Maternità, nelle storie di Emma e Violette il “rumore” della rinascita

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“La bambina del freddo” è un romanzo che esce nel bel mezzo di questo 2021. Rossella Canevari, giornalista e autrice televisiva, è alla sua quinta pubblicazione. L’opera, attraverso il circuito di BookaBook, è progetto che coinvolge sin dalle sue primissime fasi i lettori, i quali adottano una storia e, infine, la portano sugli scaffali delle librerie.

Si può senz’altro dire che questo sia un libro con molti padri. Il tema è, del resto, quello della maternità, declinata in un’accezione densa e moderna. “La bambina del freddo” si propone da subito come una finestra su uno spaccato di domande, destinate a non trovare risposte, né univoche né preconfezionate.

Al centro della storia c’è Emma, una donna di questi tempi che fa la caporedattrice in un giornale milanese, malgrado l’uso del maschile che la costringe a essere un caporedattore al quarto mese di gravidanza. Con un contratto da precaria che ha voluto e per cui ha abbandonato un lavoro stabile, un divorzio alle spalle e una relazione difficile con la madre.

Dallo sfondo irrompe, sin dall’incipit, il suo desiderio di avere un figlio. Quell’urgenza che ha già contribuito al fallimento del suo matrimonio con Fredi, man mano, si prende la scena e la vita stessa di Emma. Il passaggio è in chiaroscuro, all’inizio del romanzo: la protagonista smette di aspettare l’uomo giusto, smette di desiderare e comincia a volere. È così che la maternità arriva dalla scienza e da un viaggio a Praga, nella clinica della dottoressa Lambi.

Sul tema della fecondazione assistita gravano, pesantissime, tutte le ombre di un Paese fortemente cattolico: come per l’aborto, così l’eterologa è pratica malvista, intesa né più né meno come una manipolazione, contro natura.

Quello dei diritti delle donne, lo sappiamo bene, è terreno di scontri lontanissimi dall’essere sopiti. “È da circa sedici settimane che fluttuo nella tua pancia e inizio a sentirmi solida”: la bimba che Emma porta in grembo è il primo personaggio che il lettore si trova dinanzi. “È una sensazione strana, devo capire se mi piace. In qualche modo la solidità mi impone di essere presente a me stessa. Ultimamente mi si sono formate delle piccole braccia e le gambe: prima galleggiavo nella placenta mossa dalla forza del pensiero, ora i movimenti sono lenti e dipendono dalla potenza di queste appendici che faccio fatica a controllare. Qui dentro però è tutto così rassicurante”.

Ci sono, sparsi e riconoscibilissimi in oltre 250 pagine, i molti ingredienti del giallo. C’è intanto quella lettera, inquietante e anomala, in cui la piccola Alice parla alla mamma da dentro al suo paese delle meraviglie; c’è un’atmosfera rarefatta che catapulta la donna in una dimensione incerta, tra il sogno e l’allucinazione.

Il ritmo è quello di un thriller psicologico, l’opera ne ha i toni ma si fa presto a capire che proverà ad andare oltre, finendo per indagare sentimenti e relazioni. Nessuna anticipazione in questa sede è ammessa, chi legge farà bene ad aspettarsi scenari imprevisti e finali sorprendenti.

È chiaro, però, che tutto il lavoro di Rossella Canevari affonda radici in una citazione impegnativa: “Lettera a un bambino mai nato”. Oriana Fallaci è qui, è tornata tra queste pagine nuove e ci interroga, uomini e donne. La narrazione prova a staccarsi e dopo un po’ ci riesce; taglia quel cordone ombelicale, per non lasciarsi affondare, per vivere nel presente. E ci porge una storia nuova, la storia di Emma e di tante donne come lei.

A dettare tutte le domande che affollano la mente della protagonista sono le paure stesse. Pare di avere dinanzi una cortina che riflette, da cui riesce a trasparire il fondo: è d’amore che si ragiona. L’amore che si impone, ma che fa fatica, che deve vincere le ombre di un mondo che gli resiste, che prova a imbrigliarlo, che lo depotenzia e persino lo zittisce. Una vita non sempre basta, per liberarsi da certe catene. E per le donne, poi, questa perenne tensione è anche più vera che per il resto dell’umanità intera.

Emma dimostra di sapere bene quanto sforzo le sia richiesto. Si sente interrogata e, subito, giudicata. Non fa nemmeno in tempo a rispondere: “Ti sei sottoposta a un’inseminazione? Senza compagno? Eterologa? Ah no, cosa? Fecondazione in vitro con un donatore! Ah… quindi tecnicamente gli ovuli sono tuoi e gli spermatozoi di uno sconosciuto? Mmm…”. Mugugni, perplessità dietro a sorrisi forzati, rigidità delle espressioni, occhi languidi che compatiscono: il lettore, ma ancor più la lettrice, assiste stavolta con occhi dolenti.

C’è una folla che abita il romanzo, come quella che in fondo abita la storia di ognuno di noi. Sono fantasmi che si affannano a riempire lo scranno, a emanare sentenze. Oggi contro Emma, ieri contro il suo opposto, quella zia Ade che porta già nel nome lo stigma del regno dei morti: “Fin da tempi non sospetti, aveva dichiarato la sua volontà di non volere figli, cosa che per una donna della sua provenienza veniva considerato un peccato peggiore dell’omicidio”.

Ecco allora che alla fine di questo romanzo, coraggioso, schietto, certamente rimane d’obbligo fermare un punto: ribadire che le donne sono complete anche senza il desiderio di dare la vita che è atto che affascina, forse proprio perché esercizio concessoci in esclusiva assoluta.

