Il Festival della Fotografia Etica di Lodi arriva alla sua XIII edizione, visitabile fino al 23 ottobre, confermandosi un appuntamento di primo piano nel panorama, pur affollato, delle manifestazioni fotografiche nazionali.
Negli ultimi anni il festival si è compattato, ha trovato a mio giudizio una sua misura, nel numero delle mostre ospitate e nell’insieme, ricco e diversificato, delle attività collaterali all’aspetto strettamente espositivo: dalle letture portfolio a beneficio di chi voglia provare ad affacciarsi al mondo del fotogiornalismo agli incontri con i fotografi, che offrono la preziosa possibilità di visitare le esposizioni accompagnati dalla viva voce dell’autore, all’insieme di attività didattiche a favore delle scuole, tutti elementi che hanno contribuito a cementare il legame con la città di Lodi e i suoi abitanti, i quali danno l’impressione di avere ormai gioiosamente adottato la manifestazione, divenuta un atteso appuntamento fisso autunnale.
Un chiaro segno dell’autorevolezza acquisita anche a livello internazionale è il fatto che, per la prima volta, il festival ospiti la mostra ufficiale del World Press Photo 2022, il premio internazionale che possiamo a buon diritto definire l’oscar della fotografia documentaria, nella sede della Fondazione Banca Popolare di Lodi. A partire da quest’anno il concorso ha ripensato la propria struttura, dando enfasi alla parola “World” e articolandosi secondo un più deciso criterio geografico: la giuria ha preselezionato per la fase finale 24 fotografi da 23 territori diversi, eleggendo infine i 4 premiati dell’edizione 2022, tra cui spicca la vincitrice del riconoscimento di foto dell’anno, la canadese Amber Bracken. Sua è la commovente immagine; scattata per il “New York Times”, della Scuola residenziale di Kamloops: semplici croci in legno su cui sono appesi degli abiti rossi evocano i numerosi cimiteri di giovani nativi americani strappati alle proprie famiglie nel corso dell’800 e forzatamente iscritti in scuole residenziali per essere assimilati alla cultura bianca egemone, causandone così, per i maltrattamenti e la sofferenza psicologica cui venivano sottoposti, diversi decessi, su cui si è steso un tenace velo di silenzio, che solo recentissimamente si sta cercando di sollevare.
La visita al festival può però opportunamente iniziare da Palazzo Barni, nel pieno centro di Lodi accanto a piazza del Duomo, dove sono ospitati i servizi del World Report Award, tra cui spiccano Eustasy del brasiliano Felice Fittipaldi, un impressionante reportage dalla cittadina di Atafona, sul delta del fiume Paraiba do Sul, sottoposta a un fenomeno di erosione che sta letteralmente mangiando la terra sotto i piedi degli abitanti: fenomeni che un tempo richiedevano centinaia di anni accadono ora nel tempo di una generazione. Ombre profonde e appiccicose, cieli grigi abbandonati dalla luce del sole lasciano vedere un giovane che prega solitario sulla battigia, coprendosi gli occhi e stringendo un rosario come un talismano, case inclinate su sé stesse come giocattoli abbandonati da un bambino capriccioso, fino a incrociare lo sguardo che si fatica a reggere del pescatore Gervasio Gonçalvez, abitante di un’isola che non esiste più: Convivência Isla è stata inghiottita dal mare.
L’italiana Isabella Franceschini in Diventare cittadini ci racconta la storia di Michelle, una quindicenne sindaca e Consigliera regionale in Emilia Romagna, facendoci conoscere la realtà dei Consigli comunali dei ragazzi, una straordinaria esperienza di addestramento alla democrazia introdotta da una legge del 1997, mentre un altro reporter italiano, Alessio Mamo, ci fa scoprire in Mafqoodeen. Riesumare l’Iraq, grazie a un bianco e nero asciutto e fermo di trattenuta emozione, l’attività del Dipartimento di Medicina Legale iracheno, impegnato a scavare fosse comuni per riesumare i resti dei desasparecidos, identificare le vittime e restituirne la memoria e i poveri resti alle famiglie. Caduti nella guerra Iran – Iraq (1980-88), oppositori di Saddam Hussein, civili uccisi nella seconda guerra del golfo e nel lunghissimo dopo guerra (2003-11), vittime della ferocia dell’Isis (2014-17): gli scheletri che riaffiorano parlano la lingua universale del dolore, riportano a galla una medesima violenza, indipendentemente dalla mano assassina che li ha colpiti.
La norvegese Line Ørnes Søndergaard (La separazione. Una storia d’amore al tempo della Brexit) racconta con ritmo coinvolgente, alternando magistralmente paesaggi, scene d’interni e primi piani di sottile indagine psicologica, la storia di Alexsandra, giovane madre lituana che decide di abbandonare Boston (Lincolnshire), la cittadina con la più alta percentuale di sì alla Brexit di tutto il Regno Unito, per ritornare al suo paese, salvo rendersi conto dopo poco – leggendo lo smarrimento sul viso di suo figlio Vakaris, sperduto in un paese che non è il suo – che non vi era più avvenire in Lituania, scegliendo così di rientrare in Inghilterra. La Søndergaard ci dà un esempio perfetto di un compito fondamentale del reportage: calare concetti e fenomeni generali e astratti nella viva carne delle persone che ne sono colpiti.
