Abbiamo perso l’innocenza? Come chi si ritrova improvvisamente in guerra e finalmente sa, sa nel profondo, che le cose possono cambiare, che non c’è niente di immutabile? La generazione dopo la guerra ha ricostruito il mondo, e lo ha fatto in gran parte diverso. Sono stati firmati trattati, ridefiniti confini, stabilite alleanze destinate a impedire che accadesse ancora. E noi? Con che trattati, che alleanze, che progetti, ricostruiremo il nostro mondo, evitando che questo succeda ancora? Perché se ne parla così poco?
A Natale, canta un video di auguri diventato virale in questi giorni, “disconnettiti e ciao”. Ed è di buon auspicio pensare, per esempio, che a Natale si possa andare off line, ma non “questo Natale”. Non solo perché le ormai diffusissime videochiamate sono quel che ci resta per vedere i nostri cari, alcuni dei quali a Natale soli più che mai – ed è sempre stato così: durante le feste la solitudine punge di più – ma anche perché le festività sono occasioni per fermarsi e tirare le somme, tirare il fiato, ricordarci le cose importanti. E questo Natale, a sorpresa, la cosa importante di cui ricordarci è che non c’è solo il Covid.
Le date che segnano il calendario, le ricorrenze come il Natale, sono dei simboli potenti perché ci danno l’opportunità di mettere insieme significati apparentemente lontani tra di loro. Solo così, solo sotto l’egida di un simbolo che si mantiene tale anche durante le guerre e le pandemie, possiamo ricomporre il senso delle grandi paure e dei piccoli desideri, possiamo spiegarci come convivano nelle stesse giornate, senza che le prime soffochino i secondi.
Questa pandemia ha fatto dei danni diretti, uccidendo e infettando. E poi ha fatto e continua a fare una strage indiretta: della nostra immaginazione, della nostra capacità di sognare e progettare, sentendoci protagonisti delle nostre storie. Chi non ha la sensazione di dover tenere la testa bassa, aspettando che passi?
Eppure, come ogni Natale, intorno al tavolo ritroviamo le cose che contano, le cose che siamo.
In numero sempre più ristretto e regolamentato, ma intorno al tavolo ci sono le nostre scelte. E forse la scarsità di lustrini ce le renderà più evidenti del solito, se la polvere di Covid che ha coperto tutto si solleverà per un attimo.
Le file di ieri mattina davanti alle rosticcerie e alle pasticcerie, i nostri articolati menu, la tenace voglia di festeggiare e stare insieme, il non voler perdere alcuni gesti, nonostante tutto, sono il simbolo della nostra ribellione: questo Natale non è solo Covid. Questo Natale ce lo teniamo, riconfezionato ad arte tra divieti e deroghe, facendo lo slalom tra possibile e concesso, continuando nonostante l’overdose di schermi dei mesi scorsi a mandare centinaia di cartoncini digitali e a cercare gli amici in chat, mentre addobbiamo l’albero e ascoltiamo canzoncine.
Quello del 2020 ce lo ricorderemo, così speriamo, come un Natale unico, e la nostra tenace volontà di festeggiarlo potrebbe essere il segnale di qualcosa che non riguarda solo il vaccino, ossia la salute del nostro corpo, ma anche la ripresa del nostro spirito. Questo Natale, le nostre feste dicono che siamo ancora qui, che crediamo che si possa ricostruire, e che vogliamo farlo. Oggi, che più niente è scontato, festeggiamo quindi insieme, di più e meglio, il Natale del 2020: festeggiamolo così com’è.