3 domande che potrebbero farsi gli uomini per aggiustare una parità zoppa

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Qualche settimana fa, a conclusione del lavoro di un anno di un board di una decina di amministratori delegati, imprenditori e consulenti sul tema della sostenibilità, è stata organizzata una conferenza a inviti per presentarne i risultati. La scelta del comitato organizzatore è stata quella di mettere sul palco solo donne. Senza però, come invece spesso accade, evidenziare nel nome dell’evento o nell’invito che fosse una conferenza “per le donne” o “sulle donne”.

Che cosa è successo?

In estrema sintesi, gli uomini del board, invitati a sedere in prima fila per ascoltare le colleghe che avrebbero raccontato quanto fatto, non si sono presentati. L’idea di avere solo donne sul palco si è rivelata quindi più stimolante sulla carta che nella realtà: non ci serve parlare solo “tra di noi” e l’ultima cosa che vogliamo è replicare il paradigma dei contesti “mono-genere” che le stanze del potere – e di riflesso le conferenze che le rappresentano – continuano a servirci quasi ogni giorno. Non basta, insomma, essere invitate al tavolo per avere automaticamente voce in capitolo, per avere automaticamente… ascolto.

Il sito americano di notizie Business Insider ha sottolineato in un recente articolo i “Cinque problemi principali delle conferenze al femminile”, che mi sembra possano essere riassunti in tre punti:

1) le conferenze al femminile si prendono troppo sul serio: sembrano fatte in fotocopia nel loro essere sempre politicamente corrette, ordinate e pulite. Emerge poco, pochissimo, della realtà, quasi che queste conferenze fossero un modo per le donne di dimostrare che sono in grado di scimmiottare alla perfezione, ma con un filo di rigidità, la superficialità politica di certe manifestazioni di facciata.

“Vorrei meno gergo e più parole vere”, commenta la giornalista del Business Insider, “E non vorrei più sentir usare espressioni come lean in o speak up”.

2) Tra i relatori vi sono spesso troppe persone che “aggiustano” e troppo poche che “fanno”. Si è creato un vero e proprio mercato dorato intorno al tema di “come aggiustare le donne per farle entrare nel mondo degli uomini”. Capostipite e rappresentante onoraria ne è la consulente Marsha Clark, tristemente nota per aver creato e venduto ad aziende anche molto prestigiose un manuale di 60 pagine che spiega alle donne come vestirsi, comportarsi e parlare per fare carriera. Una chicca?

“Quando le donne parlano, non dovrebbero suonare stridule. L’abbigliamento deve essere gradevole, ma le gonne corte proprio no. Dopotutto, la sessualità confonde la mente”.

3) Si tengono semplicemente troppe conferenze! E con un solo tema (e spesso un solo genere di presenze)! Domandiamoci come mai non veniamo mai invitati a conferenze in cui gli uomini discutono su cosa migliorare di se stessi per far avanzare l’economia…

Alcune donne, anche in Italia, hanno cominciato a rifiutare di partecipare a conferenze in cui tutti i relatori sono uomini. Altre si rifiutano di essere relatrici a conferenze di sole donne. Sembrano essere reazioni necessarie, anche se non sufficienti, per mettere in luce il prolungarsi di un’anomalia che resta uno dei segnali più evidenti di un cambiamento che non avviene. E certamente non avverrà finché interesserà solo alle donne. Non è possibile, infatti, fare spazio a qualcuno senza coinvolgere e motivare chi quello spazio deve accettare di cambiarlo o addirittura di lasciarlo. Soprattutto se in cambio potrebbe ricevere più incombenze domestiche e più pannolini da cambiare.

Meno conferenze sulle donne e per le donne, dunque, e più conferenze per gli uomini e sugli uomini:

1) per confrontarsi sulla reale disponibilità a cambiare le attuali regole del gioco;

2) per domandarsi che cosa cambiare nei loro comportamenti per lasciarne emergere altri anche molto diversi;

3) per verificare se sono consapevoli dei benefici che questo porterebbe anche a loro, e soprattutto se ne sono realmente convinti.

E, in questo lavoro di messa in discussione dello status quo, confrontarsi tra loro e con le donne, alla ricerca di un linguaggio comune che abbia mille sfumature.