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Il benessere psicologico non è accessibile: mancano soldi e consapevolezza

  • 7 Dicembre 2022
  • Biancamaria Cavallini
  • Polis

mathieu-stern-nddvqzkc_fc-unsplash

Quasi il 30% delle persone che ne sente il bisogno, non si rivolge a uno psicologo perché non può permetterselo. Mentre il 21% dei pazienti interrompe il trattamento per la stessa ragione. È quanto emerge in Italia da un report dell’Istituto Piepoli, che ha mappato le richieste di aiuto negli ultimi anni.

Un bisogno non ascoltato

Esiste dunque un gap tra necessità e sostegno ricevuto. Una discrepanza che si riscontra anche a livello europeo. L’Istituto Superiore di Sanità, ad esempio, riporta che coloro che soffrono di malattie mentali non si sottopongono ad alcuna terapia. Per un range che varia dal 44% al 70% rispetto al paese di appartenenza. Se poi la media europea dei finanziamenti destinati alla salute psicologica è pari al 10% della spesa sanitaria complessiva, in Italia questa raggiunge solo il 3,5%. Eppure, ogni anno 84 milioni di persone in Europa sono colpite da un problema di salute mentale. La richiesta, dunque, sembra essere molto più consistente delle reali possibilità di farne fronte. Basti pensare che nel nostro Paese quest’anno sono stati stanziati solamente 38 milioni di euro per far fronte a questa necessità. La Legge di Bilancio 2022 ha infatti destinato 20 mln a infanzia e adolescenza, 10 per le fasce più deboli e 8 per il potenziamento dei servizi territoriali. A questi finanziamenti si sono poi aggiunti quelli del Bonus Psicologo, ma si tratta di cifre insufficienti e senza prospettiva di essere riconfermate nel tempo.

La paura di parlare del proprio disagio

Ecco allora che quelle regioni – ultima la Toscana – ad aver introdotto la figura dello psicologo di base, si distinguono per una particolare sensibilità al tema. Sebbene integrare in maniera strutturale un servizio che prenda in carico la persona nella sua interezza dovrebbe essere la normalità. Si è ancora lontani dal poter dire che la salute psicologica sia accessibile. Alle questioni economiche sopra evidenziate, si aggiungono anche quelle culturali. Da una recente ricerca di BVA Doxa per Asl2 di Roma emerge che il 78% delle persone condivide le proprie difficoltà solo in famiglia, evitando di parlarne con conoscenze e affetti al di fuori. Il 22%, invece, non ne parla con nessuno. Queste risultanze vengono in parte compensate da un altro dato evidenziato dalla ricerca: quasi i tre quarti della popolazione ritiene che andare dallo psicologo non sia qualcosa da nascondere, ma di cui poter parlare liberamente.

Primo passo: combattere lo stigma

Sorge tuttavia spontanea una considerazione: chi si rivolge a un professionista della salute mentale, ha già in qualche modo sconfitto lo stigma, motivo per cui è immaginabile che abbia più facilità a parlarne. Il reale tabù da abbattere, è quello che impedisce alle persone di riconoscere una difficoltà psicologica come tale e che le tiene pertanto ancorate all’idea che non si possa chiedere aiuto. Secondo la ricerca sopra citata, succede soprattutto alla popolazione tra i 45 ed i 65 anni, con un livello d’istruzione medio e basso. È necessario pertanto educare le persone – nelle scuole, nelle aziende e a livello sociale – affinché prendano consapevolezza del ruolo che la mente riveste per il proprio benessere. L’obiettivo, è che questo aspetto venga trattato non come eccezionalità o priorità. Quanto piuttosto per quello che è: normalità.

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