Osare, il verbo più difficile da mettere in pratica, soprattutto in tempi di Covid.
“Superare il proprio limite, cercare di guardare oltre. Non rinnegare nessun tipo di esperienza di lavoro, nemmeno quella che sembra più lontana”.
Rischiare, sperimentare. A parlare è Diletta Scandiuzzi, dopo aver cambiato “pelle”: da cantante lirica professionista (mezzosoprano) a pasticcera imprenditrice. “I dolci a tavola sono come i concerti barocchi nella storia della musica: un’arte sottile” diceva Isabelle Allende. Non è un caso la sua passione per il Belcanto e allo stesso tempo per la haute pâtisserie.
Nata a Vicenza, 35 anni, Diletta si è trasferita nell’adolescenza a Treviso, per una vita accompagnata dalla musica: suo padre è Roberto Scandiuzzi, celebre basso verdiano, sua madre Anna Maria Bicciato, esperta della voce (compresa la sua). Con loro ha studiato il repertorio operistico e cameristico. E ha viaggiato, ha conosciuto l’arte e gli artisti. Ha vissuto lo stupore aggirandosi bambina a teatro, tra camerini e costumi di velluto, l’odore del legno e il profumo delle ciprie dietro il sipario e tra le poltrone della platea.
“Ho avuto la vocazione – racconta Diletta Scandiuzzi ad Alley Oop – e ho compreso la dedizione. Sono cresciuta sul palcoscenico dei più grandi teatri d’opera del mondo, educata al canto e alla letteratura, abituata a cercare “nuances” che si avvicinino alla “perfezione”. La libertà e la disciplina, l’equilibrio che lo studio dona al talento, senza il quale è solo sregolatezza. Ho amato anche il trasformismo dell’opera lirica: il potere di interpretare un personaggio diverso, ti dà la possibilità di essere anche altro e di scavare sulla tua persona”.
Se il canto lirico rappresentava il suo lavoro, quello dei dolci per molto tempo è stato semplicemente un hobby, ma entrambi sono la sua Arte. Nel novembre del 2018 è stata incoronata campionessa del Tiramisù Word Cup di Treviso su 650 candidati arrivati da tutta Italia. Il suo tiramisù è stato ritenuto il più buono del mondo nella ricetta originale: classico con i sei ingredienti di rito – savoiardi, caffè, uova, zucchero, mascarpone e cacao – con una crema che solo lei sa fare, e piace.
Dopo la vittoria e la richiesta di showcookings, avvia un’attività riconosciuta come una startup innovativa in ambito “food” nel 2020, autorizzata dal ministero per lo Sviluppo economico, realtà imprenditoriale affermatasi in pieno periodo Covid. Da lì in avanti Diletta Scandiuzzi alterna pianoforte al piano cucina, il ruolo di mezzosoprano a quello di delegata per il Triveneto della Federazione Internazionale Pasticceria, Gelateria e Cioccolateria.
Dall’incontro con il manager vicentino Diego Creazzo nasce la Srl D&D (dall’iniziale dei loro stessi nomi) e il “core business” diventa la crema al mascarpone declinata in vari gusti: pistacchio, cioccolato, arancio, limoncello. Dal lancio del marchio Dilettamisù, sono nati poi prodotti dai nomi evocativi, come gli strumenti di un’orchestra: Minuetto, Preludio, Allegro vivace, Adagio. La startup intende finanziarsi con due operazioni di crowfounding.
“Il tiramisù è un dolce emozionale, un prodotto che si sviluppa da alimenti di arte povera culinaria, tra quelle che devono corroborare il fisico. Ha sempre fatto parte del convivio di una platea vasta, fruibile per tutti, è un prodotto regionale, un dolce amato in tutto il mondo. Sei ingredienti per un capolavoro. Vorrei che lo fosse ogni volta. Mentre impiatto il “mio” tiramisù penso al piacere intenso di chi affonderà il cucchiaino senza fretta nella cremosità di questo semifreddo, il più conosciuto al mondo, che in troppi pensano sia facile da realizzare. Il segreto è nel suo equilibrio. In contrasto con il suo richiamo peccaminoso, va dritto al cuore” racconta Scandiuzzi.
