Covid-19, i consigli da non ascoltare per vivere al meglio l’isolamento

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L’isolamento e la quarantena, il tempo da ripensare, la gestione di una famiglia o dello star soli, le paure… Il coronavirus ci mette di fronte a una situazione quotidiana totalmente nuova, che dobbiamo imparare a gestire anche emotivamente.Proviamo a capire, con chi questa situazione l’ha già vissuta, cosa funziona e cosa no. Emanuele Gatti è counselor, formatore ed esperto di mindfulness, vive in Cina a Shenzen, e lì ha vissuto la sua quarantena. Sei settimane di isolamento totale, poi dalla metropoli è potuto andare con la sua famiglia in una città più piccola ma il livello di precauzione è ancora altissimo. Da subito, si è attivato per lavorare online, per dare sostegno a chi era in difficoltà, singoli e gruppi e ha sperimentato sul campo il lavoro in emergenza. Da questa esperienza, a cascata, sono nate altre iniziative, sempre online, che permettono la condivisione delle proprie esperienze e delle proprie paure, in questo momento totalmente nuovo. Un’esperienza che può essere utile anche a noi, che la quarantena la viviamo ora. “Vedo – ci dice in una conversazione online – che alcuni messaggi che vengono veicolati in Italia in questo momento, alcuni consigli per gestire questo periodo, sono totalmente sbagliati e rischiano di essere controproducenti”. Come, per esempio, quello di non avere paura: “E’ assurdo, è proprio il modo per evocarla. Anche perché, se la paura c’è – e spesso c’è – dire di non provarla non ha senso. Se una persona invece minimizza, un messaggio del genere rinforza i meccanismi difensivi e si va nella negazione”.

Molto spesso, ci sentiamo dire che questo tempo “vuoto”, di costrizione e isolamento, dovremmo usarlo per noi stessi, per fare le cose che non riusciamo a fare di solito. “Peccato – spiega Gatti – che chi sta bene lo fa già, naturalmente, e non ha bisogno di sentirselo dire. Chi non è sereno, chi è in ansia, non ce la fa a prendere in mano un libro, a godere il tempo con la famiglia, a guardare un film“. Stesso discorso per l’attività fisica: “Certo – sottolinea Gatti – è importante tenersi in salute, mangiare bene e cercare di muoversi. Il punto però è di non cercare di insegnare cose in questo momento, evitiamo di creare sensi di colpa, se qualcuno non riesce a fare ginnastica a casa”. Perché il tema centrale con cui tutti dobbiamo confrontarci “e che ho visto emergere in tutti i colloqui e i gruppi anche in Cina è il profondo senso di impotenza”. Una sensazione che non ci fa vedere quanto tanto già facciamo cercando di creare un clima sereno in famiglia, per esempio, o di portare a casa la giornata al meglio. “E’ già tanto – dice Gatti – bisogna avere obiettivi raggiungibili e far pace con questa impotenza, di fronte a una forza e a una necessità che sono più grandi di noi”.

Nella nostra società, molto incentrata sull’azione, sul fare, ovviamente l’imperativo di stare fermi è difficile da accettare. “Quanto più ci identifichiamo con le nostre azioni, tanto più è difficile l’accettazione del dover stare fermi. Anche per questo – riflette Gatti – è stato difficile all’inizio accettare che ci fosse la necessità di prendere dei provvedimenti seri”. E’ servito un percorso di accettazione progressiva.

Qual è la strada, allora, per cercare il benessere in una situazione così nuova e difficile? “Ripartiamo da noi stessi. Proviamo a pensare a questo tempo come un momento che sia anche di ozio, di riposo. Ozio che diventa creativo, che diventa pensiero, che diventa spazio per idee. Un tempo per stare“, consiglia Gatti. C’è poi un tema etico: “In ogni momento ci chiediamo se fermarci o andare avanti, se mettere in primo piano l’economia o le persone… E’ necessario ascoltare noi stessi, prima di osservare il mondo, anche per darci queste riposte”.

A volte, poi, fare, agire, può essere comunque uno strumento di benessere: “Fare per gli altri, può essere la strada. Per esempio, nel mio caso, fare gruppi di sostegno, dare aiuto a chi si sentiva emotivamente in difficoltà, è stato esso stesso uno strumento di benessere”. Molto spesso, alcune persone cercano di distrarsi, ma non ci riescono: “Non ci si può distrarre, se la mente è occupata a risolvere un problema“. Se si lascia spazio, se si sta un po’ nel vuoto, c’è anche una strada che si apre quella della creatività: “E’ un modo di affrontare direttamente il coronavirus, invece che distrarsi. Scrivi, disegna, crea, con l’intenzione di dedicarlo agli altri. In Cina abbiamo fatto un video, una ‘Call-to-action’ in questo senso, poi è circolato tra gli insegnanti, abbiamo collezionato tantissimi lavori di bambini sul tema del coronavirus. La paura si può affrontare con la creatività, ognuno con la sua”.

Accettare, quindi, la propria parte di impotenza ma senza cedere alla rassegnazione. Infine, per affrontare la paura, “ricordiamoci che il rischio fa sempre parte della nostra vita. Senza cadere nel fatalismo, dobbiamo prendere tutte le misure di protezione necessarie, fare tutto ciò che possiamo per stare al sicuro. Sul resto, non abbiamo alcun potere. Massima precauzione – conclude Gatti – minima preoccupazione”.

  • Lorena |

    Vivo da quasi due anni a Firenze con il mio compagno, tutta la mia famiglia e a Varese, in Lombardia, e in questo momento avverto un forte senso di estraneità, quasi una avversione per il luogo in cui mi trovo.

  • Simona |

    Grande Emanuele…in poche parole hai riassunto il problema non solo che può creare un virus ma che magari il virus lo può tirar fuori a chi lo ha già…leggere e rileggere le tue parole sono un gran confronto…grazie

  • Paola Ardissone |

    Sono pienamente d’accordo!

  • Antonella |

    Grandi verità ed esperienza, un intercalare di essere e sapere si leggono in questo essenziale, concreto e illuminante articolo.

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