8 Marzo, essere le prime della classe non basta

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È una strada ancora in salita quella delle studentesse italiane. Si applicano di più, hanno maggiori interessi e voti più alti, ma poi quando varcano la soglia del mondo del lavoro hanno retribuzioni inferiori e, peggio, risultano penalizzate se hanno figli. È lo scenario fotografato dalle indagini Almadiploma e Almalaurea che in occasione della Festa dell’8 Marzo hanno raccolto i dati sulle performance femminili, dai banchi della scuola superiore fino al mercato del lavoro passando per gli anni dell’università.
Come emerge dallo studio, le ragazze registrano risultati in media migliori fin dall’adolescenza.  Alle scuole superiori fanno meno ripetenze rispetto alla controparte maschile, hanno voti più alti e più frequentemente si impegnano in attività culturali e di carattere sociale o in esperienze internazionali. Tutto questo però non basta ad assicurare loro un futuro se non di successo, almeno di parità.
A 18 anni o poco più arriva il momento di scegliere che fare nella vita: lavoro o università? Il 79,6% delle diplomate (rispetto al 64,6% dei diplomati) sceglie la seconda strada. Nella decisione le donne sono mosse da forti motivazioni culturali e preferenze personali. Il 70,2% delle studentesse vorrebbe svolgere, grazie alla laurea, l’attività professionale di proprio interesse (rispetto al 61,8% degli studenti) oppure lo fa per approfondire i suoi interessi culturali (57,2% rispetto al 49,1% degli studenti). Insomma, una scelta di pancia (o cuore) a prescindere dalle porte che poi le facoltà scelte apriranno.
Complice anche il pregiudizio che vuole le ragazze “meno portate” per le materie scientifiche, tra i laureati STEM – ambito tanto caro al mercato del lavoro oggi – è più elevata la componente maschile, che sfiora il 60%. Mentre tra i laureati non STEM prevalgono le donne che sono quasi due su tre.Lauree STEM e imprenditorialità sono due ambiti in cui la presenza femminile è relativamente poco diffusa” conferma Marina Timoteo, professore ordinario di diritto comparato presso il Dipartimento di scienze giuridiche dell’Università di Bologna e direttore del Consorzio Interuniversitario Almalaurea dal 2015.
E aggiunge: “le ragazze continuano a orientare le loro scelte preferenziali sui gruppi disciplinari dell’insegnamento, delle lingue e della psicologia, questo anche per tradizione. Su questo dato, che ha al proprio interno una componente culturale, è fondamentale intervenire con azioni di informazione e di orientamento mirate, per aprire le donne alle grandi potenzialità che questi percorsi formativi offrono. Tali azioni è importante che vengano messe in campo dalle istituzioni preposte alla formazione, a partire dalla scuola secondaria di primo grado, fino a quelle di secondo grado così da stimolare le ragazze a una scelta più consapevole che superi gli stereotipi rispetto al percorso formativo e professionale”.
Un’urgenza emersa anche dallo studio condotto da Repubblica degli stagisti e Spindox secondo cui tra i motivi che tengono lontane le ragazze dallo studio dell’informatica c’è lo scarso orientamento. In questo caso però, dice Timoteo “Almalaurea può fare la sua parte, attraverso lo sviluppo di strumenti informativi sempre più focalizzati sull’orientamento dei giovani al lavoro”.
Si laureano di più ma poi hanno meno possibilità di lavorare o fare carriera, è il paradosso delle studentesse italiane. Il Rapporto 2019 sul Profilo dei laureati di Almalaurea infatti mostra che tra chi ha conseguito il diploma di laurea nel 2018, il 58,7% è donna. E’ più alto anche il voto medio finale (103,7 su 110 contro i 101,9 per gli uomini). Poi però essere le prime della classe non basta.
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A cinque anni dal conseguimento del titolo, ecco che le differenze di genere si fanno più marcate. Il livello di occupazione degli uomini per esempio è dell’89% mentre le donne stanno a sei punti percentuali di distanza. Anche dentro le mura aziendali le condizioni di trattamento non sono di parità. Per esempio i contratti a tempo indeterminato sono una prerogativa più maschile e riguardano il 63,0% degli uomini contro il 52,6% delle donne.

Per non parlare delle retribuzioni. La bilancia pende nettamente a favore degli uomini che, a cinque anni dalla laurea, percepiscono 1.688 euro netti mensili rispetto ai 1.444 euro delle donne. Un differenziale pari al 16,9%. Non pensiate comunque che una laurea in informatica o ingegneria, o qualche altra disciplina più gradita al mercato, sia la soluzione a ogni problema. Le disparità di trattamento restano. Si parte solo da una posizione più di favore. Prediamo ad esempio due ingegneri, un uomo e una donna. Lui a un lustro dalla laurea percepirà in media 1.810 euro mensili netti, lei 1.648. Anche per quanto riguarda il banco di prova del mercato del lavoro, il tasso di occupazione dei laureati STEM è complessivamente pari all’88,3% (+4,5 punti percentuali rispetto ai laureati non STEM) ma tra gli uomini il tasso di occupazione è pari al 91,4%, per le donne è l’84,3%. Anche qui, sono quasi sette punti percentuali di distacco.

In tutti gli ambiti analizzati da Almalaurea le retribuzioni femminili sono inferiori a quelle maschili, anche in quelli – letterario e linguistico – in cui le donne sono in vantaggio per alcuni parametri (come il tasso di occupazione o la percentuale di contratti a tempo indeterminato).
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La mancanza di parità si traduce in minori possibilità di carriera e qualche dispiacere in più. Anche questo emerge dai dati Almalaurea. A cinque anni dal titolo magistrale svolge un lavoro a elevata specializzazione (compresi i legislatori e l’alta dirigenza) il 46,8% delle donne e il 55,5% degli uomini. Sul piano della soddisfazione personale, le donne si sentono meno gratificate dalle opportunità di contatti con l’estero, dalle prospettive di guadagno e di carriera, dalla stabilità e sicurezza del lavoro.
E quando arrivano i figli? Il piano si inclina sempre più e la biglia delle possibilità scivola verso il basso più velocemente. Il divario lavorativo aumenta, anche tra donne. A cinque anni dal titolo il tasso di occupazione delle laureate senza prole è pari all’83,7%, con un differenziale di 21,3 punti percentuali rispetto alle donne con figli. E così abbiamo le casalinghe più colte d’Europa.
Le donne che fanno impresa sono una minoranza ma non sono una rarità. Dai dati Almalaurea i laureati fondatori di impresa (che possiedono una quota di capitale e ricoprono una carica imprenditoriale) sono 205.137, pari al 7,1%. Gli uomini rappresentano il 53,9% degli imprenditori mentre le donne sono il 46,1%. Le imprese femminili sono il 38,0% (ossia 89.917) – una percentuale maggiore di quella nazionale che è pari al 22% – e il 79,8% opera nel settore dei servizi (nel commercio più di una su tre), il 12,8% nel settore agricolo e il 7,4% nel settore secondario.