Ecco come allineare dirigenti e dipendenti genera 3.700 miliardi di profitti in più

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Esiste un divario significativo nel modo in cui i dirigenti e i dipendenti vedono i progressi verso la cultura della parità all’interno delle loro aziende. Forse si poteva intuire anche dai discorsi rubati alle macchinette del caffè o a margine di una riunione. Ma stavolta questa realtà è certificata dal nuovo studio di Accenture “Getting to Equal 2020”.

Non solo. Ora sappiamo anche che colmare tale gap produrrebbe vantaggi considerevoli per le aziende e i dipendenti, specialmente per le donne. Ma soprattutto economici. La stima a livello finanziario indica un incremento dei profitti di 3,7 mila miliardi di dollari.

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Non si tratta quindi della sola realtà italiana, ma di un quadro globale, disegnato da un’indagine che ha coinvolto oltre 30.000 professionisti e oltre 1.700 dirigenti, uomini e donne, distribuiti in 28 Paesi tra cui l’Italia, e porta avanti quanto individuato dal precedente studio secondo cui la cultura delle pari opportunità sul luogo di lavoro rappresenta un efficace moltiplicatore di innovazione e crescita.

Lo studio 2020 ha rilevato che le aziende oggi si trovano a un punto di svolta: i dipendenti tengono sempre di più alla cultura aziendale e ritengono che essa sia fondamentale per aiutarli a progredire sul lavoro secondo il 77% delle donne e il 67% degli uomini (l’81% e il 77% per quanto riguarda l’Italia), e la maggioranza dei dirigenti (68% e 84% del campione in Italia) ritiene che una cultura aziendale inclusiva sia indispensabile per il successo della propria attività.

Allo stesso tempo, tuttavia, tra i due gruppi è presente un divario di percezione: due terzi dei dirigenti, circa il 68%, ritengono di avere creato un ambiente favorevole all’empowerment (dato che arriva al 75% per il nostro Paese) in cui il personale prova senso di appartenenza, ma solo un terzo (36% e 35% per l’Italia) dei dipendenti è d’accordo.

Inoltre, la percentuale di dipendenti che non si sentono inclusi all’interno della propria azienda è dieci volte superiore a quanto credono i dirigenti (rispettivamente 2% e 20%). Per l’Italia, il dato è pari al 19%, mentre nessun dirigente ritiene che esista un fenomeno di esclusione nella propria azienda.

La maggior parte dei dirigenti, inoltre, colloca la diversità e una cultura aziendale inclusiva in basso nell’elenco delle priorità, ponendo ai vertici delle proprie attività la performance finanziaria e l’innovazione, rispettivamente 76% e 72% (82% e 63% per l’Italia) e solo il 34% (25% in Italia) ha assegnato alla diversità il gradino più alto del podio. Molto pochi (21%) anche i dirigenti che mettono per prima la cultura inclusiva, il 16% per il nostro Paese.

La creazione di una cultura della parità deve essere in cima alle priorità aziendali. Bisogna iniziare con l’approcciare la diversità non solo come la cosa giusta da fare, ma come un’esigenza imprescindibile alla stregua di qualunque altra priorità strategica”, ha dichiarato Julie Sweet, ceo di Accenture. “Quando si dà priorità a una cultura aziendale forte e paritaria, tutti ne traggono vantaggio e ne consegue una maggiore innovazione e crescita per le organizzazioni”.

Ridurre il divario, accelerare il progresso

Allineare la percezione dei dirigenti a quella dei dipendenti produrrebbe enormi vantaggi. Sembra scontato, eppure sono tante le imprese che non stanno lavorando per colmare questo gap. Tutti, uomini e donne, farebbero progressi più rapidi e gli utili aziendali aumenterebbero di circa 3.700 miliardi di dollari a livello globale.

Se il divario venisse dimezzato:

La percentuale di donne che si sentono elementi indispensabili del proprio team, con una capacità reale di influenzare le decisioni, passerebbe da 1 su 4 a più di 1 su 3.
Il tasso di fidelizzazione annuale aumenterebbe del 5% per le donne e dell’1% per gli uomini.
La percentuale di donne che si danno l’obiettivo di raggiungere una posizione di leadership all’interno della propria azienda aumenterebbe del 21%.

