Solo l’elogio dell’imprecisione ci può salvare

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Prima o poi vorrei scrivere un libro su questo tema, la bellezza dell’imprecisione.
Non ho ancora avuto tempo, tanto meno in questo periodo. Perché non so voi, ma io non ero pronta a questo homeworking. A questo quadruplice lavoro di mamma insegnante di sostegno e apprendista colf, oltre a libero professionista. Nel tempo del “prima” questi ruoli li condividevo con grande piacere e spirito di collaborazione con la scuola, la mia adorata tata, le mamme dei compagni e i nonni ma ora ricade tutto sulle mie spalle – con l’aiuto del prezioso marito (che c’è tuttora!) – in un presente continuo dove è difficile definire tempi e spazi dedicati ad ognuna delle quattro attività.

Così durante il lockdown certi giorni mi è riuscito più semplice ottimizzare il riempimento della lavapiatti, tra la pianificazione del menu settimanale e il monitoraggio dei compiti, piuttosto che formalizzare un preventivo. E qualche volta è successo che – presa da un progetto – mi sono scordata di preparare la cena. E ogni volta che l’ho realizzato, ho avuto paura. Di non farcela, di non essere all’altezza. In nessuno dei quattro ruoli. La stessa paura provata dopo ogni maternità. Se ci ripenso ora, mi viene da sorridere: allora avevo una rete sociale molto ricca ed attiva e avevo uno spazio professionale tutto mio. Adesso invece sono in casa, in una pericolosa alternanza tra “angelo del focolare” e super-eroina “#Molamia” (in dialetto bergamasco significa “non mollare”), mentre tutto succede insieme e in spazi ancora ristretti. Sbagliavo prima, dando pezzi della mia vita “in outsourcing”? In fondo questo periodo mi ha permesso di stare più vicina ai miei figli e di riscoprire attitudini personali e dinamiche tra di loro, che prima intuivo soltanto, e velocemente. O sbaglio ora, cercando in ogni ruolo la perfezione, che forse sublima un bisogno di ordine e certezze? Non so come ne usciremo, ma so che in questa fase per me ogni giorno è una “Fase 0” una nuova conquista, non sempre facile.

O forse si sbaglia sempre – per definizione, come mamma – ma tanto più davanti ad una situazione come questa, mai vissuta prima dove non c’è una risposta più valida di un’altra. E dove quindi è lecito – oltre che sano – accettare le proprie imprecisioni, ammettere di sentirsi inappropriate ed esauste, senza che questo significhi una resa. Anzi. Io ho trovato catartico rendere evidenti e valorizzare queste imprecisioni, perché riflettono la mia “battaglia” personale, le miei conquiste giornaliere in questo periodo incredibile e surreale. E ho visto che ammetterle e condividerle mi fa sentire meglio. Ma non solo: mi rende più umana nei confronti dei miei figli e dio mio marito  e anche più simpatica nei confronti delle persone con le quali lavoro. Dietro un’imprecisione c’è una fatica ma anche una passione e un impegno a fare bene e condividerlo ci rende più autentici, più veri.

Mal comune mezzo gaudio? Almeno in parte, sì. Perché sapere che è “normale” sentirsi così non risolve certo la situazione, ma la sdrammatizza un po’. Sapere che non si è soli quando ci si ritrova (di nuovo!) a tu per tu con tutti quegli stereotipi di genere della “donna a casa” che davamo per superati – e ai quali ci credevamo immuni – aiuta a renderli un po’ meno insuperabili. E anche quella tentazione di “mollare” – che prima non si osava neanche ammettere – non è più un tabù, complice una stanchezza che ora è socialmente riconosciuta, accettata e apprezzata. Condividere queste oscillazioni tra vulnerabilità e coraggio – come ha proposto, con ironia Francesca Parviero è già di per sé una vittoria. Tutto il resto verrà con tempi e modi che nessuno ancora conosce. Ma saremo pronte ad affrontarlo così come siamo, imprecise autentiche e fortissime.