Pallanuoto, campionato 2013. Dopo una stagione di serie A2 sempre al comando, la mia Como Nuoto sta per tornare in A1. Abbiamo vinto il primo play-off e stiamo giocandoci la finale. Sono a fine carriera e questa sarà per me l’ultima partita. Questa finale è la chiusura di un percorso partito dalla serie A1, che sta riportando la mia squadra del cuore là dove mi aveva accolto da giovane all’inizio del mio viaggio. Sono il più vecchio del gruppo, ma resto in campo ancora tanti minuti.
Sentire, ad ogni giocata riuscita, il sostegno dei miei compagni e l’urlo del pubblico mi toglie metà della sensazione di fatica. Vivo questi piccoli gesti di celebrazione con la carica di un ragazzino alla prima partita; mi tengono talmente in gioco che sul pari, ad un minuto dalla fine, il rigore della vittoria lo conquisto io. Non sarà mio il goal, ma poco cambia, l’importante è che abbiamo vinto. Parte la festa!
Soltanto nei giorni successivi ripensando alla partita mi sono accorto di quanti piccoli sbagli i miei compagni non avessero sottolineato. Ricordo di come fosse stato importante il sentire lo slancio portato dalle azioni riuscite e festeggiate da tutti con un gesto di gioia. Vincere aiuta a vincere, segnare aiuta a segnare ed evidenziare i piccoli successi dei compagni aiuta tutti nella miglior gestione della partita.
Questo nello sport è limpido, cristallino. Il successo va celebrato, la vittoria va goduta e la bella azione o il buon gesto tecnico/atletico vanno accompagnati dalla gratifica dei compagni e dai cori di centinaia di tifosi.
Nel contesto lavorativo l’importanza del feedback positivo e della celebrazione del successo è sicuramente nota a livello teorico, ma non sempre messa in pratica e troppo spesso poco vissuta sul piano emotivo. La ricerca del colpevole e l’approccio punitivo fanno parte del modo di agire di molti manager (per fortuna non di tutti) che spesso vengono ritenuti efficaci proprio perché sanno sottolineare l’errore e intervenire duramente sullo sfortunato che ha commesso lo sbaglio.
Nella nostra cultura lavorativa, l’attenzione al fallimento (purtroppo non orientata alla comprensione dell’errore e all’apprendimento, ma alla punizione di chi ha sbagliato) è molto più frequente dell’elogio del successo e del buon lavoro. Pensiamo ad esempio che la parola critica, facoltà o conoscenza che rende capaci di valutare l’operato di altre persone e il risultato della loro attività distinguendo il ben fatto da ciò che potrebbe esser migliorato, ha nel linguaggio lavorativo una accezione negativa. Quando qualcuno di competente ci muove una critica siamo abituati ad un giudizio ostile, raramente pensiamo subito ad una valutazione positiva. Per indorare la pillola qualcuno abbina alla parola “critica” il termine “costruttiva”, questo rafforza l’idea che dando la propria opinione agli altri ben di rado la si dia per esaltarne le attività svolte.
La metafora sportiva deve portarci a visualizzare le modalità festose con cui compagni e tifosi reagiscono alle belle giocate dei campioni, deve ricordarci che spesso il migliore amico del successo che si ha in una competizione è proprio la convinzione che si acquista azione dopo azione e nulla sostiene più che il sentirsi caricati dagli altri.
In ogni ambito diventa fondamentale, per sé stessi e la propria squadra, festeggiare l’obiettivo raggiunto o i passaggi chiave di un percorso. Quando si celebra il risultato proprio nel momento della vittoria si provano emozioni positive legando il piacere del target conseguito al processo che ha permesso di ottenerlo.
Il valore di questo aspetto nel lungo periodo è più forte e permanente di qualunque premio materiale e genera voglia di completare nuovamente un progetto o raggiungere un altro obiettivo per riprovare le stesse emozioni. Le endorfine rilasciate per un piccolo o grande successo che viene evidenziato e festeggiato generano felicità e voglia di ripetersi. Negare la celebrazione non solo fa perdere la possibilità di provare sensazioni positive, ma abbassa lo stimolo a cercarle nuovamente.
Nel lavoro, come nella vita di tutti giorni, il cervello di ognuno di noi abbina la sensazione positiva alla consapevolezza che l’impegno profuso stia portando a risultati soddisfacenti.
Un buon manager conosce le proprie persone e sa leggere piccoli e grandi risultati ottenuti, sottolineandoli e celebrandoli a dovere. La convinzione con cui questo gesto viene fatto è fondamentale per l’ottenimento del risultato motivazionale. Celebrare un successo, proprio o del team, senza esserne convinti genera sicuramente l’effetto opposto a quello desiderato.
E poi diciamocelo, quanto è stato bello veder tagliare i capelli a Camoranesi dopo la vittoria del mondiale di calcio nel 2006? E nella mia pallanuoto, quanto è affascinante ribaltare in acqua la porta dove hai segnato l’ultimo goal per sedersi sopra con tutta la squadra festeggiando col pubblico? La voglia di vincere ancora e ancora parte sicuramente da lì!