In queste ultime due settimane, ascoltando la tv o leggendo i giornali, mi sono accorta che uno dei termini più utilizzati è stato umanità. Mi sono chiesta, allora, se davvero ne conosciamo a fondo il significato, se sappiamo ancora distinguere l’umano dall’artificiale e, soprattutto se i Millenials o i nativi digitali riescano ad attribuire un senso autentico a questa parola.
La tecnologia ha senza dubbio aperto le frontiere, da una parte: tutti collegati con tutti, in ogni parte del mondo. Non esistono distanze in apparenza, né domande senza risposta. Ci si può rivolgere al proprio dispositivo o addirittura ad un assistente con intelligenza artificiale per ricerche, per curiosità, o semplicemente per divertirsi.
Paradossalmente, la vicinanza virtuale, ha lentamente e inesorabilmente, allontanato da noi l’idea di umanità, intesa come mutuo soccorso, comprensione, empatia, amore autentico,
Secondo il vocabolario Treccani la parola umanità non è altro che “la condizione umana, soprattutto con riferimento alle caratteristiche, alle qualità, ai vantaggi: la fragilità, la debolezza, i difetti, l’imperfezione”. L’umanità è un sentimento, quello che sottende alla solidarietà reciproca, di comprensione e indulgenza verso l’altro.
Come tutti i sentimenti, può essere sviluppato attraverso l’educazione e soprattutto oggi, come non mai, sento forte la necessità di comprendere se i bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze, sappiano davvero “essere umani”. Essere umani vuol dire superare quei comportamenti che ci riducono molto simili a dei robot; la società in cui viviamo, basata sulla competizione e sulla prestazione ci rende vulnerabili e poco inclini ad accettare gli errori, i difetti, le storture, le frustrazioni, le imperfezioni fisiche, tutto ciò che risulta “diverso dalla norma”, tutto ciò che definisce un uomo o una donna.
Edgar Morin, sociologo e filosofo, nel suo ultimo saggio “Insegnare a vivere” ci consegna due domande sulle sorti dell’umanità: Quale pianeta lasceremo ai nostri figli? A quali figli lasceremo il nostro pianeta? Ci richiama, insomma, alla nostra responsabilità, grande, grandissima, nei confronti delle future generazioni. Oggi, secondo Morin, il grande male non è tanto l’incomunicabilità, quanto l’incomprensione, non solamente tra cittadini di una stessa società, ma anche nei confronti dello straniero, del diverso da noi.
All’educazione, quindi, si chiede di partire non solo dalle competenze richieste dal mondo lavorativo e professionale, ma anche e soprattutto dalle competenze esistenziali. Il compito del processo di formazione diventa fondamentale se offre una comprensione umana, che richiede apertura verso l’altro. Partire dal riconoscimento empatico dell’altro, che appare diverso da noi, ci consegna strumenti forti per combattere razzismo, xenofobia, ma anche pregiudizi di genere e bullismo. La comprensione richiede ascolto, permette una partecipazione emotiva al sentire dell’altro, permette di calarsi in un contesto sempre nuovo con capacità di adattamento incredibili. La comprensione permette di tenere lontano il rifiuto degli altri, perché comprendere significa entrare in relazione, creare un legame, un filo impercettibile fatto di scambio reciproco e di confronto.
Secondo Morin dovrebbe essere istituita una cattedra di comprensione umana in ogni ordine e grado di istruzione e in quest’ottica il compito dell’educatore è quello di insegnare il mestiere di vivere, prima che ogni altra disciplina. Essere insegnanti in una società così complessa, deve significare, fare del sapere un oggetto di desiderio, puntare allo sviluppo delle capacità relazionali, partendo proprio dalla cura del rapporto alunni e alunne, magari grazie a dei corsi di formazione specifici in tal senso. Preparare un mondo vivibile si può, lavorando con le future generazioni, infondendo il senso di cittadinanza terrestre, quella che ci vede tutti cittadini dello stesso pianeta, quella che ci rende appartenenti ad un’unica sola e grande razza, quella umana. L’umanità si può imparare, si può vivere nella quotidianità, si può insegnare attraverso un’educazione attenta all’affettività, alle emozioni, all’empatia, al confronto, alla comprensione, alla resilienza. L’umanità è il sentimento universalmente riconosciuto, che identifica ognuno di noi, che ci rende simili, assomiglianti, vicini, solidali, uniti. Umani, insomma.