Femminicidi, la denuncia delle famiglie: siamo stati lasciati soli

back-view-black-and-white-boy-827993Renza Volpini ha 67 anni, 12 anni fa sua figlia Jessica Poli – 32 anni – è stata uccisa dal marito. Era il 13 febbraio 2007, suo nipote O. aveva 4 anni. Lei e il nonno – a cui O. era legatissimo – lo hanno accolto in casa. “Forse lo abbiamo viziato un po’”, ci racconta Renza, che dallo Stato non ha mai ricevuto nessun aiuto. All’inizio il Comune le dava 180 euro al mese. Lei spendeva 80 euro alla settimana solo per due sedute dalla psicologa che si “è messa la mano sul cuore”. Ma quando suo marito è morto nel 2011 non è più riuscita a sostenere i costi e si è rivolta agli assistenti sociali. Ora O. ha 16 anni ed è in una comunità terapeutica, gli servono 1200 euro al mese per le spese che non rientrano nelle terapie. “Il Comune mi chiede una partecipazione alle spese, per me è difficile, ho 780 euro di pensione. Non riesco neanche a ottenere l’esenzione ai ticket sanitari. So che c’è una legge approvata lo scorso anno ma nessuno – Comune, assistenti sociali, Asl – ha saputo dirmi nulla”, sottolinea Renza, che precisa: “Gli orfani non sono solo dimenticati, sono presi in giro”.

“Dopo l’uccisione di mia madre siamo stati lasciati soli”, spiega Diletta Capobianco, figlia di Sabrina Blotti, uccisa a 45 anni il 31 maggio 2012 da un uomo che si era invaghito di lei. “Nella tragedia sono stata fortunata – continua Diletta, 21 anni – ho un papà che pensa a me e a mio fratello di 14 anni. Ma gli altri orfani cosa faranno quando nessuno si potrà più occupare di loro? Chi li aiuterà? Bisogna rendere più facile la vita a questi bambini, le leggi ci sono e non vengono applicate. Il femminicidio non è una questione privata, mia mamma aveva denunciato”.

“Al momento le famiglie affidatarie non hanno praticamente nessun contributo. I presupposti per accedere agli indennizzi sono difficili e i fondi per orfani e famiglie sono bloccati”, ci spiega Patrizia Schiarizza, avvocata e fondatrice de Il Giardino Segreto, associazione che si occupa dei figli di femminicidio. “C’è poca formazione da parte di avvocati, psicologi e assistenti sociali – aggiunge Schiarizza – non ci sono protocolli da seguire. Nell’emergenza gli interventi della magistratura sono molto veloci, poi la macchina si blocca. A volte tra l’affido e il primo incontro con lo psicologo ci vogliono più di 20 giorni. A ciò si aggiungono processi lenti e burocrazia. La pratica per il cambio di cognome, ad esempio, è soggetta alle stesse lentezze di una pratica ordinaria, ci vorrebbe un canale preferenziale”.

Stiamo lavorando per alzare gli importi degli indennizzi per le vittime di reati intenzionali violenti e per emanare i regolamenti per sbloccare i fondi della legge dell’11 gennaio 2018, che prevede nuove risorse per borse di studio, formazione, orientamento professionale, famiglie affidatarie ”, ribadisce Raffaele Cannizzaro, commissario per il Coordinamento delle iniziative di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso e reati intenzionali violenti. In due anni – da quando è entrata in vigore la legge 122 del 2016 – solo 30 orfani di femminicidio hanno fatto domanda e ottenuto gli indennizzi. La priorità devono essere i bambini, che di colpo diventano orfani, cambiano casa, abitudini, a volte città e le famiglie. Ma questi ragazzi riescono ad avere una vita serena?

Diletta frequenta l’Università di Urbino, sogna un master in Spagna, vuole fare la giornalista: “Cronaca nera – spiega – per raccontare le storie dando voce alle persone”. Teneva un diario, poi ha iniziato a raccontare. La prima volta nel suo liceo: era l’8 marzo, giorno del suo 18esimo compleanno. Ora porta la sua testimonianza nelle scuole e nei teatri perché “tutta l’energia negativa, la rabbia, la frustrazione possono diventare benzina e accendere un fuoco. Avevo 14 anni, dovevo per forza rialzarmi e vivere”. Anche per la sua mamma, di cui ricorda “il sorriso e quegli occhi che quando rideva diventavano piccoli piccoli”. O. fa il liceo artistico, ha finito la seconda ed è stato promosso. Va a casa dalla nonna tutti i week end. Non parla più di quello che è accaduto, gli fa male. “Si porta dietro un fardello troppo grande”, spiega Renza che ricorda un giorno, in particolare, di 8 anni fa. Suo marito era appena morto: “Nonna – le ha detto O. – io ho solo 8 anni e ho già perso due delle persone più care della mia vita. Però c’è una grande differenza: nonno è morto di malattia. Mamma è morta perché chi mi doveva trattare come un gioiello, mi ha tradito”.