Quattro uomini. Quattro vite diverse. Quattro sensibilità differenti. La stessa precisa volontà: abbattere il silenzio assordante degli uomini sulla violenza di genere che rimbalza nelle chat dei nostri smartphone, discutendo di revenge porn “da uomo a uomo”.
Questo l’intento da cui nasce l’evento social “Responsabilità maschile – Revenge Porn”, ideato e trasmesso lo scorso 14 aprile sui canali di Tlon e Bossy, progetti di divulgazione culturale che portano avanti la diffusione di una cultura antisessista: a confrontarsi sul tema della condivisione non consensuale di materiale intimo e incoraggiare la riflessione maschile sul genere, quattro “normali uomini etero”. Così si definiscono i filosofi Andrea Colamedici e Lorenzo Gasparrini, protagonisti del dibattito insieme a Lorenzo Luporini e Attilio Palmieri: né eroi, né speciali. Eppure, a sentirli parlare, qualcosa di speciale c’è: la forza incoraggiante di testare che, certe battaglie, riguardano tutti e tutte. Non solo tutte.
“Quattro uomini si trovano a parlare di revenge porn e patriarcato perché è assurdo che non lo abbiano fatto fino ad ora” spiega Andrea Colamedici, curatore del progetto filosofico Tlon insieme a Maura Gancitano. A sollevare il velo, i numerosi interventi social di tante donne e attiviste, tra cui Maura Gancitano, Irene Facheris e Giulia Blasi: “uomini, dove siete?”
Quella del revenge porn, specifica Colamedici, “non è una battaglia che riguarda le sole donne, ma è una battaglia di civiltà”. Era già importante parlarne, lo diventa di più ora: per questo, “era doveroso essere pionieri: non per meriti, ma per il riconoscimento di demeriti comuni”.
Dall’inizio del 2019 a oggi, di revenge porn, si è discusso: le stesse istituzioni lo hanno portato al banco dell’attenzione, arrivando ad approvare un emendamento al Codice Rosso che introduce il reato di condivisione non consensuale di materiale intimo. Tuttavia, come racconta il filosofo Lorenzo Gasparrini, gli uomini ne parlano poco perché “non sono stati educati a riflettere sulla loro interiorità. Nella costruzione dell’identità maschile, viene detto loro di non occuparsi di ciò che direttamente non li riguarda. E considerano cosa che non li riguarda anche ciò che fanno a qualcun altro. Revenge porn compreso. Quello che conta è ciò che accade nel gruppo di pari. Ne consegue una mancanza di lessico e terminologia che rende necessaria e urgente la domanda opposta: perché, invece, non parlarne?”
E, soprattutto, occorre parlarne con le parole giuste: “utilizzare la parola vendetta nel definire il fenomeno” – spiega Gasparrini– “porta avanti il modello di reazione a qualcosa e pone una colpa nella persona che ne diventa vittima”.
Nel caso del revenge porn, il movente non è quasi mai la vendetta ma il potere: “l’uso delle immagini del corpo è, da tempi remoti, il più diffuso strumento di esercizio del proprio potere su qualcun altro e, farlo in gruppo, permette di identificarsi reciprocamente: abbiamo lo stesso potere su un’altra persona perché utilizziamo quell’immagine e la sfruttiamo per il compiacimento del nostro piacere. Il patriarcato lascia credere agli uomini che il potere sia la loro essenza, nascondendo quanto possa essere più bello e paritario evadere dai ruoli predefiniti e godersi le relazioni al di fuori degli schemi imposti”.
Non è un caso che, a popolare le chat Telegram, siano anche ragazzi e uomini comuni spesso inconsapevoli della violenza perpetrata perché incoraggiati ad adottare comportamenti tossici. Un altro esempio? La challenge “La bombi o la passi“, ora di moda su YouTube e TikTok, che assegna allo sguardo maschile il compito di giudicare la desiderabilità sessuale delle immagini dei corpi che scorrono sullo schermo: “giudicare e utilizzare il corpo femminile al fine del proprio intrattenimento”, specifica Colamedici, “significa non essere in grado di riconoscere il danno che sto facendo ad altre persone e non avere un’alfabetizzazione emozionale. Perpetrare questa modalità di relazione triste e violenta è uno spreco di vita e amore, dove per amore intendiamo la capacità di unirsi e far fiorire qualcosa che non c’era.”
Negli schemi imposti e nei ruoli predefiniti, la base culturale del revenge porn si svela e rende evidente la necessità di incoraggiare una nuova riflessione maschile sul genere. Per capirne l’importanza, Colamedici suggerisce di pensare al teatro: “è come se per tanto tempo avessimo recitato le stesse parti con lo stesso copione e da qualche tempo qualcuno sia riuscito a liberarsene, dando vita a un nuovo spettacolo con finali diversi. Le donne hanno già cominciato a farlo, gli uomini stanno iniziando ora perché bloccati nella reiterazione stanca e noiosa dell’idea prestazionale: se rivediamo il nostro ruolo, costruito secondo linee troppo strette, possiamo diventare attori entusiasti delle nostre vite e scoprire che nessun copione è dato una volta per tutte. Possiamo non essere sempre eccitati o saccenti, possiamo piangere: riconosceremo che questo nuovo spettacolo può essere una figata e che, quel che c’è e che ci sarà, può essere molto di più rispetto a quel che c’era. Questo è uno dei grandi sproni per un nuovo pensiero sul maschile.”
Il confronto messo in campo da Tlon e Bossy risponde all’esigenza di dimostrarlo, aprendo un dibattito costruttivo che, come sostiene Gasparrini, “renda pubblico il discorso anche con posizioni contrastanti: la diretta social è un punto di partenza per le piazze, le conferenze, i luoghi pubblici. Si tratta di un processo nuovo e da costruire e non possiamo aspettare che ci sia una sensibilità diffusa, bisogna crearla”.
“Ci ha colpito la partecipazione di molti uomini che hanno fatto domande mettendosi in discussione” racconta Colamedici, evidenziando un problema intrinseco: “gli uomini danno retta agli uomini”. Questione di privilegio e, riconoscerlo, ”significa rimettere in discussione tutte le situazioni in cui noi uomini non solo partiamo, ma arriviamo, avvantaggiati. Non si tratta di altruismo, ma di cura di sé: imparare a voler stare in un mondo in cui le proprie possibilità non sono superiori a quelli degli altri semplicemente perché si appartiene a un genere”.
Decostruzione dei ruoli di genere e patriarcato sono le coordinate in un cui la riflessione sulla responsabilità maschile deve muoversi e, assicura Gasparrini, non c’è da averne timore ma fiducia. Nuove generazioni comprese: “Ai miei figli non insegno il femminismo, ma la sensibilità al potere: quando qualcuno cerca di imporre loro una scelta che non sentono propria, devono riflettere e manifestare il loro dissenso”. Altrimenti, aggiunge Colamedici, “il rischio è quello della deresponsabilizzazione. Non imponete ai vostri figli la vostra visione del mondo, ma create delle condizioni affinché possano fiorire naturalmente e in un percorso comune e collettivo”.
D’altronde, sostengono, “antisessisti (e antisessiste) non si nasce ma si diventa”. E, dimostrare che prospettive e umanità differenti possono aiutare a comprendersi, rappresenta già un fatto: “non si deve essere uomini tutti uguali per essere uomini diversi”.