Scuola e Dl Caivano: parla da Palermo la preside anti-dispersione

Il  decreto Caivano,in Gazzetta dal 15 settembre con il n. 123 è la risposta dello Stato ai fatti di cronaca che hanno portato alla luce stupri e pedofilia al Parco Verde e al centro sportivo abbandonato Delphinia nel napoletano. Il decreto legge contenente “Misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile, nonché per la sicurezza dei minori in ambito digitale” è attualmente all’esame in sede referente delle commissioni Affari Costituzionali e Giustizia del Senato per la conversione in legge.

Nel provvedimento, oltre a interventi infrastrutturali urgenti in favore del Comune di Caivano e del centro sportivo, dopo la nomina di un commissario straordinario poi individuato nella figura di Fabio Ciciliano, dirigente medico della Polizia di Stato, ci sono progetti finanziati dal ministero dell’Università e della Ricerca, misure in favore dell’orientamento e del supporto agli studenti, assunzioni di docenti e personale Ata per combattere la dispersione scolastica, un piano asili nido.

Ma ci sono anche le misure a tutela della sicurezza pubblica. C’è insomma la repressione: il Daspo urbano (ossia il divieto di accesso a determinate aree della città) per i ragazzi sopra i 14 anni, il foglio di via obbligatorio, il carcere preventivo e le sanzioni in capo ai genitori fino alla decadenza della responsabilità genitoriale, sul modello Di Bella oggi presidente del Tribunale per i minorenni a Catania (limitazione o decadenza come conseguenza della violazione delle prescrizioni impartite dal tribunale ai genitori e volte al recupero sociale dei minori interessati e delle competenze educative dei bambini).

Inevitabile guardare ai costi. Al netto delle risorse stanziate per gli interventi infrastrutturali e non assegnate per carenza di fabbisogno, per successive rinunce o definanziamenti, quello dei denari – non può tacersi – è tasto dolente. La stessa nota di lettura del Servizio del bilancio al Senato lascia aperti non pochi interrogativi. Lo studio evidenzia la necessità di chiarimenti e di maggiori dettagli e conclude ritenendo che non risulti possibile effettuare una valutazione sulla coerenza delle risorse assegnate rispetto agli interventi da finanziare, dal momento che “la dinamica della spesa degli interventi e la coerenza anche temporale delle risorse assegnate potrà essere assicurata solo con successivo Dpcm”. È messa nero su bianco, peraltro, la necessità di assicurare che la destinazione per le finalità in programma “non determini un pregiudizio nei confronti delle altre finalizzazioni previste a legislazione vigente a valere sulle medesime risorse”. Non è chiaro insomma né se basteranno i soldi, né se per trovarne altri sarà necessario sottrarli ad altri progetti.

Quando si parla di minori così fortemente coinvolti in attività criminose, il punto centrale è uno: l’obbligo scolastico. Per legge l’istruzione deve essere impartita per almeno dieci anni (dai 6 ai 16 anni), è obbligatoria (e gratuita) ed è finalizzata al conseguimento di un titolo di studio di scuola secondaria superiore o di una qualifica professionale, di durata almeno triennale, entro il diciottesimo anno di età.

Alley Oop ha incontrato la professoressa Antonella Di Bartolo, dirigente dello Sperone-Pertini di Palermo, quartiere periferico a Sud- Est del capoluogo siciliano. La preside ci parla subito di un territorio con diritti speciali dove la scuola assume doveri speciali. Sotto la sua guida allo Sperone la dispersione scolastica è in controtendenza, perché passata dal 27% all’1%. In linea generale siamo i peggiori d’Europa: Openpolis a settembre del 2021 mette la Sicilia al primo posto, tra i 18 e 24 anni, con picchi altissimi a segnare il passaggio tra la scuola media e la secondaria superiore.

La Commissione regionale antimafia della scorsa legislatura ci consegna un’inchiesta i cui risultati individuano una “predisposizione strutturale” del territorio alla dispersione scolastica. Che cosa ne pensa?
Penso che il problema sia che si tratta di aree svantaggiate e le aree svantaggiate si prestano a fenomeni di dispersione scolastica. Accade perché sono territori in cui mancano servizi, manca una presenza istituzionale importante. La Commissione all’Assemblea regionale siciliana scatta un’istantanea del lavoro dei dirigenti, definisce quell’impegno quasi eroico e poi chiosa: “Troppo poco per offrire ai minori dello Sperone, di Librino o di Giostra un progetto di futuro consapevole che li riscatti dalle loro storie, dai quartieri dormitorio, dall’assenza di spazi di socialità, da famiglie rassegnate, dai devastanti modelli culturali proposti dalla mafia”.

Presidi e scuole come “argini” tra i minori e la violenza pervasiva della criminalità, possiamo dire così?
Certamente. La mia esperienza è in un’area limitrofa a Brancaccio. È il quartiere dove trent’anni fa operava padre Puglisi, ma è anche il territorio dei boss Graviano, un territorio che per anni sembra essere stato governato da coloro che hanno voluto l’uccisione di Paolo Borsellino. Qui mancano i servizi di base, lo Stato non è presente come dovrebbe.

