La “legge di Parkinson” è del 1955, nominata per la prima volta in un articolo dell’Economist e poi al centro di una pubblicazione. L’autore, Cyril Northcote Parkinson, studiando il funzionamento delle organizzazioni osservò come il tempo per concludere un lavoro si espandesse fino a riempire le ore a disposizione per completarlo. Fissando un tempo inferiore, quindi, nella maggior parte dei casi lo stesso lavoro poteva essere completato in meno ore. Ovviamente dipende dal lavoro, dal contesto e dalla situazione, ma certo è che negli anni il fatto che la produttività sia inversamente proporzionale alle ore lavorate è stato osservato più volte.
Qualche mese fa, per esempio, in Nuova Zelanda è stato fatto un esperimento che ha avuto una larga eco a livello internazionale: una società fiduciaria ha sperimentato una settimana lavorativa di 4 giorni invece che di 5 (32 ore di lavoro invece di 40), senza però toccare gli stipendi. Una follia, a prima vista. Un successo, nei fatti. I risultati della sperimentazione – che ha coinvolto 240 dipendenti di Perpetual Guardian nel marzo e nell’aprile scorso – hanno mostrato il mantenimento delle performance, un aumento della produttività del 20%, un livello di stress dello staff in calo e un miglioramento calcolato nel 24% rispetto alla rilevazione fatta nel 2017 della conciliazione famiglia-lavoro. Insomma, un successo, tanto che la società ha deciso di rendere permanente quello che sembrava solo un esperimento, in nome della flessibilità: i lavoratori potranno decidere se lavorare 5 giorni a settimana per meno ore o 4 giorni, a seconda delle loro esigenze. I ricercatori che hanno studiato l’esperimento hanno anche messo in evidenza come lo staff si sia mostrato più energico e creativo.
Alla luce dei risultati di questo esperimento, e di molti altri che vanno in questa direzione, dovrebbero cambiare le prospettive per esempio nel considerare i lavoratori part time lavoratori di serie B (ne abbiamo parlato qui e qui) o di pensare che più a lungo si sta seduti alla scrivania e più si è produttivi. In realtà i dati che vanno in questa direzione sono tanti e incontrovertibili: per esempio i numeri dell’Ocse mostrano che più ore di lavoro non equivalgono affatto a maggiore produttività. Per esempio un Paese come la Corea del Sud, o uno come il Giappone, due culture con orari di lavoro molto lunghi, non brillano per produttività. così come accade in Europa per la Grecia. Se i numeri parlano chiaro, e lo fanno da anni, quando la cultura dei manager, dei lavoratori stessi e delle aziende si adeguerà all’evidenza dei fatti?