Smart working, i giovani lo preferiscono ma le Big Tech tornano in ufficio

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Un’indagine condotta da Marketers ha fatto emergere una tendenza che si sta delineando in questi mesi: quasi tutti gli under 30 italiani preferirebbero continuare a lavorare in smart working. Il lavoro da remoto è ormai diventato parte del futuro. Il 97% degli intervistati, infatti, si definisce favorevole a continuare a lavorare in modalità “smart” per il resto della propria carriera, pur avendolo provato per poco tempo. Il 25% delle persone coinvolte, infatti, dichiara di averlo svolto al massimo per un anno, numeri che evidenziano il legame tra lo scoppio della pandemia e la scoperta di questa nuova frontiera.

Se fino a questo punto i dati sembrano pendere decisamente a favore dello smart working, non va tralasciato il benessere delle persone, secondo cui ci sono sia lati positivi che negativi da questo punto di vista. Tuttavia, se il 48% ritiene che ci siano solo lati positivi, soltanto l’1,4% pensa che il lavoro da remoto abbia un impatto negativo sulla salute. A ciò contribuisce un minore livello di stress percepito dai lavoratori, che nel 60% dei casi affermano di essere meno stressati di prima (contro il 9% che avverte uno stress maggiore).

Uno dei principali lati positivi del remote working, secondo Marketers, rimane tuttavia il tempo che ciascun lavoratore riesce a dedicare a se stesso, alla propria famiglia e alle proprie passioni. E’ il fattore tempo che “vale” di più nella carriera dei giovani lavoratori prevalendo sulla scelta di rientrare in ufficio al 100%.

Tuttavia un’analisi condotta a livello internazionale da McKinsey ha messo in evidenza come il lavoro da remoto abbia portato nei lavoratori anche ansia e frustrazione sopratutto in quelle organizzazioni che non hanno saputo essere vicino alla propria squadra e comunicare in maniera trasparente.

I lavoratori che si sentono coinvolti in una comunicazione più chiara hanno quasi cinque volte più probabilità di aumentare la loro produttività. Poiché la comunicazione sul futuro può guidare i risultati delle prestazioni di oggi, ogni organizzazione dovrebbe considerare di aumentare la frequenza degli aggiornamenti ai loro team, sia per condividere ciò che è già deciso sia per comunicare ciò che è ancora incerto.

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I maggiori benefit percepiti sullo smart working sono il bilanciamento vita/lavoro, maggiore flessibilità, un impatto positivo sui costi e sulle emissioni di CO2 rispetto ai viaggi/trasferimenti. Tuttavia ci sono anche le paure che può generare un cambiamento così radicale, di cui i giovani sembrano in qualche modo non rendersene conto: perdita del senso di comunità (o di spogliatoio, come si direbbe nel mondo dello sport), minori opportunità di relazioni tra colleghi e difficoltà, soprattutto per le new entry, di imparare un nuovo lavoro e accreditarsi.

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Come si stanno comportando le Big Tech americane?

Ad Aprile Fiona Cicconi, la nuova hr director di Google, ha chiesto a tutti i dipendenti di alternare il rientro in sede da settembre e di vivere vicino la sede di appartenenza, addio quindi al lavoro dalla montagna o spiaggia.

La notizia di Twitter dello scorso maggio, che ha fatto il giro del mondo, per cui i dipendenti avrebbero potuto lavorare sempre da remoto è stata spiegata meglio: sarebbe meglio che lo staff alternasse momenti in ufficio e da remoto.

Microsoft, pioniera dello smart working, ha chiarito che quello che si aspetta per il futuro è un bilanciamento del 50% tra lavoro da remoto e in ufficio.

La scorsa settimana anche Amazon ha rilasciato una dichiarazione per cui chiedeva ai propri collaboratori di staff di rientrare in ufficio “per favorire la collaborazione, creatività e la formazione“.

IBM ha previsto che l’80% dei loro collaboratori lavorerò in ufficio 3 volte la settimana.

La tendenza quindi è di bilanciare lavoro in ufficio e da remoto valorizzando quindi i plus di entrambe le tipologie di lavoro: i giovani italiani dovranno arrendersi a rientrare, ogni tanto, in ufficio.