In oltre un terzo dei procedimenti civili di separazione giudiziale con affidamento di figli minori e procedimenti minorili sulla responsabilità genitoriale sono presenti allegazioni di violenza, che però in tribunale non vengono prese in considerazione. Così nella maggioranza dei casi i bambini finiscono in affido condiviso anche al padre violento. E’ quanto emerge dalla relazione della Commissione di inchiesta del Senato sul femminicidio – presentata oggi e approvata all’unanimità il 20 aprile 2022 – sulla “Vittimizzazione secondaria delle donne che subiscono violenza e dei loro figli nei procedimenti che disciplinano l’affidamento e la responsabilità genitoriale”. L’indagine prende in esame un campione statistico di oltre 1200 fascicoli, riferiti al 2017: 569 fascicoli del Tribunale ordinario, su 2.089 procedimenti di separazione giudiziale con figli minori relativi al trimestre marzo-maggio 2017 (7621 nell’intero 2017) e 620 fascicoli del Tribunale dei minorenni, rappresentativi dei 1.452 iscritti al ruolo nel mese di marzo 2017. A questi si aggiungono altri fascicoli acquisiti agli atti per un totale di 1411.
Non ci può essere spazio per “teorie destituite di fondamento scientifico come la Pas” nei procedimenti giudiziali che si occupano dell’affido di minori nelle separazioni conflittuali, come ha anche “stabilito con una recente sentenza la Cassazione“, ha detto la Guardasigilli Marta Cartabia intervenendo al convegno sulla vittimizzazione secondaria organizzato dalla Commissione sul Femminicidio a Palazzo Madama. Cartabia ha sottolineato la necessità di un profondo cambiamento culturale e di formazione specifica per tutti gli operatori che si occupano di violenza di genere e minori. “Dalla relazione emerge con drammatica chiarezza la necessità di una adeguata formazione di magistrati, forze dell’ordine, avvocati, consulenti tecnici, ausiliari, personale dei servizi sociali“, sottolinea la ministra, spiegando che il fenomeno della vittimizzazione secondaria “fa tremare le vene ai polsi“. Tra le situazioni più gravi, secondo Cartabia, quelle delle donne che per aver subito violenza vengono considerate cattive madri e allontanate anche dai figli. “E’ una relazione scomoda, che fa male, che chiama in causa la responsabilità di tutti e impone il massimo rispetto, a fronte degli abissi di dolore nelle storie custodite in ciascun fascicolo esaminato“.
Secondo il Presidente della Corte Costituzionale Giuliano Amato, difendere la bigenitorialità – come impone la legge 54 del 2006 non è sempre l’ideale: “E’ uno stereotipo sovrapposto ai fatti che ignora i fatti. Che accordo è quello fra due persone una delle quali continua ad esercitare violenza, sia pure non estrema, sull’altra? E perchè la bigenitorialità è sempre meglio? Perchè sempre? Perchè anche quando il bambino ha paura del padre e non lo vuole vedere?“, questi gli interrogativi del presidente della Consulta.
“La violenza denunciata dalle madri esiste in oltre il 30% dei fascicoli esaminati dalla Commissione, ma non viene letta”, spiega Valerie Valente, presidente della Commissione di inchiesta del Senato sul femminicidio . “Il rischio più grande è che non si applichino le tutele previste dalla Convenzione di Istanbul sulla messa in sicurezza di donne e bambini, affidando il minore all’autore della violenza – nella stragrande maggioranza il padre – e mettendo in discussione la responsabilità genitoriale della madre, ritenuta colpevole del rifiuto del figlio nei confronti del padre. Così, in nome della bigenitorialità prevista dal nostro impianto normativo (legge 54 del 2006) , il bambino viene allontanato dalla madre e resettato per costruire il rapporto con entrambi i genitori. Il tema è che nei procedimenti civili o minorili la violenza viene ignorata o derubricata a conflitto, ritenendola appannaggio esclusivo del procedimento penale”, conclude Valente.
I numeri dell’indagine: la violenza che non viene “letta”
I risultati mostrano che nel 34% dei casi sono presenti allegazioni di violenza domestica, ovvero denunce, certificati o altri atti e annotazioni (da sottoporre a verifica nel corso dell’iter giudiziario) relativi a violenza fisica, psicologica o economica, presentati soprattutto dalle madri. A volte la violenza riguarda direttamente i figli: nel 18,7% dei casi al Tribunale ordinario, nel 28,8% nei procedimenti pendenti davanti ai Tribunali per i minorenni. Nonostante ciò – si legge nella relazione – più della metà (il 57%) dei procedimenti di separazione giudiziale giunge all’affidamento condiviso dei figli minori, non considerando quindi la violenza: i presidenti dei Tribunali, anche in presenza di allegazioni di violenza e di notizie relative all’esistenza di procedimenti penali pendenti o definiti, nel 96% degli episodi non hanno infatti ritenuto di acquisire d’ufficio i relativi atti. Inoltre, in più di un terzo dei fascicoli considerati, in presenza di violenza, il tribunale favorisce le trasformazioni dei riti da giudiziale in consensuale, delega gli accertamenti al servizio sociale e in presenza di consulenze tecniche d’ufficio, queste nel 61,2% dei casi vengono interamente accolte dal tribunale e recepite nei decreti. Anche perché nei quesiti vi è una totale assenza di riferimenti alla violenza. I Tribunali per i minorenni nei casi in cui c’è violenza finiscono con l’affidare i minori nel 54% dei casi alla sola madre, ma anche con incontri liberi con il padre violento.
