La giurista Fernanda Contri: “Nel Ddl Pillon bambini come pacchi, non soggetti di diritto”

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«Dietro il disegno di legge 735 presentato al Senato si sente la mano di qualcuno che non solo vuole ottenere qualcosa che non ha mai avuto, ma vuole anche rivendicare un ruolo. Il disegno di legge sembra preoccuparsi di riorganizzare la vita di madre e padre, senza curarsi dei diritti dei minori. Data questa filosofia complessiva, non ci sono margini per migliorarlo. E presenta profili a rischio di incostituzionalità».

contriFernanda Contri è dura con il Ddl Pillon. E il suo parere pesa. È stata la prima giudice costituzionale nella storia della Repubblica, componente del Consiglio superiore della magistratura, segretaria generale a Palazzo Chigi durante il primo governo Amato (di nuovo prima donna a rivestire quell’incarico), ministra per gli Affari sociali nel governo Ciampi. Ma non tutti sanno che Contri, laureata in giurisprudenza nel 1959 e iscritta all’Albo dal 1961, è stata anche per decenni una brillante avvocata matrimonialista con la passione per il diritto costituzionale. Conosce in prima persona l’universo che il disegno di legge vorrebbe rivoluzionare. Oggi continua a lavorare come consulente e si dedica a raccontare la Costituzione nelle scuole. Persino negli asili.

Che cosa pensa dell’impianto del Ddl in generale?
Mi sembra stravagante: un Ddl che porta come titolo “Norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità” ha i primi cinque articoli tutti dedicati soltanto al mediatore familiare e al coordinatore genitoriale. Ma come? Nella relazione illustrativa si parla di interesse dei minori e poi per prima cosa ci si occupa delle persone che dovranno intervenire nella vita della coppia? Le parole principali di un Ddl che va a toccare istituti così importanti come la separazione, il divorzio e soprattutto le procedure che riguardano i figli dovrebbero essere usate con una maggiore considerazione del diritto fondamentale dei minori. Qui invece sembra che ci si preoccupi di riorganizzare, peraltro non perfettamente, la vita di padre e madre senza occuparsi dei figli. Questa mancanza inficia l’intero provvedimento. Ricordo di aver partecipato a Milano a molti incontri per la stesura della riforma del diritto di famiglia del 1975: l’attenzione puerocentrica, così la chiamavamo, era alla base di tutto. E quell’insieme di leggi tutto sommato ha retto molto bene. Lo dico da avvocato che le ha praticate. Comunque io capisco perché si sta capovolgendo l’approccio.

Perché?
C’è un grosso problema: io una società aggressiva come questa, dalla trasmissione televisiva all’incontro per strada, non l’avevo vista mai. Eppure ho compiuto 83 anni, ero piccola quando è scoppiata la guerra. Questo disegno di legge risente anche di questo clima e pretende di risolvere temi delicatissimi imponendo dall’alto rimedi obbligatori e figure nuove, come il mediatore.

La mediazione non potrebbe servire a ridurre i livelli di conflittualità?
È una funzione che potrebbe anche essere utile, se richiesta e accettata da entrambe le parti. Pensi che nel 1996, quando Giovanni Maria Flick era ministro della Giustizia nel governo Prodi, presiedevo una commissione di studio proprio sulla mediazione familiare. Volevo capire se accanto all’obbligatorio tentativo di conciliazione davanti al giudice si potessero proporre altri tentativi per ridurre la conflittualità tra i coniugi. Finì con un nulla di fatto. Ma pensare di imporre la mediazione per sei mesi per legge non ha senso. I risultati positivi sperati non si possono imporre per legge. Il costume non si insegna per legge. Per legge non si impone ai bambini di passare la metà del tempo o almeno 12 giorni al mese con ciascuno dei genitori.

Ecco: l’articolo 11, ovvero la riforma dell’articolo 337 ter del Codice civile, è il fulcro del provvedimento.
La mancata attenzione al minore come soggetto di diritto inficia tutto il disegno di legge. I bambini sono visti molto più come pacchi. Senza considerare che c’è il lattante, il minore di 2 anni, i ragazzi di 13 e di 15, che hanno una vita autonoma intensa al di là della scuola e della famiglia. E poi si stabilisce il doppio domicilio del minore, perché non si può imporre la doppia residenza senza modificare l’ordinamento di stato civile. È questa impostazione che fa di questo Ddl un provvedimento non emendabile: è proprio della filosofia complessiva della legge che non si sente il bisogno.

