Storia di una paternità al tempo del congedo cancellato per i papà

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“Il primo sorriso è arrivato a quattro mesi: così avevo già cambiato tantissimi pannolini prima di ricevere qualcosa in cambio”.

Alessandro ha una bambina di un anno ed è uno dei pochi padri in Italia ad aver potuto prendere una lunga pausa dal lavoro dopo l’arrivo di sua figlia. E’ stato a casa con la sua bambina e se ne è occupato per cinque mesi.

Alessandro, com’è la paternità?
È un’esperienza bellissima e molto difficile. Noi, come uomini, non siamo mai stati educati ad essere papà: gli unici libri che ho trovato in giro trattano il papà come uno sciocco che deve imparare a vivere nel mondo degli adulti in pochissimo tempo. Per esempio forniscono consigli su come bollire un uovo sodo. Nessun libro, invece, aiuta a capire che cos’è la paternità. Noi uomini ci ritroviamo senza nessun aiuto, dobbiamo reinventarci, soprattutto quando non c’è una mamma al nostro fianco. Se avere accanto una mamma rende il lavoro più facile, è perché in qualche modo ti “marginalizza”: le attività di cura sembrano essere area esclusiva delle mamme e la parte divertente, educativa sembra riguardare invece i papà. Così, tanti papà (anche a malincuore, solo perché la cultura e il lavoro li “dipingono così”), hanno ruoli che vanno dal pagliaccio al maestro, e un ruolo di cura molto marginale. Se invece sei lì ogni giorno lo sai, che cambiare il pannolino è solo una delle mille cose che ci sono da fare.

Che cosa cambia, se un papà “ha cura” del neonato?
L’ultimo anno è stato il più difficile della mia vita e anche il più pieno di gioia. I papà che non possono vivere questa esperienza si perdono dei picchi sia alti che bassi di quelle che sono le emozioni umane. È un anno in cui bisogna imparare a badare a sé stessi, alla coppia e a un’altra persona: si allarga l’orizzonte – dall’io al noi. Si imparano a svolgere tantissime attività senza dormire. C’è tanto stress, tanta paura. E poi, poter stare accanto a tua figlia e viverne il primo sorriso, il primo passo, la prima volta che spunta un dente… E’ del tempo in cui hai il privilegio di fermarti e domandarti chi sei: per me è stata la prima volta dopo 12 anni! Passi dall’essere figlio all’essere padre, un passaggio importante in termini di lungimiranza. Ora che l’orizzonte della mia vita arriva al prossimo secolo perché è quello di mia figlia, ho una prospettiva molto più ampia. Con questa esperienza, lo spettro delle mie emozioni è raddoppiato, e così la mia capacità di viverle. Gli uomini che non possono vivere tutto questo rischiano di essere emotivamente più immaturi, perché perdono un’opportunità unica per maturare.

Perché hai scelto di diventare padre?
Il mio desiderio di essere padre veniva anche da un amore profondo per la vita. Sapevo di aver avuto la fortuna di sperimentare quanto è bella la vita, quanto è bello il mondo, e dopo i 30 anni ho capito che la vita poteva continuare a essere solo una serie di esperienze oppure potevo “passare questa possibilità” a qualcun altro. Si può fare in tanti modi, anche insegnando, facendo lo zio o altre cose, ma in me prevaleva la voglia di mettere da parte il mio ego e questa continua ricerca di appagamenti, esperienze, novità: mettere una linea di demarcazione e dire “ecco fino ad ora ho imparato facendo e ora imparo insegnando”.

