Il diritto alla salute mentale è anche delle donne

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La salute mentale è un diritto. In una giornata come quella di oggi è opportuno ricordarlo. I diritti delle donne, infatti, abbracciano non solo il contesto sociale, economico e politico, ma anche quello legato alla propria salute, tanto fisica quanto psicologica. A proposito di quest’ultima, però, secondo il Gender Equality Index 2021 dell’European Institute for Gender Equality (Eige), il 39% delle donne afferma di non potersi permettere percorsi di psicoterapia o cure specialistiche.

Eppure, siamo proprio noi donne a riferire un peggiore stato di benessere mentale: sempre secondo Eige, è il 62% a riportare buone condizioni di salute, contro il 66% degli uomini. Il Global Burden of Disease aggiunge un dato: la popolazione femminile ha una probabilità due volte superiore rispetto a quella maschile di soffrire di ansia e depressione. Le motivazioni sono sfaccettate e plurime, eppure ve ne sono tre che meritano una particolare attenzione: l’aspetto economico, il ruolo di cura e, di conseguenza, il tempo.

È ampiamente documentato il fatto che le donne guadagnino, in media, meno degli uomini e che siano pertanto maggiormente esposte al rischio di povertà, specialmente se con figli, anziane o sole. La ridotta capacità economica, incide inevitabilmente sul diritto alla salute. Se si pensa a quella mentale, appaiono infatti subito evidenti i costi continuativi e importanti che hanno i percorsi di psicoterapia e le cure specialistiche. Costi, che non sempre sono coperti dal Servizio Sanitario Nazionale. L’iter legislativo del Bonus Psicologo getta senz’altro luce sulla questione, ma c’è ancora molto da fare per rendere il benessere mentale davvero accessibile.

L’altro elemento in gioco è il ruolo di cura – tanto dei figli quanto della casa o dei genitori anziani – che tradizionalmente, e ancora, ricade proprio sulle donne. Con la conseguenza di andare a gravare sul carico di lavoro percepito ed effettivo, esponendo, tra gli altri, a maggiore rischio di burnout. Proprio in virtù del forte carico emotivo che finisce per caratterizzare il lavoro e la vita di chi è donna.

Direttamente correlata a ciò, vi è poi la mancanza di tempo a disposizione per prendersi cura di sé. Secondo il report Istat “I tempi della vita quotidiana”, le donne dedicano in media al lavoro non retribuito circa 5 ore al giorno, mentre gli uomini poco più di 2 ore. Risulta quindi evidente che la popolazione femminile abbia meno tempo utile per dedicarsi ad attività fisica, riposo o, più in generale, a tutte quelle attività che favoriscono il benessere psicologico.

La salute mentale è un diritto. Forse, però, lo è un po’ meno per le donne.
Nemmeno gli uomini, tuttavia, hanno oggi completo accesso a supporto psicologico e cure. Quando si parla di salute, infatti, la dimensione mentale continua ad essere secondaria. Lo stigma, oltretutto, è poi ancora più forte nei confronti del genere maschile, che classicamente non può – e non deve – mostrarsi vulnerabile e fragile. Il lavoro da fare è ancora lungo, ma la strada è una: quella che integra dimensione fisica e mentale nel più ampio concetto di benessere e che rende la salute un diritto di ogni persona.

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