La relazione della Commissione mostra che nelle perizie, pur non citando direttamente la cosiddetta PAS – ovvero la cosiddetta sindrome di alienazione parentale -, ricorre sempre lo stesso lessico: la donna viene definita alienante, simbiotica, manipolatrice, malevola, violenta, inducente conflitto di lealtà, fragile. Senza considerare che in oltre il 60% dei casi l’ascolto del minore non viene disposto: nei procedimenti civili bambine e bambini soggetti dell’affido nel 69,2% dei casi non sono stati ascoltati e quando l’ascolto avviene (30,8% dei casi), esso viene delegato nell’85,4% dei casi al tecnico nominato e ai servizi sociali. Solo nel 7,8% dei casi il giudice ha parlato con i bambini. “Numerosi – scrive la Commissione – sono gli affidi ai servizi sociali, misura che appare particolarmente punitiva per i genitori e fortemente rivittimizzante per le madri, che hanno subito maltrattamenti”. Nei 36 casi emblematici portati all’attenzione della Commissione – storie in cui le donne hanno denunciato di essere state vittime di violenza o hanno denunciato i partner per abusi sui minori – a 25 madri è stata limitata la responsabilità genitoriale e i figli sono stati allontanati, applicando di fatto la PAS o teorie analoghe. I restanti casi sembrano avviati ad avere la medesima conclusione, si legge nel rapporto.
Le raccomandazioni della Commissione: dalla formazione all’ascolto del minore
La Commissione d’Inchiesta sul femminicidio chiede dunque alle istituzioni coinvolte, a partire dal Parlamento, determinate linee di intervento per combattere il fenomeno della vittimizzazione secondaria, a partire dalla formazione specialistica in materia di violenza domestica e assistita per tutti gli operatori. Imprescindibile l’applicazione dell’articolo 31 della Convenzione di Istanbul sulla custodia dei figli, modificando l’articolo 337-ter del codice civile: il diritto alla bigenitorialità è infatti da escludere per il genitore autore di violenza domestica ed assistita. Tra le altre proposte: l’ascolto diretto del minore da parte dei magistrati in tutte le fasi dei procedimenti; l’esclusione di teorie non riconosciute ed accettate dalla comunità scientifica come la Pas; lo stop al prelievo forzoso dei minori, al di fuori delle ipotesi di rischio di attuale e grave pericolo per l’incolumità fisica del minore stesso.
I centri antiviolenza: Veltri, servono dati e una migliore valutazione del rischio
I centri antiviolenza mettono in evidenza che l’indagine è una conferma di quanto gli stessi centri dicono da tempo: le donne che subiscono violenza maschile, quando si trovano ad affrontarla in un tribunale, vengono nuovamente vittimizzate da chi dovrebbe tutelarle.“Guardiamo con interesse all’impegno della Commissione sul femminicidio del Senato in merito all’indagine – dice Antonella Veltri, presidente D.i.Re Donne in Rete contro la violenza – ma non possiamo fare a meno di evidenziare che, ancora, manca una visione chiara e certa del percorso per arrivare ad avere una giustizia che sappia intervenire in modo adeguato e coerente nelle situazioni di violenza”. Veltri sottolinea che è stato necessario effettuare l’indagine verificando manualmente i fascicoli nei tribunali, “per la grande difficoltà a reperire informazioni e dati nei tribunali civili, per i quali – nella relazione – non è evidenziata la necessità di norme chiare e stringenti per il riconoscimento della violenza maschile sulle donne”. Ancora, Veltri mette in evidenza la mancanza di un richiamo al rafforzamento degli ordini di protezione e rileva che “la valutazione del rischio, intesa come elemento di prevenzione, non viene presa in considerazione, nonostante l’esperienza dei centri antiviolenza evidenzi che risulta indispensabile poter intervenire tempestivamente valutando le condizioni di pericolosità”. La presidente della rete dei centri antiviolenza si chiede, in conclusione: “A quando una raccolta dati sistematica del (non) riconoscimento della violenza nei tribunali civili e minorili? A quando il divieto di affidamento condiviso in caso di violenza?”.
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