Mi faccia un esempio.
Per me è impensabile trovarci a contrastare la dispersione scolastica in un quartiere dove non c’è nemmeno un asilo nido. Arriviamo quando è già tardi e facciamo una fatica doppia, tripla.

Qual è il ruolo che deve avere la scuola in territori come lo Sperone?
È soprattutto una questione di riconoscimento. La scuola non deve essere vista solo come agenzia educativa, ma deve essere percepita come presidio dello Stato, aiuto per le famiglie: questa è la visione che dovrebbe essere coltivata sin dalla più tenera età.
Non dobbiamo dimenticarci che l’asilo nido è un luogo in cui si moltiplicano le opportunità educative per i bambini. Non è solo luogo di servizi ma anche è prima di tutto un luogo di processi di mentalizzazione e ce ne sono alcuni che se non vengono attivati entro i tre anni d’età non si attiveranno più.

Qual è il pericolo che lei vede?
Il pericolo è che si perda quel rapporto di prossimità con la scuola, quella relazione fiduciaria che bisogna promuovere sin dall’inizio; sennò poi è difficile, anche se non è mai troppo tardi. (A proposito di ricucire quel rapporto di fiducia, in occasione dell’audizione in Commissione regionale antimafia, Antonella Di Bartolo dava il senso e la misura della realtà, quando riferiva di una sola operatrice psicopedagogista a fronte di una ventina di scuole, ndr).

Come si fa in concreto ad attirare e trattenere gli studenti con una sola operatrice psicopedagogista?
L’operatrice è un’eccezionale professionista, ma ha un carico che è di 17 scuole, poste su un territorio che è tutto complicato; la seconda circoscrizione ha certamente anche zone relativamente meno problematiche di quanto non sia il quartiere Sperone ma è tutta un’area complessa. Anche con la migliore professionalità possibile non si riescono a intercettare e a governare nel modo giusto tutte le situazioni personali, ciascuna profondamente diversa dalle altre.

Cosa serve allora in questa parte di Paese?
Intanto sono necessarie delle azioni di sistema, una maggiore presenza di operatori psicopedagogici sarebbe auspicabile, ma altresì lo sarebbero delle azioni di rafforzamento di competenze di base, come leggere e scrivere. Un bambino che non si sente all’altezza, che non fa ciò che è previsto che faccia alla sua età, finisce per mettere in atto un desiderio di fuga o per incarnare il ruolo del reietto. Ecco se il ruolo dello studente non puoi più interpretarlo nel modo giusto, provi a metterti nei panni del ribelle, del ragazzo che a scuola non ci sta perché scuola vuol dire regole, assolvimento di un obbligo. E poi è certamente anche una questione di linguaggio: forse sarebbe meglio parlare di diritto all’istruzione, di desiderio scolastico più che di obbligo scolastico.

È un fiume in piena la preside, quando passa a parlare di risorse. È quello il nervo scoperto?
Certo, noi cerchiamo di fare del nostro meglio, con le risorse che abbiamo e che sono assolutamente inadeguate. Cucire un percorso educativo personalizzato addosso a ventidue studenti, ognuno con le sue caratteristiche e le sue problematiche, è impossibile. In alcune aree con diritti educativi speciali bisognerebbe fissare un numero massimo, penso a quindici alunni per classe, e intervenire con delle risorse extra, in termini di offerta formativa extracurriculare, nei tempi dell’estate, sabati, domeniche. Il fatto è che quando parliamo di dichiarazioni d’intenti siamo tutti d’accordo, quando poi bisogna mettere nero su bianco e creare le condizioni diventa più difficile, dobbiamo fare i conti con le risorse. Le volte che le autorità sono venute da noi lo hanno fatto spesso in maniera occasionale e ahimé promettendo e non mantenendo.

Si riferisce al Pnrr?
Sì, prenda proprio tutta la discussione sui fondi Pnrr e le azioni previste per l’area territoriale in cui insiste il quartiere Sperone: molte delle azioni che erano state annunciate sono state estromesse dal programma. Quando la notizia è arrivata è stata vissuta come l’ennesima occasione mancata per il quartiere. Certamente, la scuola ha una sua missione istituzionale che è quella di creare formazione e competenze di tipo culturale, ma non può chiudersi nelle aule e far finta che il mondo intorno non esista, soprattutto in un quartiere multiproblematico. Qui il rischio è che ciò che viene detto in classe sia assolutamente smentito dalla realtà circostante, il pericolo è che si creino due mondi paralleli. La scuola non è un mondo parallelo, è essa stessa comunità; deve guardarsi attorno per essere nel presente; deve raccogliere desideri, aspirazioni; insegnare a pensare; insegnare a sognare.

In conclusione, ci dica: si è già fatta un’idea sul decreto Caivano?
Intanto dico che dobbiamo aspettare per capire quale possa essere la declinazione pratica di quella norma. Ma sin d’ora le dico che sul fatto che ci sia dentro un richiamo alla responsabilizzazione delle famiglie, come degli studenti e delle studentesse, io  sono d’accordo. Penso anche però che le misure punitive da sole non possano bastare, come accade nel contrasto alla criminalità organizzata. Penso soprattutto che bisognerà agire sulla prevenzione ed è quello che proviamo a fare noi da dieci anni a questa parte. In una battuta, dico: io spero di arrivare prima!

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