La ginnastica per allenarsi a ricominciare

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Photo by David Cassolato (Instagram: @david.cassolato)

La digitalizzazione dell’economia – alias digital transformation, che andrebbe meglio definita come mindset transformation per evitare di perdere il vero focus – provoca cambiamenti così forti da richiedere un ripensamento generale del sistema educativo e delle politiche del lavoro. Il World Development Report 2019 “The Changing Nature of Work”, messo a punto dallo staff della Banca Mondiale e presentato pochi giorni fa in Banca d’Italia non lascia dubbi. La transizione in atto può distruggere posti di lavoro nel breve periodo, ma crea contestualmente opportunità economiche enormi che rendono prioritario investire in capitale umano. Quindi il futuro dipende dalle azioni che saranno messe in atto.

Ma, nell’immediato, l’incredibile accelerazione tecnologica ha già cambiato i connotati del mondo del lavoro, stravolgendo le coordinate del chi, cosa, dove, quando, con un inevitabile impatto anche sul “perché”. Per chi sta vivendo questa fase di transizione, soprattutto per le generazioni di mezzo (ma non solo), emerge l’urgenza di sviluppare una capacità di rigenerarsi e di ricominciare molto più robusta rispetto al passato. C’è chi la chiama resilienza, ma forse dovremmo andare oltre questa parola, per definire il profilo di una nuova attitudine da coltivare sino a farla diventare un habitus, che ha a che fare con la progettualità del proprio percorso professionale e con un approccio autoimprenditoriale, al quale ben pochi lavoratori – anche appartenenti alle nuove generazioni, purtroppo – sono stati abituati.

Il disorientamento per un animale abitudinario come l’essere umano è scontato, ma la sua innata capacità ad adattarsi al contesto per sopravvivere come specie non va sottovalutata. E la plasticità del cervello e del continua generazione di sinapsi neuronali, scoperte dalle neuroscienze, ci vengono in aiuto. Se si va a rileggere Aristotele, si scopre che la virtù è un’equazione differenziale, nel senso che se si investe su se stessi, allora si avrà la possibilità di crearsi un abito che consente di resistere e di superare gli choc; senza quell’abito, invece, si farà fatica a rialzarti. Certamente, dopo decenni di crescita e stabilità che ci hanno abituato a carriere sicure e lineari, non è uno scherzo indossare altre lenti e cambiare comportamenti, ma non abbiamo scelta. E se iniziamo a farlo con un più di strategia, possiamo scoprire molto di noi stessi e guidare le nostre risorse in modo costruttivo.

A questa nuova frontiera, che abbatte le barriere di genere, età, ruoli professionali, sta lavorando in modo sistemico Odile Robotti, esperta di risorse umane, talento organizzativo e inclusione. «Da circa una decina d’anni, nella mia attività di coach, formatrice e consulente, ho iniziato a osservare i comportamenti di professionisti e manager che si trovavano ad affrontare un particolare tipo di cambiamento professionale: un nuovo inizio. La questione mi interessa per due ragioni: perché viviamo nell’era della precarietà, in cui l’incertezza è il nuovo status quo e ricominciare è diventato necessario a tutte le età. E, poi, perché mi rendo conto che, un po’ per tutti, ma in particolare per le persone oltre i cinquant’anni, ricominciare non è facile a causa di un insieme di ostacoli psicologici e pratici».

Da qui nasce l’idea di scrivere un manuale, “Il Magico Potere di Ricominciare”, per aiutare le persone, soprattutto gli over 50, ad ampliare la propria capacità di ricominciare e a sviluppare una visione positiva dei nuovi inizi; nonché un sito e una pagina facebook, per rispondere ai quesiti dei lettori. «La spinta ad avviare questo progetto – afferma Robotti – è nata da due convinzioni. Anzitutto, che la capacità di ricominciare si può imparare e allenare a qualsiasi età. Secondo, che saper affrontare i nuovi inizi rende più liberi e dà potere».

L’ostacolo maggiore, naturalmente, è la paura di perdere ciò che si ha e di non riuscire a farcela ad affrontare qualcosa di nuovo. Un’emozione, la paura, che se non governata rischia di immobilizzarci e renderci passivi, impedendoci di andare avanti e usare tutte le nostre risorse.  E, in effetti, la prima domanda che viene in mente quando dobbiamo affrontare un nuovo inizio è: “Ce la farò a ricominciare?”. Ma non è la domanda giusta da farsi, perchè spiega Robotti «è una domanda carica d’ansia: soltanto formularla evoca scenari preoccupanti e paure. Inoltre, non è una domanda costruttiva: non suggerisce alcuna azione utile né spinge verso l’elaborazione di un piano. La ragione più importante per cui è sbagliata, però, è che la nostra capacità di ricominciare non è fissa e immutabile, bensì si può costruire e sviluppare».

Qual è allora la domanda migliore da farsi? A rispondere è Adam Grant, psicologo e docente della Wharton School, la business school dell’Università della Pennsylvania, che nei suoi studi spiega che la capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà sia parente stretta della resilienza. Entrambe sono soggettive, nel senso che le persone ne hanno una dotazione maggiore o minore di partenza. Entrambe si possono allenare, proprio come un muscolo, e sarebbe meglio svilupparle in anticipo, in modo da essere pronti a usarle nel momento del bisogno, senza aspettare che si verifichi la circostanza che le renderà necessarie. Tuttavia, la capacità di ricominciare ha un vantaggio sulla resilienza: è più facile da esercitare perché le occasioni per farlo, nella vita quotidiana, sono molte e non necessariamente negative. Quindi, la vera domanda da porsi è: “Come faccio ad aumentare la mia capacità di ricominciare?”

Ed ecco in tre step la ginnastica consigliata nel libro. Buon allenamento!

1. Rimuovere i freni e ricaricarsi

Per chi ricomincia, spesso la partenza è la cosa più difficile. Per riuscirci, bisogna anzitutto togliere il freno a mano e fare il pieno di carburante. Lo scopo di questa fase è sbloccare ciò che ci frena e ricaricarci. Si parla di convinzioni limitanti, di conoscere e legittimare le proprie emozioni, di come orientare il proprio dialogo interiore, come auto-motivarsi.

2. Ricostruirsi

Questa è la fase in cui si mettono insieme i pezzi (a volte sono cocci perché si è rotto qualcosa). Due punti chiave di riflessione. Il primo è che le nostre ferite sono la ricapitolazione della nostra storia, un doloroso ma importante fondamento di ciò che siamo e andrebbero indossate con orgoglio, come medaglie. Quando ci si ricostruisce bisognerebbe cominciare con l’accoglierle, senza esitazioni e imbarazzi, nella nostra storia personale. Il secondo è che, una volta ricostruita la propria identità, non bisogna dimenticarsi di raccontarla al mondo.

3. Rinnovarsi

I punti cruciali di questa fase sono tre. Primo, bisogna identificare e riuscire ad apprendere le nuove competenze e i nuovi comportamenti richiesti nella identità ricostruita (e disimparare ciò che non è più rilevante o addirittura è diventato controproducente). Secondo, occorre diventare imprenditori di se stessi, cioè prendere in mano la propria vita e carriera in modo molto proattivo. Terzo, bisogna coltivare una mentalità orientata alla crescita, cioè fondata sull’idea che sia possibile migliorarsi.