Salute mentale, ci manca il coraggio di cambiare

Di cosa parliamo quando parliamo di “salute mentale”? L’Organizzazione mondiale della sanità la definisce come “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non semplice assenza di malattia o di infermità”. La salute mentale è inclusa quindi nell’ambito più generico della salute, e prevede uno stato di benessere, che, psicologicamente parlando, possiamo associare a un senso di serenità, tranquillità, alla realizzazione personale e sociale, ad avere buone relazioni con gli altri, alla capacità di vivere il momento presente non troppo condizionati da pensieri sul passato e sul futuro, al sentirsi adeguati al mondo, ad essere consapevoli delle proprie risorse e dei propri limiti, e a saper vivere senza paura gli inevitabili momenti di gioia e dolore che la vita porta con sé.

Il disagio psichico è in costante aumento

Tutti gli studi più recenti sono concordi nell’indicare che i problemi mentali sono in aumento: una delle ultime ricerche, di settembre 2023, è una ricerca pubblicata su The Lancet Psychiatry e condotta dall’Università del Queensland e dalla Harvard Medical School, basata sui dati ufficiali dell’OMS, riguardarti circa 150.000 individui provenienti da 29 Paesi del mondo. I ricercatori stimano che una persona su due entro i 75 anni svilupperà un disturbo mentale, mentre nella precedente stima del 2019 era a rischio una persona su otto. E purtroppo l’aumento più significativo si rileva tra i giovani, con una media di insorgenza di 19 anni negli uomini e 20 nelle donne. Proprio in occasione della Giornata modiale della salute mentale, l’Unicef ricorda che a livello globale oltre 1 adolescente su 7 tra i 10 e i 19 anni vive con un problema di salute mentale diagnosticato e che il suicidio è la quarta causa principale di morte tra i giovani fra i 15 e i 19 anni. Nel mondo, quasi 46.000 adolescenti muoiono a causa di suicidio ogni anno – più di uno ogni 11 minuti.

Maggiore attenzione, ma le parole non bastano

Certamente veniamo tutti dal faticoso e lungo periodo della pandemia, che non ci ha aiutato e ha contribuito senza dubbio a esasperare la nostra condizione psicologica: ma perché, nonostante oggi se ne parli più di sempre, e nonostante il proliferare di strumenti che vorrebbero alimentare il benessere di ognuno, sembra che la nostra salute mentale anziché migliorare peggiori? In parte l’aumentata attenzione mediatica sul fenomeno è ovviamente positiva, perché lo ha portato alla luce, e non è affatto detto che quando non ne parlavamo stessimo meglio, anzi. In parte, però, credo anche che si pensi che aver acceso i riflettori sui disturbi mentali, l’aver finalmente sdoganato il poterne parlare senza vergogna, possa bastare a “risolverli”. Non è così: la consapevolezza è assolutamente sempre il primo passo necessario per ogni trasformazione, ma poi c’è la necessità di attivarsi perché il cambiamento prenda piede e si concretizzi.

Serve passare all’azione

Nel caso della salute mentale ben vengano i vip che sui social raccontano le loro esperienze – è di pochi giorni fa il ringraziamento del presidente della Società italiana di psicofarmacologia a Fedez per aver parlato della sua depressione: “Serve una mano da tutti per ridurre lo stigma, e le istituzioni prestino ascolto”, dice Claudio Mencacci, e chiosa: “I disturbi mentali sono in aumento e l’Italia investe troppo poco”. Dopo aver preso consapevolezza del disagio, quindi, come conclude anche Mencacci, bisogna in qualche modo passare all’azione, investire sugli aiuti e far comprendere, in questo mondo in cui siamo tutti abituati a tempi ridotti e frenetici, in cui abbiamo perso il senso del “processo”, che il passaggio dal malessere al benessere richiede tempo, attenzione, cura, e soprattutto la capacità di affidarsi a esperti che sappiano come attivare e sostenere il cambiamento.

Intervenire nelle scuole può fare la differenza

Parlando di giovani e avendo lavorato per molti anni negli sportelli d’ascolto di scuole medie e superiori, considero questo un investimento vitale, centrale, fondamentale che il governo dovrebbe cavalcare senza sosta: prendere in tempo il disagio fa tutta la differenza e spesso evita che esso si cronicizzi in un disturbo vero e proprio. I ragazzi sono ricettivi, disponibili, non vedono l’ora di potersi raccontare e di trovare adulti di riferimento che li aiutino a identificare le loro risorse e a utilizzarle. Lo psicologo a scuola può rappresentare anche l’opportunità di far comprendere alle nuove generazioni che della propria salute mentale non solo ci si può, ma ci si deve prendere cura se si vuole aspirare al benessere più completo. Il coraggio di cambiare, citato nel titolo, può servire sì, al singolo per cercare un percorso d’aiuto personale, ma anche alla società che, come nel caso del sostegno psicologico nelle scuole, può promuovere strumenti di crescita preziosissimi, puntando soprattutto ai giovani.

La storia di Giulio e il senso della cura

A volte si riescono anche a prevenire rischi estremi, come è successo con Giulio, arrivato allo sportello d’ascolto alla fine del quinto superiore con pensieri suicidari, molto concreti, legati al non riuscire ad accettare la propria omosessualità. Con calma, pazienza e un lavoro certosino, che è passato anche attraverso l’invio dei genitori a un collega che potesse aiutarli, ho potuto poi continuare con Giulio il processo terapeutico nel mio studio (dopo la fine della scuola ovviamente), e ho ricevuto da lui queste parole scritte, a lavoro non ancora terminato, che riporto qui perché spero possano aiutare a rendere il senso della cura e l’importanza di esserci per intercettare chi non riesce a comprendere, gestire e comunicare il proprio disagio.

Se penso alle prime volte in cui ci siamo visti, mi viene in mente che il lavoro con lei per me è stato come un drenaggio, mi sono sentito come una spugna che ogni volta veniva strizzata e rilasciava impurità. Se non l’avessi incontrata probabilmente oggi avrei lasciato questo mondo, e che incommensurabile errore avrei commesso! Ho invece appreso come ascoltarmi, ho capito il senso di quelle voci che mi facevano sentire sbagliato e terrorizzato, ho potuto comunicare con i miei genitori e piano piano superare il conflitto e sentirmi accolto. Ho potuto vivere, la cosa che mi terrorizzava di più al mondo, e oggi so apprezzare la bellezza e goderne. So che la strada è ancora
lunga ma ora insieme a me c’è un sentimento nuovo: la fiducia, e nessuno potrà più portarmela via”.

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