Governi europei, le donne al potere nei momenti di crisi

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Kaja Kallas è stata nominata prima ministra dell’Estonia, e per la prima volta è una donna a guidare il governo nel Paese. Avvocata specializzata in antitrust, eurodeputata liberale, Kallas è stata anche membro dell’Alleanza Antimonopolio Europea ed è a capo del partito riformista. Figlia dell’ex premier, va a sostituire Juri Ratas, venuto a dimettersi a seguito di una bufera che ha travolto il suo gruppo politico per sospetta corruzione. Kallas va alla guida del Paese dunque in un momento complesso politicamente, oltre che per le contingenze internazionali dovute alla pandemia. 

Con l’Estonia salgono a sei le donne alla guida dei paesi nordici-baltici. Oltre a Kallas abbiamo Ingrid Šimonytė in Lituania, Mette Frederiksen in Danimarca, Sanna Marin in Finlandia, Era Solberg in Norvegia e Katrin Jacobsdottir in Islanda. Guardando poi al resto d’Europa, citiamo anzittutto Angela Merkel che da ben 15 anni è cancelliera in Germania. E ancora in Moldavia la presidente Maia Sandu, in Georgia Salomé Zourabichvili, in Slovacchia Zuzana Čaputová e in Serbia la prima ministra Ana Brnabic, che ha il primato europeo come capa di stato dichiaratamente omosessuale. 

Negli oltre 200 Paesi del mondo, solo 20 sono capeggiati da figure femminili, tenendo conto sia delle donne che ricoprono la carica di capo del governo che le donne che hanno funzione di capo di Stato ma senza una vera funzione politica. Secondo un recente studio dell’Università di Liverpool, nei Paesi guidati da donne le misure di isolamento durante la pandemia Covid-19 sono state prese più rapidamente, e si è registrata in media la metà dei decessi rispetto ai Paesi guidati da capi di stato uomini. Inoltre è stata diversa l’attenzione e la comunicazione verso i giovani e i bambini.

Nel dettaglio, sono stati presi in esame 194 Paesi, nel primo trimestre della pandemia, tenendo in considerazione fattori quali il prodotto interno lordo, la popolazione totale, la densità di popolazione urbana, la percentuale di residenti anziani, la spesa sanitaria annuale a persona, l’apertura ai viaggi internazionali e il livello generale di parità di genere nella società. Poiché solo 19 dei 194 Paesi esaminati erano guidati da donne quando la ricerca è stata condotta, gli autori hanno creato gruppi di «vicinato» per confrontare Paesi simili. Ad esempio, sono stati messi a confronto la Germania (donne) e gli Stati Uniti (uomini).

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«I nostri risultati indicano chiaramente che le donne al comando hanno reagito in maniera più tempestiva e risoluta di fronte alla minaccia di potenziali vittime», ha commentato la co-autrice Supriya Garikipati in un comunicato stampa: «In quasi tutti i casi, le leader donne hanno adottato misure di isolamento prima dei loro colleghi maschi in circostanze simili. Se da un lato queste misure potrebbero avere implicazioni di natura economica nel lungo periodo, dall’altro hanno consentito a tali paesi di salvare vite, come dimostrato dal numero di decessi notevolmente inferiore registrato in questi stessi Paesi».

In una contingenza complessa come quella creata dalla pandemia, non si può evitare di pensare a quel fenomeno che è il “glass cliff”, la scogliera di vetro, secondo cui in circostanze di crisi, aumenta la probabilità che siano chiamate delle donne a ricoprire ruoli dirigenziali. Il termine richiama il “glass ceiling”, quel soffitto di cristallo impossibile da attraversare per le donne, che arrivano a un passo dai ruoli dirigenziali senza mai potervi accedere. La scogliera indica invece la difficoltà del ruolo dirigenziale in determinate circostanze, ovvero quando ogni scelta comporta elevati rischi di fallimento e impopolarità. Sarebbe quello il momento in cui è più difficile trovare uomini disponibili ad assumere la guida, e questa viene dunque  più facilmente assegnata a una donna.

Secondo lo studio del 2004 che ha creato il concetto di glass cliff, terminato il periodo di crisi vengono utilizzati gli errori commessi dalle dirigenti donne per giustificare il loro licenziamento e sostituirle con colleghi uomini, percepiti come più competenti. L’ipotesi è che quando un’azienda va bene si farebbe più fatica a capire di chi sia il merito, e i dirigenti lo attribuiscono di preferenza agli uomini. 

Eppure, nonostante le difficoltà che disturbano la misurazione dell’impatto effettivo della leadership, le donne alla guida dei Paesi stanno dimostrando capacità e competenza. Dobbiamo aspettarci un’inversione di rotta al termine dell’emergenza sanitaria? Probabilmente no, se le buone pratiche diventeranno prassi. Un buon cantiere di lavoro per consolidare tali buone pratiche potrà essere in Italia quello per la gestione del Recovery Fund, un’occasione storica irripetibile per agire sul divario di genere. Forse non avremo presto una premier italiana donna, ma che si prepari la strada.