Così lo sport cambia i luoghi in cui viviamo: la nuova frontiera delle ‘sport city’

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Con la forte accelerazione impressa dalla pandemia alla voglia degli italiani di praticare attività sportiva all’aria aperta, cresce l’esigenza di immaginare delle città sempre più a misura di sport, ripensando non soltanto l’utilizzo degli spazi pubblici urbani, ma puntando anche al generale benessere psicofisico della collettività. Parchi, strade, piazze, periferie da riprogettare nell’ottica di migliorare la qualità della vita dei cittadini e diffondere anche la cultura dello ‘star bene’ all’interno delle proprie città che devono cambiare aspetto e diventare delle vere e proprie ‘sport city’.

Infatti, lo sport è ormai parte integrante del nostro modo di vivere e di pensare e giocherà sempre di più un ruolo di primo piano all’interno della stessa concezione di ‘smart city’ e intelligenza delle città. Una visione che segue un trend in ascesa. Secondo una ricerca realizzata dall’Istituto Piepoli gli italiani saranno sempre più attratti dallo sport all’aperto: il 70% degli intervistati ha dichiarato che svolgerà in futuro attività sportiva e motoria prevalentemente open air. Un fenomeno diffuso in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale e fra le diverse fasce d’età dai 18 agli over 55enni. E proprio con l’obiettivo di elaborare proposte concrete per il restyling delle città italiane è nata di recente la Fondazione Sportcity che ha come prima mission proprio quella di promuovere la cultura sportiva nei nostri centri abitati. 

“Da molto prima dell’inizio della pandemia, con Fabio Pagliara, presidente della Fondazione Sportcity abbiamo deciso di dedicare attenzione alla tendenza delle persone a praticare sport all’aperto – ha spiegato Livio Gigliuto vicepresidente dell’Istituto Piepoli e vicepresidente nella neonata Fondazione Sportcity – abbiamo deciso di dedicare attenzione alla tendenza delle persone a praticare sport all’aperto. Gli italiani hanno sempre preferito allenarsi tra lungomare, lungofiume e parchi comunali. Questo almeno per due motivi: fare sport in un bel posto, e le nostre città sono molto belle, mette insieme gli obiettivi ‘di salute’ con quelli psicologici, legati al bisogno di vedere qualcosa di gratificante. Il secondo motivo è climatico: abbiamo la fortuna di avere un numero medio molto alto di giornate con clima mite (soprattutto nel centro-sud) e questo stimola a frequentare luoghi aperti. La pandemia ha amplificato questo effetto: ora il 70% degli italiani, e una quota ancora più alta tra gli over54, dichiara che anche alla fine dell’emergenza praticherà sport all’aria aperta”.

Transizione in corso dalle smart city alle sport city?

Secondo Gigliuto più che una transizione dalle smart city alle sport city “forse si va verso un’integrazione tra i due modelli: cura del corpo e interconnessione digitale saranno i trend portanti dei cambiamenti del prossimo decennio. Anche in questo caso la pandemia acuisce spinte che già stavano germogliando: nei prossimi 10 anni abbandoneremo lo stile di vita frenetico per curare di più salute psicologica e relazioni familiari, avremo più relazioni tra noi ma saranno ‘figitali’, armonicamente alternate tra incontri fisici e digitali. Una rivoluzione umanista sostenuta da quella digitale. In questa rivoluzione umanista abbiamo riscoperto l’importanza del corpo, tanto che anche durante il lockdown l’84% dei giovani italiani ha svolto attività fisica, in casa o, quando consentito, all’aria aperta”.

Per il vicepresidente dell’Istituto Piepoli è quindi “utopistico” pensare che le città possano cambiare senza coinvolgere lo sport.L’attività fisica è uno dei driver di questa mutazione. Iniziare ad applicare anche in Italia, come già avviene con successo da tante altre parti del mondo, il modello delle città in 15 minuti, ad esempio, significa spingere le persone a vivere di nuovo le proprie città, i propri quartieri, ripopolandoli e rendendoli più sicuri. Già nel 2016, infatti, il 77% degli italiani riteneva che il modo migliore per rendere sicuri i nostri parchi urbani fosse trasformarli in parchi dello sport”.

