Cara Alley, vorrei poter fare gli auguri a mio figlio per il suo compleanno

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Buongiorno vorrei raccontare la mia triste vicenda iniziata 13 anni fa quando conobbi il padre di mio figlio. Da subito capii che c’erano delle “ anomalie” nei suoi atteggiamenti e subito mi rivolsi al Centro antiviolenza del mio Comune, che mi sostenne per anni. Appena lo conobbi rimani incinta e da li cominciarono le vere e proprie violenze fisiche e psicologiche, con le continue richieste di abortire e con vessazioni a me e alla mia famiglia. Nonostante ciò, decisi di portare avanti la gravidanza e mio figlio nacque nel dicembre 2007. Il padre lo riconobbe, sotto le pressioni della sua famiglia. Rimase con me fino a che il bambino ebbe quasi un anno ma, stanca ed esausta delle violenze, lo “invitai” ad uscire dalla mia casa di proprietà.

Per i primi anni di vita del bambino venne solo sporadicamente a vedere il figlio, se ne disinteressò completamente fino a che iniziò a una battaglia legale contro di me. Battaglia che è continuata per anni e che include un affidamento condiviso e delle modalità di condivisione della vita di nostro figlio. Tuttavia, nonostante un decreto del Tribunale dei minori (deciso davanti al giudice con un accordo fra di noi), questa condivisione non è stata rispettata. In questa battaglia giudiziaria, venne nominata dal Tribunale consulente per una CTU (consulenza tecnica d’ufficio) che stabilì che la paura che aveva il bambino nel frequentare il padre era frutto di un “conflitto di lealtà che avrebbe potuto portare a una futura psicopatologia del minore”. Un concetto che richiama la famosa Pas o alienazione genitoriale, un costrutto ascientifico bocciato diverse volte dalla Corte di cassazione. Pertanto, gli stessi CTU utilizzano altre terminologie per rifarsi alla stessa Pas – alienazione genitoriale. Ho portato denunce e mail, sms di violenza psicologica agita dal padre del bambino, i verbali di pronto soccorso, ma la CTU  stabilì che si trattava di conflittualità e non di violenza agita nei miei confronti, in barba alla Convenzione di Istanbul. Stesso risultato anche per quanto riferito del bambino sulla violenza assistita, descritta dalla CTU come mera fonte di alienazione mia nei confronti di mio figlio.

Il vero dramma per me e per mio figlio, che all’epoca aveva 10 anni, è arrivato con un decreto da parte del Tribunale. La CTU è andata a scuola a prendere mio figlio assieme al padre, alla sua consulente di parte e alle assistenti sociali del comune e lo hanno portato in una casa famiglia assieme al padre. Da quel giorno, sono passati 9 mesi perché io potessi rivedere mio figlio, nonostante già dopo pochi mesi la CTU consigliasse la ripresa immediata dei rapporti mamma figlio e nonostante lo stesso Tribunale ordinario decretasse con diversi provvedimenti provvisori ai servizi sociali la ripresa immediata. I servizi sociali del comune dove risiedeva il bambino, senza alcun motivo, tardarono la ripresa dei rapporti, fino ad arrivare a 9 mesi. Intanto, la CTU aveva concluso il suo lavoro, definendo comunque una progressione nel rapporto mamma-figlio anche se il minore continuava a vivere con il padre.

Da quel momento, e per un anno e mezzo, ho potuto vedere mio figlio solo in incontri protetti. Inizialmente per un’ora ogni 15 giorni, poi (dopo il deposito da parte del mio legale di una memoria corredata da una relazione da parte dell’operatrice degli incontri protetti dove si evinceva la volontà del minore di vedere più assiduamente la mamma e tale relazione fu taciuta e omessa dal deposito da parte dei servizi sociali) un’ora a settimana, ma con la presenza di due operatrici e solo in uno spazio del Comune con sbarre alle finestre. Un regime da 41 bis, senza che io abbia mai commesso alcun reato, se non avere denunciato tutte le violenze subite, liquidate come “conflittualità di coppia”.

I servizi sociali hanno depositato numerose relazioni altamente pregiudizievoli e giudicanti della mia persona dicendo addirittura che durante gli incontri maltrattavo mio figlio senza portare alcuna prova a supporto anche perché ciò non corrisponde a realtà: ho registrato tutti gli incontri. Affermano che il minore sta bene con il padre e la sua compagna, la quale – su indicazione degli stessi servizi sociali – effettua un percorso sulla genitorialità, arrivando poi a farsi chiamare mamma da mio figlio. Il decreto definitivo dal Tribunale ordinario ha dato mio figlio in affidamento super esclusivo al padre, con incontri protetti di un’ora a settimana. Nel decreto vengo giudicata dal servizi sociali inidonea sulla base di considerazioni tipo il racconto di un film degli Avengers a mio figlio e loro pensano che mi identifico con l’eroina buona e il padre come cattivo!!