Nella sede di Palazzo Modignani, che accoglie la sezione “Le vite degli altri”, voglio ricordare le vicende degli abitanti Tra le steppe del Don del russo Misha Maslennikov, accarezzati in un bianco e nero soffuso di poesia, ora brumoso ora nitido, sempre capace di farci sentire la sottile vertigine che la distante e onnipresente linea d’orizzonte trasmette a quei territori remoti di sconfinata estensione. Anche il canadese Tim Smith esplora terre di confine in un’altra accezione in Di questo mondo, senza farne parte, quelle delle comunità hutterite (una confessione protestante della famiglia anabattista) del Manitoba, nel Canada occidentale, che, autosufficienti economicamente, vivono separate dalla società che le circonda. Con le sue immagini eleganti, intime e straordinariamente eloquenti Smith ci fa comprendere il difficile equilibrio che questa gente insegue, non chiudendosi totalmente alla modernità, come vediamo dalle ragazze che, in abiti tradizionali, si divertono sulle giostre o messaggiano con gli smartphone (accettati da alcune comunità da pochi anni), ma cercando di rimanere fedeli alla propria tradizione e a una vita dedita alla devozione religiosa.
L’americana Barbara Davidson ricostruisce la storia di Valerie e Henry: senzatetto con una speranza, mostrandoci il matrimonio della coppia – con l’insolita e toccante immagine di Valerie in abito bianco abbracciata al suo Henry, veterano di guerra, in tuta mimetica – e la loro caparbia difesa di uno spazio di intimità, anche attraverso il rifiuto di accettare il trasferimento dall’Echo Lake Park (il più grande accampamento di clochards di Los Angeles) in alloggi temporanei offerti dai servizi sociali, che impongono agli ospiti un coprifuoco, limitandone così la libertà.
Artemide della giovane italiana Erika Pezzoli è un reportage di sorprendente originalità, che ci fa conoscere Carola, una giovane valdostana, figlia e nipote di cacciatori, prima donna della sua famiglia a conseguire la licenza di caccia. Carola ha deciso di accettare e farsi carico fino in fondo del proprio ruolo di predatore, nutrendosi quasi esclusivamente degli animali che caccia: la sua attività venatoria diventa così una scelta ecologicamente responsabile, che riduce nettamente l’inquinamento causato dal consumo di carne. È bene ricordare inoltre che la caccia in Val d’Aosta è un’attività di selezione, esercitata in accordo con l’Assessorato all’Agricoltura e alle Risorse naturali e le Guardie Forestali, a tutela della biodiversità.
Presso lo Spazio Europa, nella sede di Bipielle, incontriamo uno dei lavori più belli della rassegna, Almost Europe di Luca Nizzoli Toetti: una serie di scatti dal 2009 al 2014 tratti dalla lunga e appassionata ricerca condotta dal reporter veneziano in diversi Paesi dell’Europa orientale e confluita in diverse pubblicazioni. Le inquadrature perentorie e delicate di Nizzoli Toetti si delineano in un bianco e nero nitido e rispettoso, colmo di stupore: è lo sguardo di un fotografo di razza, che sa dare forma al mondo attorno a lui, restituendocene l’oggettività attraverso il filtro individuale della propria visione.
È impossibile rendere conto di tutti i lavori esposti, dalle spettacolari fotografie a soggetto ambientale e naturalistico del collettivo Vital Impacts, fondato dalla pluripremiata Ami Vitale (qui la mia intervista di qualche tempo fa ) con la giornalista Eileen Mignoni ai reportage di AFP (Agence France Press) sull’Afghanistan e sul conflitto in Ucraina, costruiti attingendo al vastissimo archivio dell’agenzia per restituire profondità storica e complessità alle vicende che si verificano oggi in questi scenari, da comprendere con uno sguardo non appiattito sul mero presente, fino all’interessante esposizione nel cortile della Questura, dove il racconto di numerosi avvenimenti che hanno fatto la storia del nostro paese si svolge attraverso la lente di un tipo di fotografia quasi sempre ignorato da mostre e rassegne, quella documentaria della polizia scientifica, il cui scopo è testimoniare nel modo più fedele possibile quel che è accaduto, tanto da poter essere esibita come strumento probatorio in un procedimento giudiziario.
Voglio chiudere con uno dei servizi dello spazio No Profit, presso la sede del Museo Gorini, La danza contro le pallottole del brasiliano Sebastian Gil Miranda per l’associazione Na Ponta dos Pés. La giovane ballerina Tuany Nascimento ha avviato una scuola di danza nel cuore della favela Morro do Adeus (nel Complexo do Alemão presso Rio) e, in un contesto difficilissimo e sfidante, porta avanti questa iniziativa che, grazie alla popolarità data dalla copertura dei media e al crowdfunding, ha permesso la costruzione di una sede per le giovanissime ballerine, utilizzabile per attività sociali anche da tutta la comunità. L’immagine di Tuany con cui ho scelto di aprire questo pezzo mi sembra simbolica: la giovane danza sull’imbrunire al di sopra della favela sconfinata alle sue spalle come su un filo invisibile chiamato speranza.
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