Come Emma, anche Violette ci interroga. E lo fa da un volume di quasi 500 pagine, scritto da Valérie Perrin che sembra contenere il sentire di tutte le donne del mondo. Cambiare l’acqua ai fioriesce in Francia nel 2018 e vince il Prix Maison de la Presse, da noi arriva nell’anno della pandemia, tradotto dal francese da Alberto Bracci Testasecca per edizioni e/o.

Il libro si presenta con un epitaffio: “Un solo essere ci manca e tutto è spopolato”.

Basta davvero pochissimo, qualche pagina appena per finire tra le trame fittissime dei dolori di un’umanità straziataLa storia della protagonista ha le tinte della tragedia, al centro di ogni cosa c’è l’ombra di un legame spezzato.

Anche questo libro incede sui binari del giallo, del mistero che percorre le pagine. Ma più che tenere con il fiato sospeso, la narrazione qui pare impegnata nel trattenere un presagio. Il racconto è denso e vivide sono le scene. I giorni e le notti della protagonista ci si attaccano addosso, pagina dopo pagina, e sembra di vederli scorrere davanti agli occhi con un ritmo piacevole.

C’è come un profumo che promana da ogni riga, ci vengono in mente le viole, il tono non è mai stucchevole né melenso. Si riconosce la casa che è quella degli inizi di molti matrimoni, poco più che un monolocale. L’amore e la spontaneità, la forza ma anche l’inadeguatezza che trafigge e proviene sempre dallo sguardo degli altri, poi un figlio. La stabilità e la routine, un lavoro e un posto nuovo in cui mettere radici e farsi famiglia. La vita adulta per Violette e Philippe ha i connotati di due guardiani di un passaggio a livello, dalle parti di Nancy. Un affaccio privilegiato sull’esistenza che sfreccia nei treni tiene la giovane dietro un vetro e sembra costringerla a quella finestra, a guardare. Mondi paralleli che a un certo punto però si toccano. È da una carrozza che arriva l’amicizia tra donne, il sentimento che all’occorrenza muta e diventa solidarietà, umana compassione, vicinanza, sorellanza.

Ma il vero cuore del libro è un nucleo doloroso. Una maternità squarciata. Il lutto e la desolazione, l’annichilimento che porta la fine di ogni respiro. E, poi, quando tutto sembra perduto, l’imporsi di una nuova vita e di una nuova casa, tra i morti.

“Bisogna che il buio aumenti perché appaia la prima stella”. È proprio nel buio che Violette prova a ricostruire un ponte e poi da quello un altro pezzo di strada. La aiuteranno amici nuovi, nuovi compagni di viaggio che sapranno traghettarla a una dimensione inedita. Sasha è una delle figure più belle del libro, quasi medicamentoso.

Niente più treni, l’esistenza in Violette per più di un momento si ripiega su se stessa ma infine si riapre, come un fiore, inaspettatamente. Accade quando accetta quel lavoro da custode di un cimitero, in un paesino della Borgogna, Brancion-en-Chalon, nella regione della Saône-et-Loire. Imparerà Violette, e il lettore con lei, che il destino è davvero imprevedibile e che non lo è solo nella sofferenza.

Capirà a sue spese che può esserci più vita nei luoghi che accolgono la morte che in una stazione. Sceglierà, per la prima volta, di ridare alla luce se stessa, mentre il marito uscirà di scena definitivamente, confermando che l’incomunicabilità è il male assoluto. Nessun rimpianto, alla fine. Entrambi hanno mancato e le colpe di uno sono in fondo lo specchio delle colpe dell’altro. Non ci sono eroi negativi in queste pagine, nell’accezione più classica del termine, non ne troverà il lettore né la lettrice. Troverà piuttosto un’umanità addolorata, disillusa, ferita.

Cambiare l’acqua ai fiori è un gesto semplice, è la ripartenza, segna l’inizio, la rinascita, è azione che non pretende, ma che contiene in sé la ricetta segreta della vita.

Accade in un estremo atto di libertà che Violette si ritrovi, solo dopo aver scoperto l’egoismo come antidoto allo strazio: “Una volta chiuso il cancello il tempo è mio, ne sono l’unica proprietaria. È un lusso essere proprietari del proprio tempo”.

È un personaggio leggero, di una bellezza lieve, malgrado il fardello che si porta addosso. Ha un candore fisso che però non abbacina. È una donna che veste l’estate, sotto l’inverno. I colori che sa di avere dentro li copre, con il nero di un cappotto, per difenderli, per difendersi. È una donna che custodisce in segreto l’amore di milioni di altri uomini e di altre donne, Violette, innaffia i loro fiori, annota le loro parole di commiato.

Saranno un giorno questi altri, tra tutti, Irène e Gabriel, a farsi presagio per lei, seme di nuovi sentimenti. Così arriva Julien Seul, un commissario di polizia che bussa alla porta della protagonista perché deve risolvere un mistero. Va per trovare la tomba dello sconosciuto, accanto al quale la madre ha chiesto di essere sepolta. E riporta, nella casa della custode del cimitero, il vociare di un bambino e, almeno per un momento, il rumore della vita.

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Titolo: La bambina del freddo
Autrice: Rossella Canevari
Editore: Bookabook
Prezzo: € 13,00

Titolo: Cambiare l’acqua ai fiori
Autrice: Valérie Perrin
Traduttore: Alberto Bracci Testasecca
Editore: e/o
Prezzo: € 11,99

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