Il senatore Pillon, in un’intervista, ha detto: «Il nostro obiettivo è restituire la responsabilità genitoriale a entrambi i genitori. Non possiamo sacrificare un genitore sull’altare dell’habitat del figlio. Meglio alternare le case che perdere un genitore».
Non conosco il senatore né gli altri proponenti, ma queste parole tradiscono quello che sottolineavo prima: la mancanza di attenzione ai minori come soggetti di diritto. E poi come si può imporre il raddoppio del domicilio proprio in un momento storico in cui per alcuni c’è l’enorme difficoltà di avere la prima casa? E che proiezione del sé possono avere i bambini che vivono 12 giorni da una parte e il resto da un’altra, a prescindere dalle caratteristiche che hanno il padre o la madre? Sono divisi tra persone che si contrappongono. I minori sono gli unici veri soggetti di diritto di cui bisogna occuparsi quando ci si accosta a questi temi. Le conseguenze di un testo simile sono difficili anche solo da immaginare.

La bigenitorialità perfetta è un’astrazione?
La realtà ci dice che la povertà ha sempre o chiuso o limitato certe possibilità. Certi poveri non avevano il diritto di separarsi perché le due case, l’avvocato, il mediatore sono servizi che costano. E in una società dove ancora le donne, ahimé, sono la categoria più povera, più debole, con meno lavoro, come si fa a calare questa parità dall’alto? La bigenitorialità è un principio da tutelare ma non così. Non c’è mai un equilibrio perfetto. Bisognerebbe – ma non può farlo nessun disegno di legge – far capire alle persone che quando uno mette al mondo un figlio determina non soltanto il futuro di quel bambino, ma anche della futura società.

Alcuni giuristi hanno sollevato il dubbio che questo Ddl, proprio perché non centrato sul diritto del minore, possa entrare in conflitto con l’articolo 117 della Costituzione nella misura in cui viola le Convenzioni di New York e di Istanbul. È d’accordo?
Il rischio di incostituzionalità esiste. Non si insegna, non si impone una bigenitorialità perfetta come fa questa proposta. C’è anche una sfiducia nei confronti del giudice, che appare molto esautorato. Certo, in tanti anni di professione forense ho visto anche alcune assenze di sensibilità umana che però non giustificano queste norme.

Il Ddl è fortemente sostenuto da alcuni gruppi di padri separati. Sono effettivamente penalizzati dai giudici?
Non sono penalizzati dai giudici, sono penalizzati dalle circostanze: in una società ancora basata sulla visione della donna che sta in casa e cura i bambini è abbastanza normale che sia più facile pensare che un bambino di 3,4, 5 anni debba stare di più con la mamma. La questione è che madre e padre non devono litigare e non devono riversare le loro liti sui figli. Per questa ragione ogni provvedimento in questa materia deve mettere al centro i bambini. Invece, a leggere bene il Ddl, si capisce chiaramente che alimenta la conflittualità invece di diminuirla.

Perché accresce la conflittualità?
Si prenda l’eliminazione dell’assegno mensile. Ho visto non so quante coppie nelle quali uno dei due coniugi, in genere la donna, non riusciva a ottenere il pagamento dell’assegno. Ebbene, in quel caso non era difficile dimostrarlo e, se provato, potevano scattare tutte le conseguenze del caso. Adesso che cosa succede se l’altro coniuge, nei giorni in cui deve provvedere alle spese per il figlio, non paga il medico o la scuola o la vacanza? La conseguenza sarebbero cause contenitrici di migliaia di documenti. Roba da far diventare matti i giudici e gli avvocati. Il Ddl addirittura sembra un incentivo alla pendenza di cause. E poi ogni bambino e ogni ragazzo ha dei bisogni a sé. È una realtà non comprimibile in un articolato così: variegata, diversa caso per caso.

Tra gli obiettivi si cita il “contrasto all’alienazione parentale”.
È già difficile la terminologia… Succede ed è sempre successo che uno dei genitori faccia di tutto per rendere odioso l’altro e può accadere che il bambino arrivi a rifiutarlo, ma certamente non si supera così. Non è imponendo la frequentazione che si risolve la questione. È soltanto un’ulteriore prova della divisione, del distacco, di come non si entri mai nella visione del bambino. Manca l’umiltà dell’approccio alla sofferenza.

