è: “Siamo donne intelligenti, com’è possibile che siamo finiti in questo tunnel di umiliazione totale?”. Perseverare in un rapporto tossico sembra quasi una soluzione migliore piuttosto che chiedere aiuto o ammettere di non riuscire a trovare una soluzione.
Gaslighting: violenza domestica e comprensione giuridica del fenomeno
All’interno del terzo stadio, l’abuso emotivo viene spesso associato a un abuso fisico di natura principalmente domestica. Oltre alla difficoltà della vittima di denunciare il suo aguzzino, la stessa legge fatica a far rientrare i comportamenti maltrattanti all’interno di un quadro giuridico sufficiente per parlare di reato. Dall’approfondimento pubblicato su onap-profiling.com emerge che il gaslighting, come fenomeno abusante, non gode ancora di un riconoscimento in ambito processual-penalistico e giurisprudenziale come fattispecie di reato. La giurisprudenza più recente ha evidenziato nella condotta del gaslighter in particolare tre fattispecie di reati: “Violazione degli obblighi di assistenza famigliare” (ex art 570 Codice penale), “Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli” (ex nell’art 572 Cp) e i cosiddetti “Atti persecutori” (ex 612 bis Cp). La valutazione di tali casistiche facilità l’analisi del comportamento del gaslighter, o autore delle condotte lesive.
Cosa spinge il gaslighter a essere un manipolatore?
Quello che manca in Stern è un approfondimento del profilo psicologico del gaslighter. Ci propone le tre figure del Glamorous, Good Guy e Intimidator, ma la vera domanda è: perché una persona X attiva questo meccanismo perverso a danno di chi dice di amare?
Come evince dall’articolo scientifico Gaslighting, Cofabulation, and Epistemic Innocence (Grand Vallley State University, 2018) a cura del professor Andrew Spear, “il gaslighter ha difficoltà a identificare, gestire ed esprimere le emozioni e soffre di un forte senso di vulnerabilità, come molte persone che commettono abusi”. Non tollera la possibilità di un disaccordo o critiche sul suo modo di vedere le cose e il suo scopo è quindi eliminare ogni possibilità che ciò si verifichi minando la concezione che la vittima ha di sé e convincendola del fatto che non deve fidarsi di sé stessa in quanto troppo sensibile, dotata di una percezione della realtà difettosa, che non le permette di potersi fidare dei suoi stessi giudizi né di essere competente nel prendere decisioni.
Preston Ni, professore e autore di “How to Successfully Handle Narcisists” and “How to Successfully Handle Gaslighters & Stop Psychological Bullying”, individua alcuni tratti comuni tra narcisisti e gaslighters. “Non tutti i narcisisti e i gaslighters possiedono tutte le caratteristiche identificate – specifica – tuttavia, è probabile che i narcisisti cronici e i gaslighters mostrino almeno regolarmente alcune delle seguenti caratteristiche”. Di seguito una breve sintesi:
Bugie ed esagerazioni frequenti: sia i narcisisti che i gaslighters sono inclini a frequenti bugie ed esagerazioni (su sé stessi e sugli altri) e hanno la tendenza a sollevarsi mettendo gli altri in secondo piano. Sia i narcisisti che i gaslighters possono essere abili nella distorsione dei fatti, nelle falsità deliberate e nelle coercizioni negative. Una differenza chiave è che mentre il narcisista mente ed esagera per aumentare la sua fragile autostima, il gaslighter lo fa per aumentare il suo dominio e controllo.
Aggressività: molti narcisisti e gaslighters reagiscono male quando vengono chiamati a rispondere del loro comportamento negativo. Molti gaslighters vedono le relazioni come intrinsecamente competitive piuttosto che collaborative. “L’attacco è la migliore difesa” è un mantra per molti gaslighters, e rappresenta anche il loro metodo aggressivo di relazionarsi con le persone.
Falsa proiezione d’immagine: sia i narcisisti che i gaslighters tendono a proiettare al mondo immagini false e idealizzate di sé stessi, per nascondere le loro insicurezze interiori. Questo “complesso del trofeo” può manifestarsi fisicamente, socialmente, religiosamente, finanziariamente, o professionalmente.
Perché è difficile chiedere aiuto e come farlo
Molte donne non hanno gli strumenti culturali ed economici per riconoscere di essere vittime di manipolazione psicologica che spesso avviene nell’ambito domestico, l’analisi dei dati e le casistiche testimonia la presenza di abusi in contesti famigliari e associate a partner o ex-partner. Ma cosa intendiamo quando parliamo di cultura? Gli aspetti fondamentali da considerare riguardano l’appartenenza a un determinato contesto/ceto sociale, e ancora la necessità di un approccio formativo che includa l’intero spettro di cosa intendiamo per violenza di genere. L’antropologa Françoise Heritier, nel 1997 definì la violenza come “qualunque atto intrusivo che ha come effetto volontario o involontario l’espropriazione dell’altro, il danno, o la distruzione di oggetti inanimati”. La volontaria espropriazione dell’altro fa parte di una disfunzionalità relazionale e come tale va affrontata conoscendone le origini, l’evoluzione e i rischi.
Cosa fare se sei vittima di gaslighting? Non essendo riconosciuta come una forma di reato e tantomeno come un fenomeno prettamente scientifico, il gaslighting va trattato come una forma di violenza psicologica. Proprio per questo il primo step è chiedere aiuto a una persona competente, ad esempio uno psicoterapeuta, che possa supportarci nell’identificazione del pattern relazionale in atto e a capire come allontanarcene. Il gaslighting è denunciabile quando entrano in gioco forme di abuso come maltrattamenti, stalking, minacce e violazione di obblighi di assistenza famigliare, questi ultimi riconosciuti invece come tipologia di reato.
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Se stai subendo stalking, violenza verbale o psicologica, violenza fisica puoi chiamare per avere aiuto o anche solo per chiedere un consiglio il 1522 (il numero è gratuito anche dai cellulari). Se preferisci, puoi chattare con le operatrici direttamente da qui.
Puoi rivolgerti a uno dei numerosi centri antiviolenza sul territorio nazionale, dove potrai trovare ascolto, consigli pratici e una rete di supporto concreto. La lista dei centri aderenti alla rete D.i.Re è qui.
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