Oltre la festa, papà che reggono il gioco

5ba8b0f9-d185-46a8-bdcd-abe892d8fb52

Passata la festa, gabbato lo santo, si dice. Forse uno dei migliori adagi per descrivere una certa italianità. Scanzonati, cinici ma di cuore. Anche quando affrontiamo la festa del papà, che serve da decenni a vendere cioccolatini e cravatte e altre cose di poco conto. Anche Wikipedia non sa tanto come giustificarla.

La festa del papà è una celebrazione laica che frulla dovere e dedizione. Da una parte l’ala dura degli asili che pretende la presenza maschile – una volta all’anno, con inusuale dedizione e con commesse pronte ad accogliere i padri come se fossero da poco emancipati dal pannolino – dall’altra l’insignificanza consueta dei ninnoli che decretano che “il migliore papà” è quello che ritira il premio, a prescindere.

Passata la festa, ormai e fortunatamente, rimangono i padri. Alcuni si sentono straordinari solo perché sono papà, altri perché spicciano qualcosa in casa e ogni tanto badano ai pupi. In generale un contesto desolante di opportunità, ma soprattutto di volontà.

Passata la festa, sarebbe bello pensare che nell’essere padre, oggi, non ci sia più nulla di speciale, ma solo cura quotidiana.