Nel mondo orientale non esistono strette di mano o baci e abbracci all’italiana per i saluti, ma ci si inchina: Inoltre non si porge qualcosa con la mano sinistra…Vi è mai capitato di commettere simili errori, magari trovandovi all’estero per lavoro? se vogliamo DAVVERO conoscere i nostri interlocutori stranieri, conviene chiedere aiuto al Linguaggio del Corpo..
Al recente annuncio, in conferenza stampa, della “bocciatura” di Bruxelles alla manovra economica del nostro governo, l’eurodeputato leghista Angelo Ciocca è salito sul palco, si è tolto la scarpa e, a favore di telecamere, lentamente ha cominciato a calpestare gli appunti del Commissario Ue Pierre Moscovici (che, per la cronaca, ha dapprima osservato la scena allibito e poi ha ripreso i suoi fogli sdegnosamente).
Questo gesto, e i noti precedenti di Nikita Krusev, per esempio, che nel 1960 all’ONU si mise a sbattere con forza la scarpa sul tavolo, o del giornalista iracheno Muntazar al Zaydi che divenne celebre per aver lanciato le scarpe contro Bush nel 2014, denota quantomeno consapevolezza circa la carica offensiva che l’atto di “mostrare le suole” può sottintendere: in particolare, in alcuni Paesi Arabi, in Cina e in India anche semplicemente sedersi accavallando una gamba senza avere cura della posizione del piede è considerato offensivo e rischia di provocare incidenti diplomatici o di business poiché le suole sono a contatto con il terreno, calpestano qualsiasi cosa e ricordano la sporcizia. Per questo motivo è buona norma, quando si è ospiti in questi Paesi, togliere le scarpe all’ingresso dell’abitazione riponendole con la suola all’ingiù.
Un altro caso eclatante? nel 2016 Lionel Messi si è involontariamente trovato al centro di una rovente polemica: invitato in un tv-show egiziano ha portato un paio delle sue scarpette da calcio da donare per un’asta di beneficenza ignorando che, in questo modo, sarebbe incorso nelle ire degli spettatori, a cominciare dal portavoce della Federcalcio egiziana che ha reagito con parole decisamente poco gentili nei confronti del fuoriclasse argentino.
Il Body Language può variare da Paese a Paese, e, per essere comunicatori efficaci oppure, più semplicemente, per evitare gaffes, nulla deve essere lasciato al caso. Dato ormai per assodato che la comunicazione si compone di un 25% rappresentato dal messaggio (ciò che elaboriamo nella nostra mente) e di un restante 75% rappresentato dal non verbale ( ovvero la nostra dimensione interiore-valori, convinzioni, idee- sommata al linguaggio del corpo) diventa ormai sempre più evidente che il solo apprendimento delle lingue straniere non possa più bastare.
Il celebre psicologo statunitense Paul Ekman già negli anni ’50 dopo una lunga osservazione che coinvolse gli appartenenti a 21 culture differenti (tra cui una tribù isolata dal resto del mondo in Papua Nuova Guinea) riuscì a dimostrare che le espressioni facciali e le emozioni non sono determinate dalla cultura o dalle tradizioni di un determinato posto. Quindi, le espressioni facciali come la rabbia, la tristezza e il sorriso hanno lo stesso significato pressoché ovunque… e questo è già un dato che ci dovrebbe unire, indipendentemente da origini e colore della pelle.
Differenze importanti si notano però nel contatto visivo, nel touch e in alcuni gesti utilizzati a scopo offensivo. Le regioni che hanno la maggior parte di differenze sono i Paesi arabi, parte dell’Asia e il Giappone. Per esempio, in Occidente apprezziamo il buon contatto visivo, mentre giapponesi e finlandesi sono imbarazzati dallo sguardo di un’altra persona e cercano il contatto visivo solo all’inizio di una conversazione.
In Italia e negli Stati Uniti le persone muovono le braccia abbastanza liberamente, quando parlano, ma i nordeuropei tollerano a malapena questo modo di gesticolare poiché lo associano a una eccessiva drammatizzazione e insincerità. In Giappone fare gesti con ampi movimenti è considerato scortese.
In Pakistan e Iran gli uomini si tengono per mano in pubblico in segno di rispetto reciproco. Le strade indiane sono piene di uomini mano nella mano (e, a dire il vero, anche di pregiudizi nei confronti degli omosessuali -solo dopo la storica e recentissima sentenza del 6 agosto 1918 l’omosessualità non è più punita con il carcere): il gesto ha però un significato diverso, di relazione, negli Usa, in Europa e in Inghilterra.
Porgere le cose con la mano sinistra è considerato molto offensivo per Arabi e Indiani e usare questa mano mentre si mangia rischia di far perdere l’appetito ai commensali stranieri: in India e Paesi Arabi questa, infatti, è la “mano impura”, da utilizzare solo in bagno.
In Gran Bretagna, in Germania e in America per salutarsi si stringono le mani sia nel momento dell’incontro che all’addio: con una o due strette molto ferme in Europa e con almeno 5-6 strette in America (ed è per questo che un americano può trovare “distanti” gli interlocutori europei). In India, Medio Oriente, Asia le persone possono continuare a tenere la mano anche dopo che la stretta è finita, mentre in Giappone questo tipo di contatto fisico è considerato poco educato e viene sostituito da un inchino.