  • Giuseppe |

    Si, concordo con Giovanni; le risposte della Prof.ssa sono imbarazzanti e c’è da dubitare della sua buona fede!! – “Ma pensare di imporre la mediazione per sei mesi per legge non ha senso.” Solo un incontro è obbligatorio! ( in una proposta del PD ora ritirata gli incontri obbligatori erano tre ! ) Dopo il primo incontro continuerà solo chi lo ritiene opportuno. In molti paesi europei e non la mediazione è già diffusa. Ne la mediazione può prendere decisioni su diritti indisponibili come può e deve fare il giudice. Ma pare che i giudici NON prendano decisioni. Che dire del fatto che presso i tribunali ci sono moduli fotocopiati che prevedono A PRIORI la madre come genitore “collocatario” ? E dove a volte stante la pratica del “copia e incolla” restano i nomi di persone interessate a precedenti provvedimenti?
    L’incostituzionalità mi sembra evidente nella situazione attuale!
    E non si era mai sentita tanta preoccupazione s difesa dell’infanzia quando è emerso che l’ ITALIA E’ IL PAESE PIU’ SANZIONATO DALLA CORTE EUROPEA dei Diritti dell’Uomo per violazione dell’art. 8 sul rispetto della vita familiare, che siamo uno dei primi Paesi europei per tasso di perdita genitoriale post separativa, quando si è evidenziato che abbiamo il più basso tasso in Europa di affido esclusivo paterno nonché di affido paritetico. E non mancano gli studi che DIMOSTRANO i danni della perdita di una figura genitoriale.

  • Giuseppe Schillaci |

    Ho sentito tanto parlare di diritti superiori dei figli in maniera vuota senza precisare e visualizzare questo diritto!!!
    Ritengo che il principale diritto di un figlio sia DI AVERE VICINI ALLA SUA CRESCITA LA PRESENZ EQUITRIA DI UN PAPÀ E UNA MAMMA!!!!
    Non degli EX !!!!
    Tutto il resto viene dopo e di minore importanza!!!

  • Giovanni |

    le risposte della Prof.ssa sono francamente imbarazzanti, se si considera la sua caratura e i ruoli che ha ricoperto. Probabilmente ha pesato più la sua attuale professione di avv. matrimonialista che i suoi trascorsi. Ma andiamo con ordine.
    1) Riguardo al profilo di incostitzionalità del ddl 735, la Prof.ssa dice che il rischio esiste, tuttavia, non fa un solo esempio. Si limita a dire che non si impone una bigenitorialità perfetta, quando invece è la stessa costituzione a parificare i ruoli genitoriali e a sanciere il diritto di ogni fanciullo ad avere rapporti con mamma e papà. Quindi, semmai, sono le attuali disposizioni dei giudici ad avere un conclamato profilo di incostituzionalità.
    2) la retorica dei figli pacchi postali sta diventando noiosa oltre che capziosa. I figli trattati come pacchi postali (sbattutti avanti e indietro tra scuola, attività ludica, casa di vacanza e casa di amici e parenti, cc.) esistono e sono tanti anche nelle famiglie con genitori conviventi però nessuno si pone tale problema. Inoltre, le attuali disposizioni non fanno che ulteriormente aggravare tale pendolarismo se si pensa che i figli di separati, oltre agli spostamenti di cui prima, si spostano sovente a giorni alterni tre le case dei due genitori solo per passare qualche ora pomeridiana col genitore non collocatario (prevalentemente, il padre) spesse volte trascorse per la maggior parte in auto nel tragitto di andata e ritorno. Invece non si patrla mai del vero danno psicologico inflitto al minore che è quello di perdere progressivamente la quotidianità e in molti casi completamente i contatti con il genitore non collocatario. Comse se la figura genitoriale paterna, tutta a un tratto diventasse superflua e solo utile al sostentamento economico, quando oramai tutti gli studi scientifici internazionali concludono il contrario.

  • Silvio Pammelati |

    “Non sono penalizzati dai giudici, sono penalizzati dalle circostanze: in una società ancora basata sulla visione della donna che sta in casa e cura i bambini è abbastanza normale che sia più facile pensare che un bambino di 3,4, 5 anni debba stare di più con la mamma.”. Perchp avere di questi pallini? Basta controllare se il padre o la madre è il genitore, caso per caso, che non ha lavorato, nè lavora. E il caso in cui entrambi lavorino.

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