Molestie, il prezzo del #metoo: il toccante romanzo di Virginie Despentes

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“Essere molestata per mesi significa un giorno non riconoscersi più. Aver bisogno di anni per ammettere che non si tornerà più indietro, che colei che eravamo prima è scomparsa per sempre”. Zoé, giovane e zelante ufficio stampa di una casa editrice, si ritrova al centro delle attenzioni di uno scrittore, che continua a respingere. I colleghi fanno finta di non vedere. Il messaggio è chiaro. Vomita prima di andare al lavoro, si vergogna di sé stessa, ma si presenta col sorriso. “Era come negli incubi, quando vuoi urlare e non esce nessun suono”.

In Francia, dove il #metoo partito in sordina non ha poi smesso di ardere, con l’emergere incessante di denunce in ogni ambito lavorativo, da tre mesi non si fa che parlare dell’ultimo romanzo di Virginie Despentes, “Cher connard” (“Caro stronzo”, in uscita a primavera per Fandango) che ha raggiunto sugli scaffali “La familia grande” (Seuil 2021, edito in Italia da La Nave di Teseo con la traduzione di Sergio Arecco), in cui la giurista Camille Kouchner accusa il patrigno, il famoso politologo Olivier Duhamel, di violenza sessuale su suo fratello, e “Impunité” (Seuil 2022), in cui la giornalista Hélène Devynck denuncia lo stupro sistematico suo e di numerosissime donne da parte del giornalista televisivo più noto, Patrick Poivre d’Arvor. Due libri in cui emerge, spietata, l’omertà della intellighenzia francese: tutti sapevano, e tutti facevano finta di non vedere, permettendo che i reati si reiterassero e provocando sofferenze ancora maggiori a chi li ha subiti.

Forse anche per questo Despentes ha deciso di dedicare molto più spazio a fare il ritratto della società francese che quello della vittima. “Non tutti gli uomini della casa editrice erano dei bastardi, ma tutti erano complici, perché c’era una legge non scritta: lo spazio pubblico era un luogo di caccia. Non tutti cacciavano. Ma tutti lasciavano passare il cacciatore. E me, intimamente convinta di essere un’abbrutita” racconta la giovane donna.

Quando il famoso autore inizia a lamentarsi della sua addetta stampa che non lo considera abbastanza, i suoi capi preferiscono licenziare lei piuttosto che rischiare di perdere lui. Nessuno la riassumerà. Dieci anni dopo gli abusi subiti, Zoé decide che “la vergogna deve cambiare sponda”. Affida così le sue lucide rivendicazioni sulle donne – “che non sono neppure degli oggetti, perché agli oggetti non si rinfaccia l’uso che ne si fa” – al web, dove l’incitano e l’attaccano come in un combattimento tra cani.

Seppure Zoé sia il centro attorno a cui ruotano gli avvenimenti, non è con lei che inizia e finisce il romanzo epistolare, e alla sua voce è affidato uno spazio minoritario. Ad affrontarsi sono due boomers strafatti, lo scrittore stesso che – incrociata per strada Rebecca, l’ossessione della sua adolescenza, amica della sorella divenuta diva del cinema, ex donna bellissima – ne deride su Instagram il corpo invecchiato, grasso, trascurato, il suo personaggio di “sporca donna chiassosa”. Imbestialita, Rebecca risponde per le rime, e nel frattempo scrive una lettera di solidarietà a Zoé, che scopre averlo denunciato sui social.

Attraverso la lente di questo sbilenco triangolo, Despentes esamina una società che mantiene due umanità distinte, quella che ha il diritto di uccidere e quella che agonizza”. Senza risparmiare le “femministe borghesi” che applaudono “al grottesco ‘viva le donne!'”, bramando il potere invece di un sistema diverso dall’attuale, in cui tutti stanno male, poiché “nessun privilegio si esercita senza un prezzo da pagare, di solito esorbitante”. Rebecca non è una di loro. Ha raggiunto il successo in maniera così rapida che ricatti non ne ha mai subiti. Ma deve il suo successo all’ammirazione che gli uomini riservano al suo corpo, ama essere da loro amata. E per nulla al mondo accetterebbe di definirsi una vittima indifesa.

Tuttavia negli anni si è resa conto di quanto sia malata la società, e grave la condizione delle donne, specialmente da quando nessuno le dà più una parte (le donne di mezza età, infatti, nel cinema sono pressoché inesistenti, “noi, pubblico – scriverà Zoé – andiamo a vedere lo spettacolo della nostra esclusione. Età. corpi, classi sociali, colore della pelle: loro selezionano e noi li integriamo come modelli. Ingoiamo la nostra vergogna di non esserci”).

