I dati che abbiamo e quelli che mancano per capire la violenza di genere

Quanto è difficile capire quando una donna sta rischiando la vita a causa della violenza di un uomo che vuole controllarla? Cosa serve per chiarire il quadro spesso opaco e subdolo della violenza che si nasconde nelle mura domestiche o nelle relazioni di coppia? L’ultimo caso di cronaca è quello del drammatico femminicidio di Martina Scialdone, avvocata di 35 anni, uccisa a Roma a colpi di pistola dall’ex compagno, il 61enne Costantino Bonaiuti, fuori dal ristorante dove i due avevano cenato.

Un altro femminicidio, ma non l’unico in un inizio di anno che ha visto già 5 donne uccise, tutte in ambito familiare-affettivo. Il fenomeno della violenza di genere ha bisogno di azioni più incisive, concrete e di uno sforzo ancora maggiore di prevenzione. Perché le politiche siano efficaci e mirate, però, il quadro deve essere chiaro e i dati che lo descrivono devono essere certi, accurati e va in questa direzione la legge n. 53 del 5 maggio 2022, che rece punta a garantire un flusso informativo adeguato per cadenza e contenuti sulla violenza contro le donne per progettare adeguate politiche di prevenzione e contrasto e per assicurare un effettivo monitoraggio del fenomeno.

Al via la rilevazione delle notizie relative ai procedimenti giudiziari sulla violenza

La novità di inizio anno è l’avvio da parte del ministero della Giustizia della rilevazione dei dati relativi ai procedimenti giudiziari. Informazioni come età delle vittime, relazione con l’autore del reato, tipo di crimine commesso e modalità per realizzarlo alimenteranno la banca dati sulla violenza di genere. Un passo avanti previsto e importante, secondo gli esperti, ma le questioni aperte restano tante dopo la legge 53.

Si tratta di un passaggio sicuramente essenziale – commenta Maria Giuseppina dirigente di ricerca Istat, esperta di criminalità, violenza contro le donne e giustizia – ovviamente siamo all’anno zero e pian piano si andrà a popolare un dato fondamentale. Andrà certo verificata con un monitoraggio attento l’attuazione di quanto previsto. Siamo all’inizio, ma quantomeno è un buon inizio“.

Un fattore importante, secondo Muratore, “è che non è solo una fotografia del momento iniziale ma sarà possibile estrarre i procedimenti nelle diverse fasi processuali, con le informazioni che resterrano disponibili nel fascicolo e questo mi pare un aspetto molto buono“. Per Muratore si tratta di un segnale che va nella direzione giusta: “La legge è servita da stimolo, c’è molta attenzione e disponibilità, ora vediamo cosa si produce concretamente. E’ sempre importante curare la formazione degli operatori, lavorare sulla sensibilizzazione“.

Parlando di elementi ancora migliorabili, andrebbe monitorato per esempio “come cambia la fattispecie di reato o quali sono le moticazioni di una archiviazione”, così come “quante denunce ci sono state prima, come si è svolto il procedimento”. Inoltre, “manca ancora tutta la parte processuale civile”.

Per un quadro completo servono i dati del procedimento civile

Il passaggio ulteriore e necessario, quindi, è quello di integrare le informazioni con la parte che riguarda i procedimenti civili. Il grave problema del mancato collegamento e dialogo tra civile e penale è una delle criticità che mette in evidenza la professoressa Teresa Bene, ordinaria di Diritto processuale penale presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II, che sottolinea proprio “l’assenza di qualsivoglia previsione relativa alla raccolta dati in ambito civile. Infatti, non vi è la predisposizione di strumenti idonei a verificare l’incidenza della violenza sulle decisioni giudiziarie in sede civile“, che rende ancora attuali le raccomandazioni del Grevio in tal senso. 

Bene che ci siano i dati, bene che ci sia il collegamento con Istat“, commenta l’avvocata Elena Biaggioni, vicepresidente di D.i.Re – Donne in rete contro la violenza. “La criticità che vedo in questa che è ovviamente una buona notizia è che si è scelta ancora una volta solo la via penale mentre il problema che abbiamo segnalato già più volte sono i dati dei procedimenti civili. Per esempio – spiega l’avvocata – non si sa neanche quante del totale delle cause di separazione lamentino violenza, dato che manca anche nella regolamentazione dei diritti genitoriali. Manca cioè un tassello fondamentale per chiarire il quadro“. 

Servono fondi e stanziamenti ad hoc

Oltre alla questione dei procedimenti civili, osserva ancora la professoressa Teresa Bene, la legge 53 quando parla della rilevazioni dati nelle strutture sanitarie “pone un evidente limite al progetto poiché stabilisce che dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica: una tale linea di (in)azione non è in linea con la Convenzione di Istanbul che all’articolo 8 prevede che le parti stanzino “le risorse finanziarie e umane appropriate per un’adeguata attuazione di politiche integrate, di misure e di programmi destinati a prevenire e combattere ogni forma di violenza rientrante nel campo di applicazione della Convenzione”.

Senza dubbio quindi la legge n. 53 “segna un sensibile punto di svolta rispetto al passato, eppure vi sono alcune criticità a partire dall’incoerente ritrosia dell’ordinamento interno a dare effettività a tale progetto con lo stanziamento di apposite risorse economiche e finanziarie”.

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