Lavoro, come realizzare nuovi progetti in solo 4 fasi

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Mamma, lavoratrice, blogger, manager… tutti viviamo molteplici dimensioni e in ognuna dobbiamo prendere continuamente decisioni per avviare nuovi progetti. Trovare il disegno che c’è dietro e si ripete, la “formula” con cui si fanno le cose, può aiutare a riconoscere le caratteristiche della fase in cui ci si trova, a essere più efficaci e a coordinarsi meglio con gli altri. Come fare?

Immaginiamo un progetto come composto da 100 passi complessivi: alla partenza siamo al passo zero e il progetto è completo al passo 100. Ci sono mille modi diversi di pianificare i 100 passi: c’è chi non ne muove uno finché non sa come saranno tutti e 100 – fa quindi una lunga pausa all’inizio per poi avanzare spedito – oppure c’è chi scopre il passo numero 2 solo dopo aver fatto il numero 1 e va avanti così fino al 100, un passo alla volta con ritmo cadenzato.
Io ripeto sempre quattro fasi: lo chiamerò metodo del “10-20-30-40”.

Nella fase 1 si fanno i primi 10 passi e a guidare è l’istinto. Dieci passi sembrano pochi, ma sono lo scarto che consente al progetto di partire: richiedono coraggio e un po’ incoscienza, e soprattutto fiducia nell’istinto che ci dice che il progetto si può fare. Specialmente se è un progetto completamente nuovo, nei primi 10 passi si commettono molti errori perché sono passi di esplorazione e test, in cui la strada non è ancora segnata e quindi più ci si muove in ampiezza e meglio è. La fase 1 è sostenuta dall’adrenalina ed è spesso una fase un po’ solitaria.

La fase due è quella della scoperta: i 20 passi successivi sono ancora rapidi, ma hanno più metodo, aumenta la distanza che si compie, mentre in percentuale diminuiscono gli errori. E’ una fase meno imprevedibile, ma deve essere ancora terra di scoperte: si è presa una direzione ma è necessario ancora correre e sbagliare, seminare e immaginare. E, lungo la strada, si iniziano a trovare dei preziosi alleati. La fase due richiede ancora molto investimento di energie: a sostenerla è la dopamina, ormone della motivazione, che aumenta la capacità di attenzione e l’inclinazione a sperimentare.

La fase tre ha bisogno di talenti, perché i 30 passi successivi sono quelli dell’implementazione: insieme al team, si è praticamente in quota e l’andatura è quasi “di crociera”. Il progetto si stabilizza intorno ad alcuni meccanismi di sicurezza, che diminuiscono sia il numero di imprevisti che la possibilità di fare belle scoperte. Ora si tratta di organizzare bene le competenze in campo, e infatti la fase tre è quella dell’ossitocina: l’ormone che premia le relazioni e la capacità di lavorare bene con gli altri, perché ognuno dia il suo meglio e il gioco possa dare, negli ultimi 40 passi, tutti i suoi frutti.

Nella fase quattro arrivano i risultati: è la fase più lunga e la più standardizzata, in cui si raccolgono i risultati delle prime tre. Si potrebbe dire che gli ultimi 40 passi sono “a regime”: la macchina sembra quasi andare da sola, produce risultati e intanto conquista risorse e stabilità perché, al termine del progetto, ci sia abbastanza fiato per ripartire “incoscientemente” con un nuovo ciclo. L’ormone di questa fase è la serotonina, che dà un senso di benessere e appagamento per il lavoro fatto e i risultati che sta producendo.

Un progetto può essere un’intera azienda, in cui la fase 1 dura anche due-tre anni, oppure l’organizzazione di una cena, in cui la fase 1 e 2 durano solo un pomeriggio, oppure la nascita di un figlio, di cui ben conosciamo coraggio e incoscienza (e spesso solitudine!) della fase 1… qualunque sia la durata complessiva e la natura del progetto, il metodo delle quattro fasi mette in luce come il decollo, più breve e serrato, dipenda soprattutto dallo slancio delle gambe (o ali!) di chi lo promuove. Superate le prime due fasi, se si è trovata la corrente buona (per esempio dei buoni alleati), il progetto potrà arrivare in fase quattro e andare molto lontano… anche senza di noi.