Di mia iniziativa, mi sono sottoposta a una serie di test diagnostici dai quali non emerge alcuna psicopatologia, ho seguito due percorsi psicologici presso la USL, sto seguendo da anni percorsi psicologici presso i Centri antiviolenza del mio Comune ma nonostante tutto questo sono ormai tre anni che non posso vedere mio figlio liberamente nemmeno un’ora e non viene nemmeno posto in atto quanto suggerito dalla CTU. Ho chiesto al al Giudice tutelare del Tribunale un curatore, per attuare un programma di recupero del rapporto con mio figlio perché ho notato la sua sofferenza nel vedermi dopo così tanto tempo ancora in quelle modalità. Non ci era permesso nemmeno fare una passeggiata fuori, prendere un gelato o andare in un bar anche con le operatrici. Sono stata trattata come la peggior criminale e con un danno inimmaginabile per mio figlio. Il Giudice tutelare mi ha consigliato di fare un altro, ennesimo percorso psicologico, che sto facendo tuttora. In una relazione i servizi sociali hanno dichiarato di non essere in grado di ripristinare il rapporto mamma-figlio, senza depositare MAI i verbali degli incontri protetti di sei mesi. Ciononostante, lo stesso Giudice tutelare ha nuovamente conferito mandato agli stessi servizi sociali .

Ad oggi il padre mi manda laconiche email informative (perché obbligato dallo stesso Giudice tutelare) ma di fronte alle mie richieste di informazioni non mi risponde. Inoltre, nel pieno della pandemia, non mi dava alcun tipo di informazione, non rispondeva a telefonate, messaggi ed email. Sono rimasta per mesi senza alcuna notizia di mio figlio. Solo con l’intervento dei Carabinieri e dei miei legali sono riuscita a sentire mio figlio due minuti a settimana al telefono, per due mesi. Successivamente il padre decise in autonomia di sospendere anche le telefonate e per altri mesi non di nuovo il silenzio. I servizi sociali, informati dai miei legali di questo e di altri comportamenti, non hanno mai risposto e nemmeno sollecitato il padre a far sentire al bambino la mamma . Durante la pandemia a tutti i genitori erano consentiti contatti con i figli almeno in videochiamata ma né il padre né i servizi sociali si sono adoperati in tal senso .

Dopo 8 mesi i servizi sociali hanno disposto solo un mese di incontri settimanali di un’ora sempre super protetti con le due operatrici in una stanza chiusa, poi hanno sospeso nuovamente per un altro mese gli incontri, per poi ripristinarli per un’ora ogni 15 giorni andando anche contro il decreto definitivo del Tribunale ordinario. In più, il bambino non ha contatti con tutta la mia famiglia, se non sporadici e su richiesta e sempre protetti, seppur non previsti. Anche su questo, i servizi sociali si trincerano dietro al fatto che il padre detiene l’affido super esclusivo e pertanto non spetta a loro. Mio figlio è privato ingiustamente di una mamma e di tutto il ramo materno della famiglia e di tutta la rete di amicizie che ha avuto per i primi 10 anni della sua vita. Il mio caso è stato seguito dalla Commissione femminicidio del Senato ed è stato oggetto di due interrogazioni parlamentari, l’ultima nel dicembre 2019 ad opera dell’onorevole Veronica Giannone, oltre a una interrogazione comunale. Segnalo inoltre che, al momento del sequestro di mio figlio, avevo il ruolo di tutore legale per un minore presso lo stesso Tribunale e successivamente anche per un altro minore.

A breve sarà il compleanno di mio figlio, compie 13 anni, e non mi viene nemmeno consentito di sentirlo per fargli gli auguri e stessa cosa per le festività Natalizie. Ad oggi il procedimento è stato impugnato in Cassazione, sono in attesa di udienza e in attesa dell’istanza presentata davanti al Giudice Tutelare, per ottenere per lo meno di ripristinare quanto stabilito dal decreto definitivo e disporre una gradualità negli incontri, come previsto dalla CTU e la nomina di un curatore speciale per il minore. Intanto, i Procedimenti penali contro i soggetti coinvolti nella vicenda stanno facendo il loro corso.