Dalle risaie ai social network, trasportata dall’onda delle proteste: è il viaggio nella Storia di Bella Ciao, canto popolare delle braccianti agricole del Nord Italia e oggi inno adottato dai movimenti di tutto il mondo. Le sue parole in Italia fanno da accompagnamento alle celebrazioni del 25 aprile, giorno in cui si ricorda la fine del regime fascista e dell’occupazione nazista, mentre le note evocano la libertà, la lotta contro le dittature e l’opposizione agli estremismi in tutto il mondo.
Bella Ciao si è diffusa in decine di versioni e traduzioni e, fin dall’attacco, è sempre capace di accendere emozioni e coinvolgimento. Così oggi risuona nelle piazze di Hong Kong, Istanbul e New York ma anche nelle trincee ucraine e tra i cortei di manifestanti in Iran.
In principio erano le mondine. Forse.
Il brano ha origini incerte e una “natura girovaga”, come scrive Carlo Pestelli nel suo libro Bella ciao – La canzone della libertà. Il canto è frutto di diversi apporti culturali, nel tempo è segnato dall’incontro con decine di idiomi ma, sostiene Pestelli, echi della melodia circolavano già da molto prima dell’ultima guerra mondiale. Secondo una delle versioni più accreditate, Bella Ciao nasce tra le risaie del Nord Italia dove veniva cantata dalla mondine in protesta per le dure condizioni di lavoro.
Nei decenni successivi la melodia resta ma il testo cambia ed ecco che Bella Ciao approda tra le fila della Resistenza partigiana. Dagli anni Sessanta diventa il canto universale che oggi conosciamo, capace di trovare ogni giorno una nuova voce ad animarlo. Il concetto che l’accompagna è sempre quello di resistenza, tanto che nel 2020 veniva anche cantata dai balconi nei primi giorni di lockdown in Italia, per rassicurarsi l’un con l’altro che un giorno la normalità sarebbe stata ritrovata.
La canzone poliglotta
Nel complesso, la canzone, che è parte integrante del nostro patrimonio culturale, è stata tradotta in più di 50 lingue ed è sempre colonna sonora di lotte per la giustizia, l’uguaglianza e la libertà. Per fare qualche esempio: l’hanno cantata le combattenti curde di Kobane, il movimento Occupy Wall Street nel cuore finanziario d’America e, ancora, i manifestanti turchi tra Piazza Taksim e il parco di Gezi.
Tra il 2020-21 online viene pubblicato un adattamento hindi della canzone, Wapas jao. Il video nasceva a sostegno degli agricoltori del Punjab, Haryana, Uttar Pradesh e altri stati indiani che protestavano contro le leggi agricole introdotte dal governo di Modi. Nell’estate 2022 un video immortala alcuni manifestanti del movimento Gota Go Gama dello Sri Lanka cantare una versione singalese di Bella Ciao, dopo le tanto attese dimissioni del presidente Gotabaya Rajapaksa.
Nelle ultime settimane Bella Ciao si è conquistata anche una traduzione in swahili, la più diffusa lingua africana. L’idea è stata degli studenti dell’Università degli studi di Napoli L’Orientale che, con la supervisione della docente Flavia Aiello e della collaboratrice linguistica Fatuma Tandika, hanno tradotto e cantato la canzone per celebrare il 25 aprile.
Eredità culturale
Cambiano le parole (e le lingue) ma i principî al centro restano gli stessi. La forza del successo di Bella Ciao risiede infatti nel concetto di “portabilità”, cioè – spiegano i ricercatori Daniele Salerno e Marit van de Warenburg nello studio ‘Bella ciao’: A portable monument for transnational activism – la capacità di un artefatto culturale di essere un modello adattabile a diversi contesti.
Le cause sposate cambiano ma l’uso creativo dell’eredità culturale dei movimenti passati dà forma a sempre nuove storie. Uno degli ultimi (e più contemporanei) riutilizzi di Bella Ciao chiama in causa i movimenti femministi del 2020. E così Bella Ciao torna in piazza a Breslavia e Buenos Aires. Il merito è anche, in questi casi, dell’ondata pop portata da La casa di carta. La canzone è infatti il pezzo portante della colonna sonora della produzione Netflix e, in particolare, viene usata per due scene celebrative. Il successo internazionale dello show le dà nuova linfa e decreta il successo anche tra le nuove generazioni (con tanto di remix dance).
Chiave femminista
Le sue mille vite hanno portato Bella Ciao anche sugli schermi tv ma dalle piazze lei non se ne è mai andata. Nel 2020 viene appunto adottata anche dai movimenti transnazionali per i diritti all’aborto in Argentina e Polonia. Le note restano le stesse ma, sottolineano Salerno e van de Warenburg, la melodia diventa modello per una nuova canzone che dà voce alle rivendicazioni degli attivisti del movimento per il diritto all’aborto.
Nell’ottobre 2020 la Corte costituzionale polacca vieta la pratica, salvo casi eccezionali, e in piazza si canta “Pewnego czwartku polski trybunał próbował przejąć moje ciało, twoje ciało, ciało, ciało” (“Un giovedì, il Tribunale polacco ha cercato di impadronirsi del mio corpo, del tuo corpo, corpo, corpo, corpo!“).
Nello stesso anno, a distanza di poche settimane, il Congresso argentino va in senso opposto. E mentre nel palazzo si sta per votare un disegno di legge che legalizza l’aborto, fuori attiviste e attivisti intonano: “Este sistema que nos oprime/caerá, caerá, caerá” (“Questo sistema che ci opprime/cadrà, cadrà, cadrà“).
La protesta corre online
Bella Ciao fa parte del repertorio dei movimenti di opposizione che, oggi, grazie alla rete, raggiungono con le loro istanze tutto il mondo. Della canzone esistono infatti varie versioni anche in persiano, adottate da attivisti e manifestanti iraniani dopo la morte di Mahsa Amini. Una tra le più condivise è quella delle sorelle Samin e Behin Bolouri che la cantano in farsi. Il video è stato ampiamente girato su Instagram, Twitter e TikTok e ha raggiunto milioni di visualizzazioni. Sempre in Iran, a cantarla è stato un gruppo di studentesse che, togliendosi il velo a scuola, l’ha intonata come protesta contro il regime dell’Ayatollah Ali Khamenei.
A distanza di quasi 80 anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, il canto della Resistenza e dei partigiani italiani incontra ancora la guerra. E’ l’Ucraina del 2022. La cantante folk Khrystyna Solovyy riadatta l’inno al contesto dall’attuale invasione russa, lo intitola “L’ira ucraina” e la canzone viene cantata anche in trincea. Un altro Paese, ma la stessa voglia di libertà e resistenza.
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