Attori: “Chiediamo al ministro Franceschini un registro per uscire dall’ombra”

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Ha il sapore di un contrappasso quello che vivono le attrici e gli attori italiani.  Una specie di paradosso con gli ingredienti della farsa se in questi giorni di emergenza non assomigliasse più a un dramma. I professionisti della ribalta, coloro che più di ogni altro sono sotto le luci dei riflettori, i protagonisti del cinema e del teatro, le star che sfilano sulle passarelle e sono inseguiti dai giornali scandalistici, per lo Stato non esistono. O meglio: non sono definibili, quantificabili, giuridicamente inquadrabili.

Sono loro – insieme ai musicisti e agli artisti in generale – alcuni degli invisibili dell’emergenza del Coronavirus. E così due di loro, Karin Proia e Raffaele Buranelli, hanno preso carta e penna e hanno compilato un documento di otto pagine fitte fitte con il battesimo del Raai (registro attrici e attori italiani):  in poche ore l’elenco ha ricevuto una valanga di adesioni che crescono di ora in ora.

A firmare ci sono nomi come Alessio Boni, Stefania Rocca, Monica Guerritore, Anna Galiena, Massimo De Lorenzo, Pietro De Silva, Pino Quartullo, Caterina Guzzanti. Ma è un elenco destinato a gonfiarsi vista la serrata generale del mondo dello spettacolo che in Italia sta mettendo in ginocchio migliaia di addetti ai lavori. “Quando si pensa alle attrici e agli attori normalmente si pensa ad una categoria di privilegiati – spiega Karin Proia, attrice e regista –  nella stragrande maggioranza dei casi però non è così. A oggi solo lo 0,7% dei sussidi del governo sono andati alla nostra categoria“.

Il motivo è presto detto. “Si  sono usati parametri irreali per definire gli aventi diritto in quanto professionisti – prosegue Proia – da fuori non ci sanno definire o inquadrate, non si sa dove comincia e dove finisce questa professione. Da decenni si riconosce la principale debolezza della categoria con la mancanza di un inquadramento giuridico“. E insomma: niente riconoscimento, niente sussidi. O meglio, i sussidi che il governo ha promesso al mondo dello spettacolo sono destinati a chi ha al suo attivo almeno 30 giorni di lavoro e di  contributi versati nel 2019. Un criterio che viene oggi giudicato inaccettabile perché non farebbe i conti , tra le altre cose, con le giornate di prova e di studio per interpretare una parte. Ma non solo: “Trenta contributi versati in un anno fuori dal campo teatrale – spiega il documento – equivalgono a circa due film da protagonista, 30 spot pubblicitari, 15 o 20 film in ruoli minori e a 30 puntate da protagonisti in una soap opera“. In quanti possono dire di aver raggiunto queste performance? Pochi, forse pochissimi. E tutti gli altri?

A tutti gli altri vorrebbe iniziare ad occuparsi l’iniziativa di Proia e Buranelli che punta dritto all’istituzione di un registro professionale. “Se le istituzioni non ci sanno riconoscere possiamo farlo noi – prosegue l’attrice – .Siamo partiti da un documento e per decidere i parametri abbiamo esteso il confronto sui criteri tra numerosi colleghi e colleghe“. Tutti concordi nel considerare la strada dell’istituzione di un elenco riconosciuto dallo Stato l’unico strumento possibile per regolamentare un mestiere bellissimo, ma senza tutele. Oggi ancora più impellente con una crisi epocale che morde le tasche di tutti,  comprese le artiste e gli artisti tenuti lontani dalle scene, con i teatri deserti e i set smantellati. “Sia chiaro – spiega Raffaele Buranelli – noi non vogliamo mettere le briglie a nessuno: non vogliamo dire alle produzioni chi devono ingaggiare e chi no. Ma non possiamo di certo continuare a vivere nell’ombra, alle prese tutti i giorni con una deregolamentazione selvaggia di cui a fare le spese siamo noi“.

Il documento, che sarà inviato al ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo Dario Franceschini, contiene 5 criteri per il riconoscimento dello status di attore professionista: si parte da un parametro complessivo di 150 contributi versati che nel settore cinema e audiovisivo si riducono a 50.

Una serie di premialità abbatterà la quota minima richiesta per l’iscrizione. Per esempio, la frequenza di una scuola d’arte drammatica riconosciuta abbasserà il parametro contributivo di 30 quote per ogni anno di frequenza; l’anzianità contributiva varrà ulteriori sconti nel cumulo previdenziale, e così via. E’ prevista infine una penalizzazione per gli attori dilettanti o che svolgono l’attività in via occasionale: per questa categoria i contributi necessari crescono a quota 350.

La bozza di registro già esiste: è stato attivato un form online al quale ci si può iscrivere subito. Per ora è solo un autocensimento. Ma potrebbe diventare il primo esperimento pilota di un registro istituzionale vero e proprio che metta fine al far west di una professione riconosciuta dal pubblico e sconosciuta allo Stato. Prima però l’appello delle attrici e degli attori italiani dovrà colpire nel segno aprendo qualche porta e buttando giù un po’ di muri.

  • Veronica Mazza |

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