“Non ho mai avuto la tentazione di fuggire dall’Italia, ma ho lavorato due anni negli Stati Uniti dopo la specializzazione perché reputo fondamentale un’esperienza all’estero. Sono tornata perché sono convinta che in Italia la ricerca sia possibile. E gli ostacoli principali sono diversi da quelli che comunemente si crede”. A parlare è Barbara Belletti, biologa e ricercatrice presso il Centro di Riferimento Oncologico (CRO) di Aviano, IRCCS. E’ suo il volto che rappresenta i 5mila scienziati AIRC nell’immagine della campagna dell’Azalea della Ricerca di quest’anno, dove è ritratta insieme alle figlie Bianca e Maria Giulia.
L’appuntamento, ormai tradizionale con l’iniziativa della Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro è per domenica 13 maggio, Festa della Mamma. Le piante simbolo della lotta contro i tumori femminili saranno in 3700 piazze d’Italia. Grazie a questo evento solo negli ultimi 5 anni Airc ha potuto investire oltre 64 milioni di euro per sostenere 498 progetti di ricerca e 126 borse di studio per studi sulla prevenzione, la diagnosi e la cura dei tumori femminili.
Laurea in biologia e dottorato all’Università di Bologna, specializzazione a Napoli e poi, dal 2000 al 2002, il lavoro al Kimmel cancer center Philadelphia, oggi Barbara Belletti guida un progetto Airc che ha l’obiettivo di comprendere sempre più in profondità le alterazioni molecolari che sono la causa di una maggiore aggressività nel tumore al seno quando insorge nella donna giovane, sotto ai quarant’anni di età. “Grazie al lavoro di squadra con il gruppo di Oncologia Molecolare e con tanti colleghi clinici del CRO di Aviano lo studio e la comprensione di queste differenze ci permetterà di sviluppare nuove strategie per migliorare la terapia e la prognosi delle pazienti con trattamenti sempre più personalizzati ed efficaci” spiega.
Nel 2017, in Italia, a 65.800 donne è stato diagnosticato un tumore alla mammella o agli organi riproduttivi. Il cancro al seno è il più diffuso con circa 50.000 nuovi casi: si stima che ne sia colpita 1 donna su 8 nell’arco della vita. È però la patologia per la quale, negli ultimi due decenni, la ricerca ha ottenuto i migliori risultati portando la sopravvivenza, a cinque anni dalla diagnosi, a crescere dall’81 per cento all’87 per cento. “La ricerca in Italia è possibile e non ha nulla da invidiare al resto del mondo. Quello che manca però non sono tanto i budget finanziari a disposizione, ma la volontà di costruire un sistema che agevoli il lavoro dei ricercatori, per esempio esentandoli dal dover seguire pratiche amministrative o burocratiche che spesso hanno iter lunghissimi anche solo per l’acquisto di un anticorpo per gli esperimenti. O ancora, la messa a punto di norme contrattuali adeguate per l’inquadramento dei collaboratori”.
“Se guardo indietro – conclude Barbara Belletti – vedo che le mie scelte sono state spesso frutto del caso. Oggi posso dire di svolgere una professione che amo, che rappresenta una sfida costante, che porta con sé incertezze e fallimenti. Che richiede di allenarsi a tollerare la frustrazione di un paper respinto o di una ipotesi che si rivela scorretta. Ma la gioia per i successi è impagabile. Ai giovani, che in questo momento devono scegliere la loro futura professione, consiglio di comportarsi come se avessero tutte le opportunità davanti e di scegliere quello che amano”.