Cosa resta da fare in Europa in tema di parità di genere? Con la votazione in seduta plenaria di giovedì 13 febbraio gli eurodeputati riuniti a Strasburgo hanno approvato (463 a favore, 108 contrari e 50 astenuti) la risoluzione che definisce le priorità del Parlamento Europeo per la 64esima Commissione delle Nazioni Unite sullo status delle donne (UNCSW). In sintesi, è stato raccontato nero su bianco proprio tutto quello che resta (ancora) da fare in tema di parità di genere e sono state accolte le indicazioni per come (proporre di) farlo.
Nonostante la questione sia sempre più mainstream, non è un mistero che attualmente in materia di diritti delle donne stiamo vivendo un regresso. Ancora più grave – viene da aggiungere – proprio perché se ne parla tantissimo.
Le 11 pagine scarse nella versione italiana del testo approvato dal PE riaffermano in certo modo quanto si rileva da tempo cioè come le tematiche di genere non siano esclusive di un solo ambito, ma rappresentino un continuum. Pay gap, violenza online (inclusi l’incitamento all’odio e il cyberbullismo), accesso al credito per le donne e loro partecipazione alla gestione pubblica o la differenza di tempo speso nella cura di bambini o anziani – attività non retribuita che per le donne europee si stima arrivi a 13 ore settimanali in più rispetto agli uomini –, sono parti dello stesso insieme, pezzi di un puzzle che tocca Paesi emergenti e industrializzati, bambine e donne anziane, imprenditrici delle periferie del mondo e membri dei cda di società quotate.
Considerare l’ineguaglianza di genere una questione di diritti umani oltre che condizione essenziale per lo sviluppo e non più solo una sequenza di problemi isolati, a compartimenti stagni, è un’approccio ormai consolidato: si considera infatti la Conferenza di Pechino del 1995 il momento di svolta nel modo di affrontare il tema. Eppure ancora oggi, 25 anni dopo, i nodi sono rimasti gli stessi di allora.
La Risoluzione approvata giovedì è, certo, un passaggio tecnico, a uso dei delegati che saranno a New York in marzo più che un programma di approfondimento per il grande pubblico (per quanto sia leggibile). Ma il modo chiaro con cui da subito afferma la necessità di misure che promuovano “l’emancipazione economica e politica delle donne” e chiede la denuncia da parte dell’UE del “regresso della parità di genere e le misure che compromettono i diritti, l’autonomia e l’emancipazione” delle donne, ne fa una mappa anche per il post-Commissione, su cui segnare i passi in avanti compiuti – se ce ne saranno.
Su molte questioni l’Europa è modello mondiale: lo è in ambito di trattati commerciali, nella protezione dei “suoi” prodotti di qualità, nella definizione di parametri di salvaguardia ambientale. E visto che proprio in quasi tutti questi aspetti è definito positivo (o almeno significativo) l’impatto femminile, allora può dare da esempio ancora una volta, dettando il passo e affermando una direzione chiara.
Aspetteremo marzo per capire se e quale effetto seguirà.