La profondità dell’inchino mostra la quantità di rispetto mostrata e indica lo stato relativo tra i due. Attenzione: rilevare la forza dell’inchino può richiedere anni di esperienza, quindi un inchino semplice da parte di uno straniero è solitamente adeguato. Al primo incontro c’è anche lo scambio dei biglietti da visita; ogni persona valuta attentamente lo stato altrui (cosa da ricordare sia quando si porge che quando si riceve un biglietto… è considerato irrispettoso riporlo subito in tasca, come è nostra consuetudine…) e segue un inchino ulteriore in segno di rispetto. E’ fondamentale che le scarpe siano in ottimo stato e pulite poiché ad ogni inchino l’interlocutore giapponese le osserverà attentamente.
Allo stesso modo l’inchino può spesso sostituire baci e abbracci, che non sono diffusi in Giappone. E a proposito di labbra.. Quante volte abbiamo frainteso l’espressione con il labbro superiore tirato tipica degli Inglesi, prendendola magari come un segno di sottile disprezzo? In realtà questa riduce le espressioni facciali e mostra quindi emozioni minime, per trasmettere, all’esterno, l’idea di essere completamente sotto controllo, senza “invadere” con la forza dei propri sentimenti (basta ricordare le espressioni composte del Principe Carlo e dei giovanissimi William e Harry dietro il feretro di Diana).
Continuando questo viaggio nelle differenze interculturali… anche un “innocente” segno di OK può essere frainteso! In America e Gran Bretagna significa infatti “essere d’accordo” ma in Francia e in Belgio significa “essere uno zero”, non valere nulla, ed è un gesto offensivo, associato all’ano.. Se poi in Giappone viene utilizzato per indicare “soldi”, in Brasile e in Turchia è un insulto che equivale all’uso de dito medio in Europa: è ancora memorabile, nella storia del body language, l’incidente scatenato dall’allora vice presidente Nixon negli anni ’50 in Brasile, che, scendendo dall’aereo, con il classico ok americano volle esprimere nelle sue intenzioni un segnale di approvazione che venne recepito, al contrario, come gesto osceno.
L’ancor più diffuso gesto con il pollice alzato, che in America e in Africa viene usato per dire “va bene”, in Estremo Oriente ha il significato del dito medio di cui sopra. Due dita a V con il dorso della mano verso l’interlocutore in Francia indicano “pace”, in Germania “vittoria” mentre in Gran Bretagna, Australia, Irlanda e Nuova Zelanda si utilizzano per mandare qualcuno…” a quel paese”.
La mano aperta con cinque dita e il palmo verso l’interlocutore in Italia e nei Paesi Occidentali indica il numero 5 e l’intenzione di fermare qualcuno o qualcosa (stop) mentre in Grecia e in Turchia esprime disgusto ed è molto offensivo (per indicare il numero 5 i greci sono soliti tenere il palmo della mano verso di sé).
Il sì per gli Italiani è espresso da un abbassare ed alzare il capo aritmicamente, ma la stessa cosa fatta in Bulgaria e nei Paesi Arabi, dal basso all’alto, significa no (da noi ne è rimasta ancora un eco al Sud, per esempio in Sicilia, dove, per dire “no”, c’è chi alza la testa pronunciando “ntz”).
I giapponesi abbassano spesso il capo, ma per un giapponese semplicemente significa: ”sì, ti sto ascoltando”: questo, nel business, viene spesso interpretato come un accordo quando invece è un segno di educazione (e raramente sentiremo un giapponese dire un no secco, potrà invece utilizzare l’espressione “e’ molto difficile” oppure “lo valuteremo con attenzione” -mentre ciò significa, al 99% “lasciamo stare tutto”).
Infine vorrei citare un ultimo gesto, che crea non poche difficoltà: soffiare il naso. Europei e Americani soffiano il naso in un fazzoletto mentre Asiatici e Giapponesi sputano il catarro, e questo dà molto fastidio agli Europei poiché c’è ancora forte la memoria del diffondersi della tubercolosi nel secolo scorso: per cercare di impedirne la diffusione le disposizioni erano infatti di soffiare il naso in un fazzoletto (una persona che sputa potrebbe spargere tutti i germi intorno). E’una paura che, come Europei, conserviamo ancora profondamente, anche in maniera inconscia. Allo stesso modo, però, i giapponesi sono inorriditi dalla nostra abitudine di usare un fazzoletto e poi riporlo nella tasca… per loro è come se girassimo con un rotolo di carta igienica usata… (il consiglio in questo caso è di cercare di evitare di soffiarsi il naso davanti a un giapponese e di evitare gli incontri d’affari in caso di raffreddore…).
Comunicare con interlocutori stranieri quindi decisamente non è così semplice. E semmai ci capitasse di sentirci in difficoltà per un gesto che ci può confondere o che ci è poco chiaro…suggerisco di chiedere a un abitante del posto prima di interpretarlo liberamente e, probabilmente, in maniera errata e indelicata! Ogni essere umano è un unicum composto da corpo-mente-anima e poi da gesti-emozioni e parole determinati anche dall’ambiente circostante. Possiamo partire da questa consapevolezza e provare a sforzarci in una direzione di incontro che vada decisamente oltre la nostra conosciuta zona di comfort. Certamente occorrono molta sensibilità interpersonale, curiosità, delicatezza, consapevolezza della forza del linguaggio del corpo e poi studio, tanto, e un vero “ascolto attivo”.