Il DDL sul contrasto alla violenza di genere approvato dal Consiglio dei Ministri contiene norme che modificano il codice penale, di procedura penale, antimafia e ad alcune leggi speciali. Si interviene in particolare sull’ammonimento del Questore (artt. 1 e 2) cioè il provvedimento con cui detta Autorità, su richiesta della persona offesa e assunte, se necessarie informazioni, intima la persona segnalata “a tenere una condotta conforme alla legge”. Il DDL estende l’ammonimento a diversi reati, ne consente l’emissione anche senza denuncia della vittima e se l’autore reitera la condotta il reato diventa procedibile d’ufficio e avrà una pena più severa. Incrementare questa misura, senza prevedere una forma di immediata tutela della vittima, non coglie nel segno perché i reati di violenza di genere si connotano per la pervicacia della volontà criminale: la capacità dissuasiva è minimale e rischia persino di mettere in ulteriore pericolo la persona offesa, specie se la segnalazione viene fatta da altri. Con riferimento al braccialetto elettronico (art. 3), che continua a non essere obbligatorio, ma facoltativo, in caso di misure cautelari come il divieto di avvicinamento alla persona offesa o l’obbligo di allontanamento dalla casa familiare, il DDL prevede che se l’indiziato lo rifiuta o lo manomette la misura è aggravata.
Si corregge, inoltre, un errore dell’attuale disciplina che prevede l’arresto in flagranza per chi viola il divieto di avvicinamento alla vittima cui consegue, però, la liberazione dell’arrestato. Con il DDL si riporta a ragionevolezza il sistema consentendo l’applicazione di una misura cautelare per evitare che egli ripeta la condotta (art.4).
Si estendono le misure di prevenzione personali agli indiziati di alcuni gravi reati di genere e a persone già ammonite dal Questore per reati-spia che fanno presagire una violenza domestica in atto (art.5). Inoltre, quando una misura cautelare si estingue o è revocata o sostituita con altra meno grave vanno informati il Questore, perché valuti se chiedere una misura di prevenzione, e il Prefetto, perché decida se attivare la “vigilanza dinamica” (cioè un controllo che va dalla volante sotto casa alla scorta) della vittima (art.10). Tutti i provvedimenti di scarcerazione vanno comunicati alla persona offesa (art.6) e se il giudice concede la sospensione condizionale della pena va accertato che il condannato abbia davvero frequentato “i percorsi di recupero” (art.8). Diventa reato la violazione dell’ordine di protezione applicato dal giudice civile (art. 9).
Uno strumento di particolare efficacia sarà il fermo del Pubblico Ministero applicabile per “grave e imminente pericolo” che l’indiziato commetta reati di violenza contro le donne quando non si può attendere il provvedimento del giudice. E’ una misura espressamente richiesta dalla Commissione parlamentare sul femminicidio nella relazione del 18/11/2021.
Il DDL resta un’occasione mancata, cui il Parlamento potrà porre rimedio: episodici interventi sparsi nell’ordinamento; utilizzo della definizione di violenza domestica contenuta nel codice antimafia e non nella Convenzione di Istanbul; efficacia preventiva per le vittime e dissuasiva per gli autori tutta da verificare. Il tema vero non è creare nuove norme contro la violenza di genere, ma rendere certa e tempestiva l’attuazione di quelle che abbiamo, ancora rimessa a pochi e volenterosi operatori. In Italia la Convenzione di Istanbul è legge dello Stato dal 2013, ma è disapplicata o poco conosciuta. E’ inutile estendere i reati per le misure di prevenzione personali se sono limitati i casi in cui esse vengono richieste ed applicate in materia di violenza di genere; è inutile irrigidire le conseguenze del rifiuto del braccialetto elettronico se sono limitati i casi in cui è richiesto ed applicato dalla magistratura; è inutile ammonire senza denuncia della vittima se poi proprio per questo nel processo sarà ritenuta inattendibile, ecc.
Il legislatore dovrebbe disporre due cose, a costo zero: 1) monitorare l’effettiva applicazione di tutti gli istituti posti a presidio di prevenzione e repressione di questi reati; 2) rendere obbligatoria, come oggi non è, la formazione di tutti gli operatori in particolare in tre ambiti: la struttura culturale della violenza di genere; la discriminazione nei confronti delle donne tuttora prive di un effettivo accesso alla giustizia; gli stereotipi giudiziari. Le norme le abbiamo, ma non le applichiamo perché riteniamo, a priori, per pregiudizi atavici validi solo per questi reati, che le donne mentano, esagerino e siano in qualche modo colpevoli di avere causato la violenza maschile. Abbiamo subìto due condanne dalla Corte EDU proprio per questo (Talpis e J.L. contro Italia). C’è ancora spazio perché il DDL da enunciazione di strumenti diventi realtà operativa: la violenza esiste, ma va interpretata innanzitutto da operatori competenti che scavino nella cultura sessista che la muove. Le norme da sole non bastano.
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