I diritti dei bambini compiono trent’anni: rispettarli è un impegno di tutti

hands-2847508_1920Care bambine/Cari bambini di oggi e di domani,

trent’anni fa, sullo sfondo di un ordine mondiale in cambiamento – la caduta del muro di Berlino, il declino dell’apartheid, la nascita del web – il mondo ha unito le forze in difesa dei bambini e dell’infanzia. La maggior parte dei genitori di allora erano cresciuti sotto dittature o governi in dissesto e speravano quindi, in una vita migliore e in maggiori opportunità e maggiori diritti per i loro figli. Così, quando i Capi di Stato e di Governo si sono riuniti nel 1989, in un momento di rara unità globale, per impegnarsi storicamente con i bambini del mondo per proteggere e rispettare i loro diritti, c’era un clima autentico di speranza per la generazione a venire”.

Inizia così la lettera aperta di Henrietta Fore, Direttore generale dell’Unicef, scritta in occasione del trentesimo anniversario della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza che si celebra oggi: il 20 novembre del 1989 veniva infatti approvato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite un documento che, per la prima volta nella storia, riconosceva il bambino come soggetto di diritti. A che punto è la tutela dei diritti dei bambini e degli adolescenti, a trent’anni da quella firma e da quel clima di speranza?

Se guardiamo ai secoli che ci hanno preceduto, possiamo affermare che l’attenzione al bambino e alle sue esigenze di crescita non è mai stata così alta. La sensibilità verso i diritti dei bambini e il dibattito sui temi della famiglia, delle competenze genitoriali, dell’educazione e della scuola, delle discriminazioni, della violenza – per citare solo alcuni temi – sono indiscutibilmente cresciuti. In Italia, dagli anni 80 del secolo scorso ad oggi, la normativa a protezione dei minori è andata incontro a significative innovazioni, adeguandosi alle trasformazioni sociali e alle situazioni di rischio emergenti, arrivando a coprire nuove fattispecie di reato come l’adescamento nella rete e il cyberbullismo.

Eppure….

Eppure a fronte di queste conquiste ogni giorno leggiamo di bambini che nel nostro Paese ricevono attenzioni sessuali improprie, di neonati picchiati o abbandonati, di scuole nelle quali la violenza viene confusa con l’insegnamento. Impressionante il dato sulla violenza assistita: nell’ultimo recentissimo rapporto del gruppo CRC si stima che, in soli cinque anni, 427.000 minori abbiano assistito alla violenza nei confronti delle loro mamme tra le mura domestiche.

Molto ancora resta da fare per proteggere i tanti bambini che nel nostro Paese sono abusati, maltrattati, gravemente trascurati, sfruttati, discriminati, uccisi, cui non vengono riconosciuti i diritti fondamentali contenuti nei 54 articoli della Convenzione.

Ma non esistono solo i casi più gravi ed eclatanti, che devono rappresentare la priorità nelle politiche di uno Stato. E’ questo, a mio parere, l’aspetto più trascurato della Convenzione, sul quale dopo trent’anni vale la pena di soffermarsi perché ci riguarda tutti. La cultura del bambino come soggetto di diritti e il principio dell’interesse superiore del bambino inciampa ancora in molti ostacoli, anche nei contesti apparentemente tutelanti. Tra i tanti articoli di questo documento, due in particolare meritano la nostra attenzione: il diritto all’ascolto e alla partecipazione (art. 12 della Convenzione ONU), da un lato, il diritto alla non discriminazione (art. 2) dall’altro.

Stiamo davvero ascoltando un bambino quando siamo impegnati a “celebrarlo”, come direbbe Gauchet e come ci ricorda Giampaolo Nicolais nel suo libro “Il bambino capovolto”? Lo stiamo ascoltando quando gli neghiamo il diritto a vedere riconosciuta la propria unicità e le inevitabili differenze rispetto alle attese dei genitori? In che modo consentiamo a bambini e adolescenti di partecipare alla vita, quando siamo prigionieri di una paura che ci induce a proteggerli e a schermarli da ogni insidia, sostituendoci a loro? Siamo sicuri che abbandonarlo alla gran cassa dei social ne favorisca la partecipazione alla vita sociale? Non si stanno forse (pericolosamente) diffondendo  messaggi ed esempi che confondono la partecipazione con l’incontrollata espressione di odio? Stiamo perseguendo il superiore interesse del bambino quando affermiamo ad ogni costo il nostro diritto alla genitorialità?

E allora…

Il mio invito è a rileggere la Convenzione immaginando nuove possibili declinazioni di questi articoli, a partire dall’osservatorio che è la nostra vita. Di seguito ne trovate alcune che nascono dal mio lavoro con bambini, adolescenti e famiglie, mi farà piacere ricevere le vostre:

  • i bambini hanno diritto a vedere riconosciuta la propria unicità. Hanno una biologia, un cuore e un proprio pensiero e possono avere bisogni, desideri, scopi diversi da quelli dei genitori. Un miscuglio di possibilità che si possono realizzare o meno, che possono prendere direzioni inattese e che comunque vanno rispettate;
  • hanno diritto ad essere considerati “in evoluzione”, capaci di apprendimento e cambiamento. Di non essere schiacciati da etichette e giudizi che non guardano al futuro e li immobilizzano;
  • hanno diritto ad essere bambini, anche quando (o forse proprio quando) appaiono adulti, intelligenti e molto saggi;
  • hanno diritto ad essere educati da adulti capaci di essere adulti, che non si attardino troppo nell’adolescenza;
  • hanno diritto a ricevere attenzione: se il genitore è stanco o piegato sul proprio cellulare quale residuo di attenzione può dedicargli?
  • hanno diritto a un’infanzia meno protetta e schermata, poiché gli stress aiutano a crescere;
  • hanno diritto ad un’intimità lontana dalla grancassa dei social;
  • hanno diritto ad essere protetti dall’esposizione incontrollata e massiccia alla pornografia, all’odio, alla violenza (anche su Internet);
  • hanno diritto ad esempi positivi: Liliana Segre la settimana scorsa a Milano ha donato un indimenticabile esempio di come si possa non odiare qualcuno che pure non si è perdonato;
  • hanno diritto a vivere in comunità sicure, nelle quali non venga alimentata la paura e i pericoli non siano ingigantiti;
  • hanno diritto ad avere adulti che li guardino con fiducia, perché come scrisse Goethe: “Trattate una persona come se fosse già quella che dovrebbe essere e l’aiuterete a diventare ciò che è capace di essere”.

Insomma, la Convenzione dopo trent’anni non solo non ha esaurito la sua funzione ma riguarda tutti noi e ci sollecita ad un maggiore impegno. Diamole ogni giorno le gambe per camminare.