La paternità ha cambiato il tuo modo di lavorare?
Ho imparato a fare più cose in meno tempo, a capire quali sono le cose importanti e quelle meno, e a focalizzarmi solo sulle prime; ho capito il valore della pazienza e dell’attesa. Io sono una persona che in passato ha ottenuto tanto e velocemente, e ho imparato a non prendere decisioni affrettate. Il primo sorriso è arrivato a quattro mesi: così avevo già cambiato tantissimi pannolini prima di ricevere “qualcosa in cambio”. Da padre impari che il tempo di attesa di un feedback può essere molto lungo, che coltivare le relazioni è un lavoro che richiede capacità di pazienza e attesa. Essendo io direttore della mia società, ho lasciato una squadra a lavorare senza di me: e così ho imparato uno stile diverso di leadership, in cui ho fatto sì che le persone della mia squadra potessero organizzarsi per coprire la mia assenza. La leadership può essere veramente condivisa – come ho visto anche nel mio rapporto di coppia – e impari a crescere persone che diventeranno più forti di te: sia a casa che al lavoro.

Che cosa dice “la gente” quando vede un papà dove di solito si vedono solo mamme?
Nostra figlia è nata prematura, di 1,5 chili: soprattutto nei primi tempi era molto strano vedere un papà con una bambina così piccola, così fragile. Venivo lodato per essere un bravo papà, c’era quasi un giudizio implicito su questa fantomatica “madre assente”. Come se lo standard fosse che il papà che non fa niente è normale, mentre se fa qualcosa – qualsiasi cosa – è un bravo papà. Sono diventato quasi un eroe (soprattutto per le donne) per una cosa che le donne fanno continuamente.

Gli uomini invece mi dicevano “beato te: mio figlio è nato lunedì e io mercoledì devo essere già in ufficio”.

Secondo te, ci sono cose che le persone pensano e non dicono quando ti vedono?
Credo che molte persone abbiano tantissima confusione su questo tema così complesso, che non capiscono e su cui hanno una reazione di paura. Si vedono due uomini e si pensa che i bambini “hanno bisogno di una mamma”. Quando però ci vedono “all’opera”, capiscono subito che la bambina sta bene, è felice, e il nostro supporto è uguale a quello che potrebbe avere da una coppia eterosessuale. In realtà, ci aspettavamo omofobia e invece abbiamo trovato più che altro sessismo: solo perché sono un uomo, si dava per scontato che non sapessi le cose, che fossi meno preparato e più imbranato. Così, con noi sono emerse più chiaramente delle dinamiche di genere e si sono risvegliati un po’ gli animi: per esempio nella chat delle mamme del nido, quando abbiamo chiesto di essere inseriti entrambi, per la prima volta si è pensato di invitare anche gli altri papà e moltissimi hanno voluto essere inseriti.

Un consiglio a tutti gli altri uomini?
Di far sentire la propria voce: imparare dalle nostre compagne, amiche, mogli, che il ruolo di donna si è evoluto ed è ora di far evolvere anche il nostro. Dobbiamo chiedere spazio e tempo per stare con i nostri figli.  Ci sono sei mesi di congedo parentale facoltativo che possono essere usati anche dai papà (se è possibile farlo economicamente): si tratta di un’esperienza unica e trasformativa per sé e per i propri figli. Non è pensabile che solo gli omosessuali abbiano il privilegio di interrogarsi su che cosa sia la paternità e che cosa voglia dire essere maschio nel 21° secolo.

Dal 2019 in Italia i padri non avranno più diritto nemmeno a un solo giorno di congedo di paternità.

  • silvia |

    Bellissimo articolo. Sono un’ostetrica e gestisco un percorso nascita che affronta proprio il tema della genitorialità e degli stereotipi legati a maternità e paternità. E’ davvero necessario parlarne, nominarli e aiutare uomini e donne a riconoscerli ed e superarli, per cambiare le cose. Spesso sono professionisti e professioniste sanitarie che li veicolano; questo genere di articoli aiuta a raccontare le tante realtà esistenti e farle conoscere a chi preferisce vedere solo la propria. Grazie!

  • Daniela Bracco |

    Questo governo si orienta in base alle ondate di consenso o sdegno della base social. Bisogna reagire con onde anomale di messaggi e commenti. Un governo del cambiamento e per il popolo sembra declinare tutto senza le donne. Perché la cancellazione del congedo di paternità oltre a privare gli uomini di una opportunità, grava ancora di più le donne in un ruolo separato e culturalmente arretrato

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