La vittoria ad un concorso mondiale è stata la svolta?
Nella vita di tante persone c’è quello “start”, che deve essere interpretato per partire, solo che a volte non siamo attenti ai suggerimenti della vita e perdiamo occasioni di crescita umana e professionale. E’ quello sparo di inizio corsa, e tu cominci a correre. La vita delle persone sui giornali e sotto i riflettori sono cose che mi appartenevano già, non sono quelle che mi hanno dato alla testa.
Cosa vuol dire cambiare “pelle” da cantante a pasticcera e imprenditrice?
Sono stata percorsa dall’anelito che le persone possono fare molto più di quello che fanno. Canto ancora, vivo anche ora di questa purezza e armonia, porto con me il meglio. E’ come lasciare una strada che si conosce perfettamente. Cantare, lo facevano i miei genitori, sono diventata anche io cantante, e poi a 25 anni la fidanzata sempre di un cantante. Cambiare pelle è stato come uscire dalla “comfort zone”. Quello che non conosci può spaventare, è diverso non farsi prendere dal vortice di certe dinamiche, che si rassomigliano.
Cosa l’ha guidata nel cambiamento?
Una spontaneità interiore. E’ meraviglioso scoprire altro di te, la capacità di intraprendere una nuova strada. Ho cercato di dare una veste che rispecchiasse la mia identità. Potenzialmente le persone possono fare di più di quello che fanno. In questa ricerca di equilibrio fra il fuori e il dentro, per me non è stata una rinascita, ma un’evoluzione.
Mi immagino su questo zaino. Porto con me il meglio che ho vissuto: mi sono lanciata su un’altra vita, che ho intrapreso con il coraggio di dire che non è un salto nel vuoto.
E’ stato eccitante, cambi solo pelle. Possiamo dare tanto, ma vedo molta gente che è bloccata e non riesce a farlo.
Come ha reagito alla pandemia?
Umanamente parlando, il primo lockdown è stato devastante. Ho avvertito un senso di precarietà, un brutto momento. Uno sgomento anche per l’azienda, che ha dovuto trasformarsi in altro per sopravvivere: una battuta d’arresto, un peso psicologico che ha spronato a reinventare qualcosa in modo lungimirante. Ho potenziato l’attività di produzione e commercializzazione di dolci e creme destinate al settore HoReCa, ossia Hotellerie Ristorazione e Catering, ma anche al consumatore finale, con corner dedicati dentro a punti vendita del territorio nazionale.
Siamo usciti tutti più “smart”: è stata una situazione violenta di selezione, in cui è stato necessario ripensarsi, mentre i musicisti, chi vive del teatro ha dovuto resistere con gli eventi in streaming.
E’ impegnata nel sociale?
Con il canto ho sempre fatto beneficenza, ho aderito ai progetti Unicef. Come imprenditrice durante il Covid ho aiutato il reparto di pediatria dell’ospedale di Vicenza.
Che cosa le ha insegnato il 2020?
Il 2020 è stato un anno horribilis. Le situazioni sono variegate e, parlando in generale, dico di non rinnegare nessun tipo di esperienza, nemmeno quella che ci sembra più lontana: non avere paura, osare.
I riflettori danno il senso dell’onnipotenza, ma questa dura fino a quando dura, poi sparisce, se ne va. Io sono una persona di forte dignità. Lo spettacolo a volte ti slega dalla realtà, senti il delirio di onnipotenza, ma fino a che tu non salvi una vita umana devi volare basso. Devi osare per te stessa: ecco l’atteggiamento più corretto per affrontare la vita. La tua soddisfazione è per la tua persona. E’ necessario essere più elastici, perché la staticità non è mai la soluzione. Devi rischiare.