Never look back, Senza voltarsi indietro. “Perché indietro c’è solo dolore. Certo, ci sono le cicatrici. E quelle le guardo, quasi con orgoglio, perché dicono che ne sono uscita. E non è semplice. Io devo ringraziare la mia famiglia che mi ha sostenuta, gli amici più cari che hanno fatto fronte comune con me”. Never look back è il il titolo del primo singolo dell’ultimo album di Giuseppina Torre, pianista siciliana che nella musica ha trovato una rinascita, dopo una storia di violenza domestica. Pianista e compositrice, Giuseppina è riuscita ad uscire dalla spirale di violenza, cinque anni fa ha denunciato suo marito, è andata via da quella che era la sua casa con suo figlio e, da allora, è iniziata la sua nuova vita. Che celebra nel suo ultimo lavoro.
C’è qualcosa che si sentirebbe di dire alle vittime che vivono ancora una relazione abusante?
Direi di non essere complici di chi rovina la nostra vita. Direi loro di parlare, di confidarsi e di chiedere aiuto, subito, al minimo comportamento, e di chiudere quella relazione. Perché l’amore non è possesso e non deve pretendere di plasmarti né di modificarti. L’esperienza che ho vissuto mi ha resa una donna consapevole, più sicura. E la consapevolezza dà forza. Non ho ancora risolto del tutto la mia vita di prima, ma con tanta tenacia sono riuscita a rialzarmi, a rimboccarmi le maniche e a guardare avanti. Senza voltarmi indietro, appunto.
Da Gocce di veleno a Never look back. C’è un filo che unisce le tracce del suo ultimo lavoro, “Life Book”?
Bisogna avere sempre un obiettivo da raggiungere, perché altrimenti la nostra vita sarà vana. Io sono stata salvata dalla mia passione per la musica. Serve, io credo, una passione cui aggrapparsi e che sarà importante nei momenti di difficoltà. In questo lavoro c’è molto di me, oggi. Manca il tormento che c’era invece nel primo album: sono cambiata, una donna nuova.
In che momento ha capito che la musica sarebbe stata la sua vita e il suo lavoro?
Ho capito di voler diventare una pianista molto presto, ero piccolissima. All’età di 4 anni mi è stato regalato un pianoforte giocattolo. Con quello riuscivo a riprodurre qualsiasi composizione, a orecchio. E poi con il tempo, è iniziato lo studio.
Quanto lavoro c’è dietro alle sue esibizioni?
Moltissimo, c’è lavoro e disciplina. Dedico almeno quattro ore ogni giorno alla tecnica. Il concerto è solo l’ultima fase. E poi c’è la composizione che arriva subito. In realtà, ho sempre scritto pensieri in musica. Pian piano sono passata ad eseguirli, durante i bis dei miei concerti. E mi sono accorta che al pubblico piacciono. Per me è come avere tanti cantieri aperti, scrivo, registro e quando sono ispirata cerco di chiudere le tracce. È però una strada in salita, essere interprete delle proprie composizioni non è semplice come proporre un repertorio conosciuto.
Come descriverebbe la sua musica?
Appartengo al filone della musica classica contemporanea. Sicuramente la matrice è classica, come lo è la mia formazione, ma ci sono in “Life Book” delle contaminazioni nuove che appartengono ad esempio al pop, panorama del quale amo molto i Coldplay. Mi piace perché è un gruppo attento al sociale, al tema della salvaguardia del pianeta.
Contaminazioni. E’ una cosa molto vicina al suo essere isolana. Quanto c’è della sua terra nelle sue composizioni?
Quello siciliano è un popolo propenso ad accogliere. È una cosa che mi emoziona e la esprimo con il linguaggio che conosco. Nelle mie opere c’è tutta la sicilianità, quella velata malinconia che pervade ogni traccia, che fa parte del nostro essere. Il rapporto è di amore e odio e lo descrivo in Dove sei. È come diceva Sciascia: io sono malata di sicilitudine.