Al via la Fondazione SportCity per promuovere la cultura sportiva in Italia

La Fondazione SportCity è nata proprio con l’obiettivo di diffondere e supportare la cultura sportiva in Italia. Un ‘Think Tank’ che propone lo sport come strumento per cambiare i tessuti urbani, con impatti positivi sulla qualità della vita delle persone. Un hub costituito da un gruppo di professionisti che offrono le proprie competenze per mettere in campo proposte concrete che permettano di individuare le priorità sulle quali agire in tema di sport nelle città. Fra le proprie attività la Fondazione punterà a realizzare partnership e alleanze per lo sport e per le città, a ricercare soluzioni mirate al benessere dei cittadini e alle politiche sociali attraverso lo sport, la creazione di network fra le città per lo sviluppo dello sport in ambito urbano, piani di valorizzazione dei luoghi dello sport anche in ottica di rigenerazione urbana.

Le sport city da oggi non sono più un’idea, un sogno da visionari, una serie di slogan da adattare all’approccio anarchico delle città al tema della salute e dello sport urbano – ha dichiarato il presidente della Fondazione Fabio Pagliara, in occasione del taglio del nastro della Fondazione – la nascita di un comitato promotore che porterà alla costituzione di una Fondazione SportCity è un segnale al mondo dello sport e delle Istituzioni, come ai decisori politici locali: la promozione dell’attività fisica e gli interventi di trasformazione urbana non possono vivere di buona volontà e improvvisazione, ma si deve lavorare a interventi organici e strutturati, concependo lo sport come strumento concreto di politiche trasversali per il benessere dei cittadini”. Secondo Pagliara “piazze, parchi, lungomare e spazio urbano sono una tela alla quale dare colore e vita. La tavolozza ideale saremo noi con la nostra Fondazione, promuovendo iniziative, suggerendo soluzioni e strumenti per raggiungerle. La sfida delle città (e dei cittadini) felici è appena cominciata”.

Gigliuto, che della Fondazione è vicepresidente, ha osservato, inoltre, come il principale problema sia “soprattutto culturale, legato alla percezione”. Lo sport, ha affermato, “non è una specifica area di azione, dedicata a chi dichiara di essere appassionato di sport. Ragionare su un modello di sportcity significa integrare ogni aspetto della vita di tutti, della gestione urbanistica, del modello scolastico e universitario, della mobilità urbana, persino il modo in cui lavoriamo e costruiamo gli uffici, prevedendo la variabile ‘attività fisica’. Quante ore al giorno, durante il lavoro, i collaboratori stanno fermi? Quanto incide questo sulla loro performance e sul clima aziendale? Come armonizzare i tempi della giornata per migliorare lo stato d’animo (e quindi la produttività) delle persone? Per questo serve, come propone la Fondazione, anche formare la classe dirigente a un nuovo atteggiamento, a un nuovo modo di concepire l’attività fisica e il suo rapporto con il tessuto urbano”.

Lo sport come impulso all’innovazione a alla crescita culturale

Lo sport può diventare, anche, uno straordinario strumento per investire non solo sul capitale umano, ma anche per favorire l’inclusione, l’integrazione, la crescita culturale e la socializzazione. Un modo per aiutare anche le comunità territoriali a crescere. La pandemia ha cambiato, infatti, la voglia di fare sport, di curare la salute, di vivere l’aggregazione. Le aree urbane, i parchi, si sono trasformati nel naturale teatro di attività motoria e sportiva, anche attraverso la promozione della comunicazione digitale.

“L’arena del processo di innovazione del Paese sono le città – ha sottolineato Gigliuto – mobilità sostenibile, efficienza energetica, miglioramento della qualità della vita delle persone e riduzione dell’inquinamento dell’aria, sono obiettivi decisivi per le istituzioni italiane, ma è illusorio pensare di raggiungerli senza cambiare lo stile di vita delle persone. E qui interviene lo sport. Organizzare la struttura urbanistica delle città integrando l’attività fisica in ogni ambito della pianificazione, dalla mobilità alla cura del verde, creando quelli che la Fondazione Sportcity ha battezzato come ‘parchi 3.0’ (studiati per essere belli, sportivi e tecnologici) in ogni quartiere di ogni città, democratizzando l’attività fisica sganciandola dalle possibilità economiche. Si parla tanto di divario digitale e troppo poco di divario sportivo”.

Ormai da anni l’attività fisica è innervata, legata a doppio filo con la tecnologia. Già adesso – ha riferito il vicepresidente dell’Istituto Piepoli – 3 giovani italiani su 4 monitorano la propria condizione fisica attraverso app sul loro smartphone. Anche tra i meno giovani, in molti ‘contano i passi’ che fanno ogni giorno grazie al loro cellulare con l’obiettivo di mantenere uno standard giornaliero. Lo avrebbero fatto senza tecnologia? Probabilmente no. La tecnologia – ha concluso – ci può rendere più sportivi e più attenti alla salute, a patto che le città ci aiutino a farlo con semplicità”.

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