Atleta, campionessa paralimpica, primatista mondiale, testimone e testimonial, studentessa universitaria: una donna con tante vite e tutte interpretate con uno scatenato ritmo rock and roll. Energia allo stato puro. Non potrebbe essere diversamente non avendo ancora la bacchetta magica per moltiplicare le ore della giornata. Martina Caironi, trent’anni, unica donna amputata a correre i 100 metri in meno di 15 secondi (14”61, per la precisione) e primatista mondiale nei 200 nella categoria T42 (32”29), ha un’agenda fittissima, è sempre di corsa ma trova il tempo per tutto. «Mi alleno ogni giorno, in palestra, in pista o in piscina, preferibilmente al pomeriggio, un po’ come Maradona», e sorride perché pensa forse di aver azzardato un paragone altissimo, ma fra campioni ci si capisce, e Martina ha in bacheca metalli preziosi: tre ori e un argento paralimpici fra Londra 2012 e Rio 2016, cinque ori Mondiali e un argento e quattro ori Europei e due argenti vinti nelle specialità che pratica da sempre: 100 metri e salto in lungo.
“Sempre” in effetti è un post quem. Nella notte fra l’1 e il 2 novembre 2007, Martina sta tornando a casa in motorino da una festa. Un’auto la investe e, dopo un paio di settimane di coma indotto, si risveglia senza la gamba sinistra, amputata a livello del ginocchio. Ha appena compiuto 18 anni e una vita da reinventare, chissà poi come e con quali forze: «Ricordo giorni bui e di disperazione totale. La voglia di sparire per sempre ma ho iniziato a pensare, anche grazie alla vicinanza delle persone più care, che peggio di così non poteva andare, bisognava trovare un nuovo equilibrio. Ho elaborato l’incidente come fosse un reset. La luce era stata spenta e quando è tornata la situazione era completamente diversa. L’affetto di chi ti sta vicino è la miglior cura, ti fa pensare che tutto andrà bene, ti fa sentire forte». Forza, amore e umore altalenante come le montagne russe. Poi, la lenta riabilitazione, la prima protesi da gara nel 2010, il libro di Oscar Pistorius come una visione: «Quelle pagine parlavano di disabilità con naturalezza, con una fame di vita che cominciavo a sentire anch’io. In fondo, non sognavo che di tornare alla normalità».
Una normalità nuova sbocciata anche grazie al centro protesi di Budrio (Bologna) e alla scoperta dello sport paralimpico: «Da bambina non stavo mai ferma, praticavo pallavolo, pattinaggio. Ero in perenne movimento e ora l’atletica è diventata la mia ragione di vita». Si è trasferita da Alzano Lombardo, dove è nata, a Bologna per essere più vicina al centro di Budrio, ha un tecnico, Davide Gamberini, che adora, uno staff di fisioterapisti e di medici che la seguono: «Mi alleno quotidianamente ma l’essere amputata impone un’attenzione maniacale a non sovraccaricare troppo il fisico perché il rischio di infortuni, di dolori articolari o di infiammazioni dei nervi è sempre dietro l’angolo dato che i miei nervi sono recisi».
L’intera intervista a Martina Caironi è contenuta nell’ebook Donne di Sport 2019, scaricabile gratuitamente cliccando sulla copertina qui di seguito.