Una terra di passaggio, di approdo, la Sicilia. La traccia Un mare di mani sembra scritta per riportare agli occhi del mondo le mani dei migranti..
Ho scritto Un mare di mani dopo aver visto alcune immagini originali, girate dalla Guardia Costiera di Pozzallo che è qui, a due passi da dove vivo. Che siano migranti o di altre nazioni, sono esseri umani. E io dico che dobbiamo riflettere, senza pregiudizi, capire cosa sia giusto fare e cosa non fare. In mare ci sono persone che rischiano la vita, per un futuro migliore. E se io ho trovato delle mani che mi hanno tirato su in un momento di difficoltà, mi chiedo perché queste persone debbano essere bistrattate. Possono, è chiaro, esserci delle difficoltà pratiche nell’accogliere, ma io penso che il soccorso non debba essere negato a nessuno.
Si è impegnata in una iniziativa di solidarietà in favore dell’Asp di Ragusa e di #WeAreItaly, ha realizzato un video messaggio per il ministero degli Affari Esteri, ha scritto la musica per “Testimone – Liliana Segre contro l’indifferenza”. Quanto conta per lei l’impegno sociale?
La mia idea è che si debba essere spontanei, io combatto per le cose che ritengo giuste, il che va oltre l’appartenenza politica. Dopo quello che ho vissuto, sono una persona che cerca di lanciare un messaggio positivo, di usare l’arte per questo. Come sono stata aiutata io, così cerco di aiutare gli altri.
Ha firmato la colonna sonora di molti documentari, tra questi penso a “Papa Francesco – La mia Idea di Arte”. Qual è allora la sua idea di arte?
È un’arte che si deve dare, con generosità. Come in questo preciso momento storico in cui ha alleviato, è diventata balsamo delle nostre giornate. Come dice Papa Francesco deve avvicinarci a Dio. L’arte per me è salvifica.
La musica è arte ma è anche un mestiere.
È difficile. In questo Paese non si riesce a vivere di musica. E io ne sono l’esempio. Il mio primo riconoscimento l’ho ottenuto negli Stati Uniti. L’Italia si sveglia sempre dopo. Il settore poi è al momento in ginocchio, non ci sono live, nessun aiuto. Dico spesso che l’Italia è il Paese delle chiacchiere, della polemica.
Per la carriera di Giuseppina la svolta arriva infatti nel 2012, con i Los Angeles Music Awards. Nel 2017 per lei è il momento di ricevere gli Akademia Awards of Los Angeles, nella categoria “Ambiental/Instrumental; nel 2018 quello del 5th Annual International Music and Entertainment Awards.
Qual è stato il momento più emozionante?
Sicuramente un ricordo recente: ho aperto il concerto de Il Volo. Suonavo finalmente all’Arena di Verona. La vita ti sorprende! Dopo aver finito il mio primo brano, il pubblico applaudiva e nel momento in cui ho iniziato a suonare il secondo è arrivato un altro applauso, lunghissimo. Questo mi ha dato la carica, avevo catturato l’attenzione di 12mila persone. Ma anche a Los Angeles: il mio primo “The winner is …Giuseppina Torre” e chi può dimenticarlo! In quel momento è la realtà che è andata oltre il sogno.
Come sta vivendo l’isolamento in queste settimane segnate dal Covid-19?
L’ho accettato con serenità. Noi pianisti siamo molto disciplinati, siamo ligi al dovere. Se però per un verso questa quarantena mi ha tolto qualcosa – i progetti rimandati, intendo – dall’altra parte mi ha dato un tempo nuovo.
Per finire: il sogno nel cassetto?
Di sogni ne ho realizzati parecchi, finora. I vari premi, i riconoscimenti che ho avuto, sono stati tutti l’inizio di tante altre cose. Ho scritto musica per docu-film, anche per documentari, ma il mio desiderio adesso è arrivare a scrivere la colonna sonora di un film.
Lo dice sorridendo. A che pensa?
Penso a una cosa che ho imparato: che non bisogna mai dire mai, nella vita.