“La ricerca giunge in un momento particolarmente opportuno per i dirigenti, poiché le aspettative dei dipendenti sono destinate ad aumentare: è emerso infatti che in termini percentuali la Gen Z è più interessata ad una cultura aziendale inclusiva rispetto ai baby boomer (rispettivamente 75% e 64%)” si legge nel report.

Dare priorità alle tematiche di parità spetta ai vertici dell’organizzazione, mentre la chiusura del divario di percezione inizia dalle persone“, ha detto Ellyn Shook, chief leadership e human resources officer di Accenture. “È un’opportunità per ascoltare e comprendere come si sentono le risorse e collaborare allo sviluppo di soluzioni. Coinvolgere attivamente i dipendenti li incoraggia a fare propri gli obiettivi di pari opportunità ed essere loro stessi modelli di riferimento, aspetto fondamentale perché tutti raggiungano la vera parità sul lavoro“.

I “Culture Makers”

come in ogni cosa, esistono le eccezioni. Lo studio, infatti, ha individuato una piccola percentuale di dirigenti, definiti “Culture Makers”, che dimostrano un maggiore impegno nel portare avanti una cultura della parità. Questi dirigenti riconoscono l’importanza di alcuni fattori come la trasparenza delle retribuzioni, il congedo per motivi familiari e la libertà di essere creativi nell’aiutare i dipendenti a progredire.

I “Culture Makers” hanno dimostrato una maggiore inclinazione ad esprimersi su una serie di questioni relative al luogo di lavoro, tra cui la parità di genere (52% a fronte del 35% di tutti i dirigenti) e le discriminazioni/molestie sessuali (51% a fronte del 30%). Si ritengono responsabili e guidano aziende che quasi nel doppio dei casi hanno dichiarato pubblicamente l’obiettivo di assumere e/o avere nel proprio organico un maggior numero di donne.

La cattiva notizia? Solo il 6% dei dirigenti intervistati, purtroppo, sono “Culture Makers”. Tuttavia, rispetto al più ampio gruppo di dirigenti intervistati, costituiscono un segmento in cui i generi sono rappresentati in misura più equilibrata (il 45% di donne a fronte del 32% complessivo). Inoltre, ben il 68% è costituito da Millennial, rispetto al 59% misurato sulla totalità dei dirigenti, ed è più probabile che siano alla guida di aziende in cui le persone crescono, sono innovative e coinvolte e in cui gli utili aziendali sono quasi tre volte superiori a quelli delle altre aziende.

Realizzazione di una cultura della parità

Che tipo di leadership e quali passi possono portare al cambiamento? Accenture ne suggerisce alcuni.

Leadership coraggiosa – I dirigenti devono credere realmente nell’importanza della cultura e attribuirle la giusta priorità. Ad esempio, creando un quadro di riferimento per misurare l’avanzamento verso una cultura della parità, stabilendo e rendendo pubblici gli obiettivi; o ancora riconoscendo a dirigenti e team i progressi compiuti. La cultura della parità parte dall’alto.

Azione concreta verso l’inclusione – Andare oltre i dati. I dirigenti devono stimolare un dialogo significativo e costante con i propri dipendenti. Valutando, ad esempio, l’opportunità di meeting faccia a faccia, focus group, gruppi di discussione, riunioni di gruppo. Inoltre, un dialogo costante e in tempo reale con i dipendenti aiuta a raccogliere riscontri e abilita la leadership a guidare rapidamente il cambiamento.

Ambiente stimolante – Incoraggiare e fare crescere i “Culture Makers”. Bisogna riuscire ad offrire ai futuri “Culture Makers” l’opportunità di scegliere ed assumere ruoli specifici legati alla cultura aziendale nei rispettivi uffici o dipartimenti e trovare modi per connettere i dirigenti e i dipendenti orientati alla cultura inclusiva al fine di sviluppare soluzioni specifiche e realizzabili.