Il campionato di Formula 1 è appena iniziato. Il gran premio di Melbourne ha inaugurato la nuova stagione. La prima senza le «ombrelline» e le grid girls, le bellissime ragazze che in pista reggevano il cartello con la posizione in griglia del pilota e lo riparavano dalla pioggia o dal sole con un ombrello. Liberty Media, società che ha acquisito il Circus iridato delle corse, ha dichiarato a fine gennaio che le modelle presenti prima dell’inizio della gara nelle aree adiacenti alla linea di partenza erano parte di «una tradizione chiaramente in contrasto con i valori della odierna società moderna» si legge nel comunicato diramato dalla company americana. L’effetto #metoo applicato al motorsport. Quindi niente più donne decorative tra i bolidi e i piloti della Formula 1.
Ma siamo proprio sicure che senza ombrelline cambierà la percezione delle donne nel mondo delle corse automobilistiche?
«Togliere le ragazze dalla pista non risolve il problema» mi spiega Sara Cabitza, 37 anni, ingegnera aerodinamica del team Renault, fa parte della squadra che progetta l’auto che poi sfreccia in gara sui circuiti di mezzo globo. «La federazione deve focalizzarsi su una questione più importante: incentivare l’occupazione femminile in Formula 1, perché la presenza delle donne nei settori scientifici e tecnologici in cui si costruiscono e programmano le monoposto non sia più un’eccezione» afferma decisa mentre chiacchieriamo su Skype.
Le donne come Sara sono entrate in un mondo che è ancora dominato e governato dagli uomini. Sono pioniere, apripista che si sono conquistate l’autorevolezza giorno dopo giorno. Con buona testardaggine e tanta determinazione. Partita da Gonnosfanadiga paese del Sud Sardegna, Sara da piccola costruiva insieme al papà piccoli aerei di legno. In quei momenti ha imparato a guardare al cielo e a non accontentarsi mai. Esercitazioni pratiche per costruire i sogni e trasformarli in realtà.
Poco più che bambina si ipnotizzava davanti alla Tv vedendo i gran premi. A quindici anni diceva ai suoi compagni di liceo che avrebbe ideato la macchina più veloce del campionato di Formula 1. Un grande amore, quello per le corse, trasmesso dal padre insieme alla passione per la meccanica e per le auto: «Mi compravo tutte le riviste specializzate. Riconoscevo i piloti dal colore del casco, sapevo ogni cosa. Ero proprio sfegatata» ricorda.
Laurea in ingegneria meccanica all’Università di Cagliari, fonda insieme ad altri colleghi, mentre studia, il primo team sardo di Formula Sae, competizione internazionale tra studenti di vari atenei che portano in pista auto da corsa da loro progettate.
Team leader per due anni, Sara ha la possibilità di andare a Maranello nella pista privata della Ferrari e di aggiudicarsi insieme alla sua squadra il primo premio. Poi nel 2009 parte per Londra. Un biglietto di solo andata per l’Inghilterra. Adesso vive a Banbury, cittadina vicina alla sede del quartiere generale della Renault.
Come sei arrivata a lavorare in Formula 1?
Mi sono preparata nel miglior modo possibile, ce l’ho messa tutta. Ho conseguito un dottorato in ingegneria aerodinamica all’Imperial College di Londra, una delle migliori università del mondo, tra le poche che consente di accedere alla Formula 1, quella storica che ha i rapporti con i team. Lì ho imparato a fare questo lavoro entrando in la galleria del vento, dove si testano le modifiche aerodinamiche delle monoposto. Ho lavorato per la Williams e per Gordon Murray, il leggendario progettista genio della Formula 1. Non è bastato frequentare i corsi universitari. Ho partecipato ad attività extracurricolari, ho cercato di crearmi da sola delle occasioni chiedendo ad esempio di seguire come tutor degli studenti che stavano preparando le loro tesi in collaborazione con dei team. Dopo il dottorato sono stata assunta nella scuderia Force India, poi alla Renault.
Non hai avuto paura di sfidare stereotipi e pregiudizi di un ambiente che solo in tempi recenti si è aperto alle donne. Ne sei uscita vincitrice
Sì, è vero. Il maschilismo è un retaggio duro a morire, il sessismo c’è e non viene sanzionato, ma queste sono ragioni in più per non mollare. Non voglio dire che tutta la Formula 1 sia così, perché io nel mio team sono rispettata e stimata. Ma essere donna in generale è complicato. Ti senti dire che devi essere più decisa e agguerrita, a volte sembra non bastare mai. Dobbiamo sovvertire i luoghi comuni sul campo. Io ho realizzato il mio sogno con impegno e fatica, ci ho creduto fino in fondo. Non ho avuto fortuna, è stata veramente dura.
Cosa occorre?
La parola chiave è resilienza. Dobbiamo essere tenaci e credere in noi stesse, volerlo dimostrare. Ripetersi io ce la posso fare, io sono capace. Ci sono state persone che mi hanno scoraggiato, che mi hanno detto che non sarei mai arrivata alla Formula 1. Non dobbiamo cedere al pessimismo o al fatalismo. Confidate in voi e non date retta a chi cerca di sminuirvi solo perché siete donne. Né dovete sentirvi in colpa se scegliete di dedicarvi alla carriera. Poi è inutile negarlo. Ci vuole una bella dose di spirito di sacrificio per superare le difficoltà. Davanti agli ostacoli bisogna reagire subito. Ci sono momenti in cui i miei esperimenti non funzionano o i dati sono sbagliati o le sessioni di lavoro si rivelano inutili. Il mio obiettivo è migliorare le performance in pista della macchina. È la vita della sperimentalista. Io come donna non ho chiesto nessuno sconto. Lavoro di notte. Sono turni che possono superare le otto ore.
È un lavoro di grande responsabilità perché le parti progettate sono testate in galleria del vento. Quelle che superano le verifiche andranno sulla macchina che corre il gran premio. La pressione è altissima. Ma c’è anche tanta soddisfazione, soprattutto se la tua scuderia conquista un buon piazzamento nella griglia di partenza o punti alla fine della gara.
Ti sei mai chiesta dove sarai tra dieci anni? Magari alla Ferrari?
Chissà. Non posso dirlo. Il mio è un ambiente che cambia in maniera velocissima. Nel frattempo nel poco tempo libero coltivo una grande passione: lo yoga. Mi piacerebbe riuscire a diventare istruttrice. Ma ho anche un altro sogno.
Qual è?
Vorrei organizzare una conferenza in cui radunare tutte le donne che lavorano in Formula 1 per elaborare insieme strategie che possano incrementare sul serio la presenza femminile. Credo molto nella forza e nel potere delle donne, insieme possiamo cambiare il mondo, Formula 1 compresa.