Per prendere le misure di quanto il trattamento riservato alle donne sia discriminatorio Rebecca fa un esercizio di trasposizione: “Immagina che al posto delle donne uccise dagli uomini ci siano dei dipendenti uccisi dai loro datori di lavoro. L’opinione pubblica si mostrerebbe molto più intransigente. Ogni due giorni, la notizia che un capo ha ucciso un lavoratore. Diremmo che è troppo. Che si deve poter andare a lavorare senza rischiare di essere strangolati, crivellati di colpi o proiettili. Se poi ogni due giorni un lavoratore uccidesse un datore di lavoro, allora questo sarebbe uno scandalo nazionale (…). È quando lo trasponi che ti rendi conto quanto il femminicidio sia tollerato”.

Un modo efficace di toccare con mano quel che Zoé afferma nel suo diario pubblico: “Quello che mi è successo è politico!”. Lamentandosi poi del fatto che gli psichiatri pensano di poter curare un paziente senza curare la politica.

“Sono cresciuto in un mondo in cui abbiamo sempre avuto l’impressione che suscitare l’interesse degli uomini fosse la cosa migliore che potesse accadere a una ragazza” si giustifica lo scrittore, che in quest’arte è maestro.

“Se riceve una lettera di ingiurie il maschilista si lamenta per mesi. Diventano ‘Arancia Meccanica’ quando si tratta di attaccare in gruppo. E Cappuccetto Rosso se qualcuno di noi gli risponde a tono. Non sopportano alcuna contrarietà e difendono il loro territorio: su internet non vogliono trovare alcun contenuto che non gli sia favorevole”: ironizza Zoé riferendosi a coloro che l’attaccano sul blog che ha creato per denunciare gli abusi di cui è stata vittima.

“Eppure noi siamo piuttosto magnanime – continua -. Gli uomini, non li abortiamo, non li priviamo dell’educazione, non li bruciamo sul rogo, non li ammazziamo per strada, non li ammazziamo quando fanno jogging, non li ammazziamo nei boschi, non li ammazziamo nelle nostre case, non li facciamo vergognare di essere nati del loro sesso, non li affamiamo, non li stupriamo, non li tocchiamo sotto il tavolo, non li denigriamo perché desiderano il sesso, non vietiamo loro di stare nei luoghi pubblici, non li escludiamo dai circoli di potere, non li mutiliamo, non vietiamo loro di vestirsi come vogliono, non li costringiamo a partorire, non li colpevolizziamo quando una passione li allontana dalla famiglia, non li definiamo matti se non sono dei bravi sposi, non confischiamo la loro sessualità, non sorvegliamo le loro azioni, i loro gesti e le loro dichiarazioni come se fossero nostri, non pretendiamo di non vedere i loro capelli, non frustiamo con ignominia coloro che disobbediscono. Quando diciamo uguaglianza non vogliamo imporgli questo”.

Intanto però è esploso il Covid-19, ribaltando ciò che si credeva stabile e, complici le comuni dipendenze, s’instaura una corrispondenza via via più intima (e troppo lunga) tra i due egotici cinquantenni, seppur Rebecca non abbia rinunciato alla giovane amica Zoé, alle prese con i suoi fantasmi.

“In quale momento avrò paura? In quale momento il molestatore avrà ragione di tutto quello che sono, contaminerà tutto quello sono? In quale momento l’incapacità del mio entourage di capire la mia sofferenza mi lascerà inerte? Che cosa potevamo fare? In quale momento l’impunità dell’aggressore mi farà sentire completamente abbandonata? In quale momento prenderò le decisioni sbagliate? Che cosa ne è di un quotidiano fatto di una distruzione paziente. Metodica. C’è chi dice sia desiderio, ma è desiderio di farla finita con me. Un tentacolo che fruga nel tuo quotidiano e cerca il tuo punto debole, a tentoni, ostinatamente, e lo trova – e tu non dici nulla perché le molestie si caratterizzano per questa sensazione: che qualunque cosa tu faccia sarà peggio. Quello che si desidera è che tu taccia per sempre. Istintivamente, tu lo sai. Taci. Dura degli anni”.

Provata dagli attacchi degli “odiatori”, dall’impunità dei molestatori, grave forse ancor più delle molestie, come Hélène Devynck ha saputo mostrare, e incompresa nel denunciare qualcosa cui non era preparata e per cui non c’è ancora un vocabolario, la voce sola di Zoé si fa più limpida e alta.

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Titolo: “Cher Connard”
Autrice: Virginie Despentes
Editore: Grasset
Prezzo: 22 euro

Titolo: “La famiglia grande”
Autrice: Camille Kouchner
Traduttore: Sergio Arecco
Editore: La Nave di Teseo (2021)
Prezzo: 17,10 euro

Titolo: “Impunité”
Autrice: Hélène Devynck
Editore: Seuil (2022)
Prezzo: 19 euro

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