Silvia Romano non è ancora tornata a casa.
Dal 20 novembre scorso è ostaggio dei rapitori che l’hanno portata via con la forza dal villaggio di Chakama, a 80 chilometri da Malindi, in Kenya. Lì dove questa ragazza cercava di dare una speranza di vita ai bimbi orfani assistiti dalla ONG Africa Milele per cui lavora.
Al calar della sera un gruppo di uomini armati è arrivato al villaggio e ha sequestrato Silvia sparando a chi cercava di trarla in salvo.
Non era la sua prima volta in Africa. La giovane c’era già stata in estate quando si era prodigata a Likoni, sempre in Kenia, per quei bambini che un’altra ONG, la ORPHANS’s Dreams Onlus, cerca di portare via dalle strade polverose di una delle periferie del mondo.
Da un mese Silvia non può più dare il suo contributo. Lei che sente dentro un’ineludibile vocazione, la necessità del cuore. Una forte volontà di cambiare verso all’ingiustizia l’ha portata nel continente africano per dare il suo apporto e donare un futuro migliore a quei piccoli sfortunati che non hanno nulla.
23 anni, laurea in mediazione linguistica per la sicurezza e la difesa sociale con una tesi sulla tratta di esseri umani, Silvia, che è anche istruttrice di ginnastica artistica, era felice, una ragazza piena di energia.
Coriacea e determinata, ha fatto una scelta di vita. Dedicare la sua esistenza agli ultimi, non per capriccio, ma perché ha seguito il richiamo della solidarietà. Significa non avere confini, avere un’anima che è pronta all’abbraccio e all’accoglienza.
Silvia fa parte di quella gioventù che non si è arresa alle storture del mondo, di quei ragazzi e ragazze che vogliono migliorare il pianeta. Sfoderano allora una parola bellissima. Impegno. Fanno una promessa incrollabile. Sono ragazzi come Antonio Megalizzi, il giornalista che cercava di far conoscere l’Europa. Sono giovani come lui e come Silvia che non perdono tempo in rancori e odi. Sono costruttori di ponti e divulgatori di pace. Non si limitano a sognare un mondo di migliore, ma cercano di cambiarlo e lo fanno in concreto. Lo fanno con serietà, preparazione e pazienza.
Il buonismo non c’entra. Non è smania di altruismo. È la convinzione forte e sincera che rinchiudersi nel proprio angolo sia infruttuoso e sterile.
“Si sopravvive di ciò che si riceve, ma si vive di ciò che si dona”. Questa frase di Carl Jung è uno dei motti di Silvia che il giorno dopo il suo rapimento, quando era già nelle mani dei suoi sequestratori, ha subito sui social una gogna livida, è stata sommersa da un fiume di odio. Commenti ciechi, sessisti, cattivi di chi ha il cuore sordo e la mente ristretta. Di chi non riesce a vedere la speranza vitale, quella che Silvia ha portato in Africa.
Polizia e forze di sicurezza dicono che la cooperante è viva. I 120 uomini impegnati nelle ricerche seguono le sue orme e quelle dei suoi rapitori. Uno è stato arrestato e in questi ultimi giorni una grande retata ha portato al fermo di più di 90 persone. Le notizie su di lei continuano però a essere frammentarie.
“Prego perché trovino Silvia e possa tornare sana e salva in Italia. Lei è divertente, ama scherzare con tutti, ma anche un carattere forte. È una ragazza tosta” ha detto James, un ragazzo nigeriano che divideva la camera con Silvia nella struttura di Africa Milele intervistato dal giornalista di Rainews Ilario Piagnerelli che in questi giorni è in Kenia per capire a che punto sono le ricerche.
“Amo piangere commuovendomi per emozioni forti, sia belle sia brutte, ma soprattutto amo reagire alle avversità. Amo stringere i denti ed essere una testa più dura della durezza della vita.
“Amo con profonda gratitudine l’aver avuto l’opportunità di vivere» ha detto Silvia.
Il magazine Vita ha lanciato una campagna social per ricordare Silvia. “Avevamo sottolineato come i 16 mila italiani impegnati in ogni parte del mondo con il loro carico di passione, competenze e relazioni, siano un avamposto di umanità espressione di altri centinaia di migliaia di italiani che li sostengono don l’amicizia e le donazioni. Un’Italia che dice “Prima la dignità dell’uomo”, “Prima la giustizia”, “Prima la relazione con gli altri” e non il gretto e stupido “Prima gli italiani”, “Prima pensa a te e poi agli altri”. Una parte d’Italia che fa bene all’Italia – scrive Riccardo Bonacina – Ma è già passato un mese e Silvia e i suoi famigliari hanno bisogno di noi, di un nostro gesto oltre che delle nostre parole. Hanno bisogno di non sentirsi soli in questi giorni particolari, hanno bisogno di sentire che questa Italia della solidarietà e della cooperazione c’è ed è accanto a loro. Hanno bisogno che si tenga viva l’attenzione e che si senta la nostra voce”.
L’ hashtag è #SilviaLibera per spezzare il silenzio. Perché il coraggio di questa ragazza non deve e non può essere dimenticato.