Lo stato di salute mentale non è più solo una questione privata di malattia. Da due anni a questa parte è una condizione da considerare, quando si parla di occupazione. Ha, infatti, un impatto sull’economia, incide sui processi di assunzione e il turnover dei dipendenti e sta rendendo necessario ripensare alle normative in vigore.
Il declino del benessere psicologico dei lavoratori è entrato nella realtà quotidiana delle imprese e nelle discussioni sulle prospettive di sviluppo. Lo ha fatto di prepotenza al punto da essere citato di recente dalla Fed, la banca centrale statunitense, come fonte di preoccupazione, nei suoi due più recenti Beige Book. Questi libri che prendono il nome dal colore della versione stampata, sono redatti 8 volte l’anno e vengono usati dagli investitori ed economisti per misurare lo stato di salute dell’economia statunitense. Nelle pubblicazioni di ottobre e dicembre si legge nero su bianco di “Worries about employee mental health, burnout, safety and vaccine mandates impacting company culture” e “Concern over workers’ mental health and increased difficulties balancing work with family responsibilities”.
La prima volta
È stato Daniel Zaho, senior economist di Glassdoor Economic Research, ad accorgersene a metà ottobre e a domandarsi “se questa è la prima volta che i Beige Book della Fed menzionano la salute mentale in contesti (che parlano) di lavoratori”. Di lì a pochissimo ha trovato la sua conferma: “La risposta è sì. Nel Beige Book di ottobre ‘21 per la prima volta si discute di “salute mentale” dei lavoratori. In precedenza, la salute mentale era stata menzionata soltanto altre 6 volte. La prima in aprile 2020 (maggio 2020, ndr) e tutti i cenni antecedenti riguardavano la richiesta di servizi di salute mentale, non di salute del lavoratore”.
Con il suo tweet Zaho ha sollevato un tema che era già nel radar dei ricercatori della Glassdoor. In contemporanea, infatti, il centro di ricerca pubblicava i risultati di un’indagine focalizzata sulla crescita di casi di burnout negli Stati Uniti e in Inghilterra. Dopo 18 mesi di pandemia, secondo le osservazioni dello studio firmato dall’economista Lauren Thomas, la preoccupazione sullo stato psicologico dei lavoratori è di nuovo in aumento. Allo stesso tempo però manca Oltremanica una definizione condivisa su quale possa essere un “buon” equilibrio tra vita personale e lavorativa. Ecco allora diventare cruciale per le aziende offrire una varietà di opzioni in grado di soddisfare diversi bisogni.
C’è meno stigma, ma soluzioni timide
La salute mentale negli ultimi anni è sempre meno stigmatizzata. Le generazioni più giovani anche prima della pandemia erano un po’ più propense a parlarne apertamente. La situazione attuale ha portato “semplicemente” all’esplosione della necessità di guardare con una nuova specifica lente al lavoro, ai suoi tempi e ai suoi luoghi. Per esempio, lanciando in avanti le pratiche di smart working discusse da anni (e anni…) ma mai effettivamente messe in atto in modo così massivo. E che, proprio per la loro estensione e penetrazione, non possono essere lasciate evolvere indipendentemente. Il rischio serio è che, in un circolo vizioso, contribuiscano al declino dei livelli di benessere dei lavoratori.
L’home office forzato e le conseguenti situazioni che provoca, sembrano essere tra le cause dell’aumento di burnout, ansia e depressione. Questo tanto da diventare un tema di interesse per le istituzioni chiamate a occuparsi della tutela e salvaguardia dei cittadini e che in qualche maniera stanno provando a intervenire. Un esempio recente è la legge portoghese che multa i datori di lavoro se contattano fuori orario i dipendenti che lavorano da remoto. O il “diritto alla disconnessione” già introdotto da alcuni Stati europei come la Francia, l’Italia e la Spagna, poi l’Argentina, l’India le Filippine, per citarne alcuni.
Insomma una (certa) rivoluzione in tema di salute mentale è iniziata e sembra toccare uno spettro ampio. È pervasiva e coinvolge tutti. Sempre meno da relegare all’ambito personale, il benessere psicologico è diventato elemento determinante, tra gli altri, nella scelta di accettare una posizione o di non dimettersi. Data la sua grande incidenza, rapidità di espansione e portata ha messo in discussione modelli consolidati e reso necessaria l’introduzione di nuovi approcci e aspettative. Non è esagerato pensare, allora, che si candiderà a essere una caratteristica definente il mercato occupazionale 2022.
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