Il 2020 sarà per i lavoratori un nuovo anno zero? Nelle agende aziendali avremo un 2021 o un anno 1 D.P. (dopo pandemia)? Sebbene la domanda appaia come un’iperbole priva di risposta reale, apre invece il campo all’innegabile sensazione che questo periodo abbia segnato e stia segnando una svolta per la maggior parte delle persone; una rivoluzione che in qualche modo prevede una ripartenza da vivere in modo meno emotivo/reattivo e affidandosi ad una strategia.
Accanto alle preoccupazioni sanitarie ed economiche che hanno correttamente preso il centro della scena durante questo periodo, ha suscitato molta attenzione il tema del lavoro da casa: smart working, telelavoro, remote working, lavoro a distanza sono solo alcune delle definizioni usate per rappresentare la risposta del mondo aziendale alla pandemia.
Dopo anni di riflessione sulle opportunità del mondo digitale e sull’automazione dei processi, da un giorno all’altro ci siamo ritrovati a non poter più lavorare dall’ufficio. La risposta a questa situazione è apparsa da subito complessa: se da un lato la tecnologia e l’informatica erano assolutamente pronte per far fronte e sostenere una situazione del genere ed hanno saputo offrire velocemente soluzioni idonee ad ogni contesto, dall’altro sono apparse impreparate le persone.
Per mesi si è parlato di difficoltà evidenti nella gestione personale e familiare degli spazi fisici e temporali, delle incomprensioni tra studenti e docenti non abituati ad una didattica priva della “presenza”, degli intoppi fra capi e collaboratori causati da una leadership e una followership non sempre preparate e idonee al nuovo contesto, della scarsa o poco efficace comunicazione tra professionisti e manager o tra gruppi di colleghi improvvisamente privati della socialità a cui erano abituati.
Nel corso dell’anno, tuttavia, il cambio di rotta per molti di noi “smart/remote worker” è stato evidente: abbiamo migliorato la nostra capacità di usare la tecnologia, abbiamo apprezzato le ore guadagnate evitando il traffico, abbiamo provato ad allenare la nostra capacità di gestire relazioni e conflitti in remoto, abbiamo costruito una grande organizzazione a sostegno della famiglia, abbiamo insomma costruito un nuovo modo di vivere.
Il cambiamento è stato tale che una delle tematiche più discusse oggi riguarda proprio la possibilità di continuare a lavorare completamente in “smart working” o di riprendere ad andare in ufficio anche in modo non continuativo. Le considerazioni raccolte attraverso interviste e confronti diretti sono ancora molto frammentate nelle motivazioni a sostegno dell’una o dell’altra posizione. Molto spesso domina il desiderio emozionale di ritrovare un vecchio status-quo precedente alla pandemia o la paura di abbandonarne uno nuovo appena ritrovato.
La scelta emozionale appare più importante di una riflessione con al centro la strategia. Non possiamo però trascurare come le emozioni siano influenzate dalla enorme incertezza che incontriamo nella raccolta di informazioni e, più generale, nel processo di ripartenza: se, da un lato, le aziende hanno definito piani e procedure molto chiare e comunicate con rassicurante fermezza, dall’altro, il ritorno a scuola e alle attività sportive lascia ancora qualche dubbio organizzativo per le famiglie che rimangono, per ora, appese ad orari che potranno subire variazioni e ad una poca chiarezza in caso di malattie.
Di sicuro l’argomento è molto complesso e prevede sfaccettature che sovrappongono la vita personale a quella professionale. Guardandosi indietro appare quasi un sollievo la strada presa a marzo: la decisione del governo di entrare in lockdown ha portato le aziende ad un unica soluzione, il lavoro in remoto.
Il paradosso della non-scelta mostra come, per le aziende, ad inizio pandemia sia stato, per assurdo, più facile prendere una posizione sul tema smart working, trovandosi di fronte a una necessità e non a una opportunità quale quella che avremo nei prossimi anni. In quel momento era necessario reagire e l’ottima capacità di problem solving mostrata dei leader ha consentito una risposta ad una situazione di emergenza; proiettandosi al futuro e restando fiduciosi verso una risoluzione del problema sanitario, per pianificare efficacemente come proseguire bisognerà anche fare affidamento su capacità più complesse, quali la visione prospettica, il pensiero strategico e la decisione.
Sarà importante che persone e aziende riescano insieme a superare l’impatto emotivo che caratterizzerà questa fase e quella ventura per affrontare in maniera razionale e collaborativa il nuovo percorso. La visione prospettica che sosterrà la soluzione strategica individuata sarà la solida base su cui costruire la motivazione dei lavoratori nel percorrere la strada determinata. L’efficacia comunicativa che accompagnerà la decisione presa sarà la via che permetterà di ispirare le persone senza farle cadere in personalismi, che esploderanno invece laddove le informazioni non saranno chiare e la direzione non sarà realmente ispiratrice.
Dalla nebbia di un settembre vissuto all’insegna del “giorno per giorno” la speranza è che la visione arrivi da scelte aziendali che sappiano appoggiarsi più sulla forza di un pensiero strategico che sulla reattività che nasce dalle emozioni. Scelte che, per quanto non amate da tutti, facciano sentire la presenza di un leader che guida non solo in risposta alle emergenze, ma soprattutto pianificando il miglior futuro per il benessere psico-economico della propria organizzazione.
Allo stesso modo l’augurio è che le persone siano pronte ad affacciarsi alla nuova fase con fiducia, avendo tratto dallo scenario attuale il più grande insegnamento: rimanere ancorati al passato non ci permette di ricostruire il nostro futuro.